Blanka Kata Vas è un gioco di contrasti. Probabilmente incontrandola in una qualunque città, anche nella sua, anche a Budapest, non immagineresti tante cose. Quella carnagione color pastello, quei tratti delicati e quelle gote che ad ogni sorriso si riscaldano, sono la sublimazione di ciò che Blanka è. C’è un qualcosa di leggiadro, qualcosa di armonioso in questa ragazza nata il 3 settembre del 2001. Come la sua stagione, quella che sfuma nei contorni dell’estate e pizzica l’aria del colore delle albicocche. Ciò che sembra è anche ciò che è, perché Blanka è così, non c’è inganno o maschera in lei. L’imbroglio può essere in chi la guarda o magari in chi sin da bambina l’ha vista, l’ha guardata. Perché come siamo, spesso, finisce per diventare un’imposizione. Se c’è una ragione per cui tante persone non si piacciono o non si piacciono più è per questo. Perché qualcuno vedendole ha iniziato a porre limiti, a porre confini, a cancellare le righe dell’immaginazione per stabilire quelle ferree di una rete. La rete che diventa ostacolo per l’osservato è in realtà la rete in cui è intrappolato l’osservatore. Un tranello difficile da spezzare perché per rompere quei fili e correre liberi dall’altra parte bisogna abituarsi alla bellezza dei contrasti, alla loro natura. E per abituarsi alla bellezza dei contrasti è necessario abbandonare il sonno della ragione che si adagia su ciò che ha sempre visto e diviene miope.
Parlare di Blanka Kata Vas, per noi, significa parlare di tutti quei ragazzi e di tutte quelle ragazze che in un qualche modo si sono sentiti dire: «Ma figurati se quel lavoro può fare per te. Cosa pensi di fare? Non illuderti. Non credere alle favole». E per chi dice così, chi ascolta è sempre “troppo” o “troppo poco”. Per carattere, per fisico, per capacità, anche per luogo di nascita. Il problema è che molti di fronte a queste obiezioni si tirano indietro, si fermano, credono di essere “troppo” o “troppo poco”. Vi ricordate la rete dell’osservatore? Ecco, ora è rete per l’osservato. Ed il peggio è che, se l’osservato non se ne libera, un domani, diventerà rete per i suoi figli, per i suoi nipoti, per qualunque bambino incontrerà e a cui dirà: «Vuoi fare questo? Ma non farmi ridere dai. Tu vai bene per fare quest’altro». Non c’è nulla da fare: se gli occhi non sono abituati a vedere oltre, ad ammirare il contrasto, non lo apprezzeranno mai. Il contrasto non è altro che possibilità, non è altro che una manciata di futuro. Contrasto può essere apparenza di constatai come tutto ciò che già è in noi e che noi non conosciamo. Forse perché non ci conosciamo. È scoprire che tutto ciò per cui ti dicevano che non ce l’avresti mai fatta, è ciò per cui ce la fai. Il contrasto è una rivendicazione, un rifiuto e un’accettazione: «Gli aspetti del mio carattere, del mio modo di fare e tutto il resto, non sono un limite a ciò che voglio fare, sino a che questo limite non lo pongo io. Perché non voglio farlo o perché non mi interessa».
Guardare Blanka Kata Vas in sella può essere un buon esercizio per abituarsi. Quella ragazza, quella stessa dalla pelle color tramonto e dai modi delicati, è nel suo luogo quando è su quella sella. C’è sintonia con quegli ingranaggi meccanici. Blanka è uguale e diversa quando sale su una bici da cross o da mountain bike, si modella sulle rughe del terreno che percorre. Lo guarda, lo scruta con un’attenzione che silenzia qualunque boato. Centimetro, dopo centimetro, dettaglio dopo dettaglio. Uno zoom impietoso sulle difficoltà per focalizzarle e costruire la soluzione. Che poi altro non è se non qualcosa che scioglie. Questa è la forza delle soluzioni: il cambiare stato a qualcosa che c’è e che persiste ma che in altra forma può essere affrontato. Chi scioglie, adatta. Chi adatta è pronto per ciò che voleva. Lo si fa con i problemi e anche con se stessi. Lo si fa per ciò che si vuole fare, lasciando Kiskunlachàza e trasferendosi in Belgio, dove di terra ne trovi quanta ne vuoi. Lo si fa dandosi nuova forma che è poliedricità, mutevolezza e per questo bellezza perché sei tu all’ennesima potenza, perché ti sei definito e non ti sei lasciato definire.
Così quando a Essen viene a farti i complimenti Marianne Vos magari non ci credi ma di certo sai che hanno visto, che tutti hanno visto. Ed abituarsi alle possibilità, anche a quelle che magari non penseremmo, è una lezione, è la brezza di inizio settembre, è novità e nuova soluzione. Per imparare a non sbarrare più la strada davanti alle impressioni o al sentire comune. Certo, perché probabilmente incontrando Kata Blanka Vas non la immagineresti mai ciclocrossista e biker. Ma il segreto è proprio quello: le persone sono molto più di ciò che possiamo immaginare ed ogni volta che lo riconosciamo, che non frapponiamo la nostra “piccola idea” alla loro visione, gli regaliamo un pezzo di domani. E se anche quel domani non si avverasse le lasciamo libere di provare quello che vorrebbero nel loro domani. E se questo non è futuro, poco ci manca.
Foto: Anton Vos/CV/BettiniPhoto©2020