Per capire che Giro è stato e come sia apparso (quasi) inscalfibile il regno in rosa del favorito assoluto, basta citare alla lettera la frase che Alessio Martinelli, Green Project-Bardiani CSF- Faizanè, sesto in classifica e migliore italiano, ci ha detto a fine corsa, nella zona dedicata alle interviste tra Piazza Unità d’Italia e il lungomare triestino, «Staune-Mittet? Aveva una gamba in più», che forse non saranno le parole più corrette o precise possibili, ma credo sintetizzino perfettamente ciò che è avvenuto da Agliè (Torino) a Trieste, dall’ 11 al 18 giugno, 8 tappe in cui non ci si è fatti mancare nulla.

Talenti già fatti, altri da costruire, una corsa ben organizzata, alcuni scenari incantevoli (Stelvio, Cansiglio, Trieste), sorprese, delusioni, senza dimenticare ciò che è successo sullo Stelvio dove 31 corridori, 4 ammiraglie (e rispettivi direttori sportivi) e persino due moto staffette della polizia, sono stati mandati a casa per traino irregolare. Sono state usate tante parole, chi ha seguito la vicenda un’idea se l’è fatta (se proprio volete, ne ho parlato qui): su chi ha sbagliato (corridori, direttori sportivi, giuria: dov’era in quel momento?), su chi ha perseverato (alcuni interventi dei protagonisti della vicenda non meritano nemmeno di essere riportati), su chi ne gioverà insegnamento, su chi capirà che magari il ciclismo non è proprio il suo mestiere nel momento in cui si pensa di doversi attaccare a un’ammiraglia per chiudere lo Stelvio in tempo (massimo, ma non c’era bisogno, con quel distacco sarebbero arrivati su tranquillamente). Trovo dunque inutile soffermarmi ancora su un momento di questo genere, e così, come piace a chi scrive: parliamo di ciclismo.

UNO STAUNE-MITTET NON VIVE SEMPRE E SOLTANTO IL PRESENTE

Il norvegese della Jumbo Visma Devo era il favorito della vigilia e ha vinto, magari non proprio in souplesse, ma è apparso da subito in pieno controllo. A tratti è sembrato un gigante in mezzo ai nani e non me ne vogliano i suoi avversari, ma il classe 2002 di Lillehammer, nel finale della tappa regina, quella di Pian del Cansiglio, ha disintegrato la concorrenza. Quel giorno arrivava da una giornata nella quale aveva preso un buco e ci si chiedeva se fosse un piccolo segnale di qualche scricchiolio da parte sua. Poi nella tappa che si sviluppava tutta in Veneto, con l’arrivo nello splendido altopiano tra Vittorio Veneto e Sacile, Jan Christen lo scuoteva, lo spaventava, andando in fuga, arrivando a una ventina di secondi dalla possibilità di strappargli, almeno virtualmente la maglia rosa. Sull’ultima salita, invece, molto impegnativa solo nel primo tratto e poi esercizio perfetto per un verace passista scalatore come lui, Staune-Mittet, vorace, finiva per mangiargli quasi due minuti, staccando tutti gli altri e mettendo il sigillo finale sulla corsa dopo aver preso tappa e maglia sullo Stelvio, e dopo essere stato il migliore tra gli uomini di classifica anche nella crono d’apertura. Staune-Mittet era il favorito della vigilia e ha vinto: esperienza nelle corse a tappe maturata in questi anni, inquadrato e completo, quasi un calcolatore che già ora non concede moltissimo alle azioni avventate o fini a se stesse, ed è questo uno dei motivi per cui mi scalda pochissimo il cuore, perdonate l’opinione non dovuta, non mi stupirei se il prossimo anno lo dovessimo vedere, salvo compiti di gregariato per Vingegaard e/o Roglič, provare a fare classifica al Giro o alla Vuelta. Avrebbe già chiesto, stando a quello che ha raccontato a fine gara, di poter correre il Giro dei grandi l’anno prossimo, intanto quest’estate proverà una storica doppietta Giro-Tour (de l’Avenir), roba riuscita solo a un certo Baronchelli cinquant’anni fa, e visto il secondo posto lo scorso anno, battuto solo da Uijtdebroeks, non ci pare un’impresa così peregrina.

LA LOTTA PER IL PODIO E LA CLASSIFICA

La classifica ha messo in luce alcuni nomi non pronosticabili alla vigilia almeno per quanto riguarda i piani alti. Darren Rafferty sul podio è un risultato eccezionale. Il giovane irlandese ha sempre mostrato di essere perlopiù cacciatore di tappe, grazie a una solida consistenza sul passo (e a cronometro), un corridore da classiche vallonate, bravo ovunque, sì, ma non fino al punto da scalare la generale del Giro Under 23 e soprattutto di fare quel tipo di prestazioni sullo Stelvio (per lui, come per tanti altri era la prima volta su salite di un certa lunghezza e difficoltà) dove fino alla rampa finale era persino in lotta per il successo di tappa.

Dopo una primavera ricca di piazzamenti ne è arrivato un altro, che gli fa fare un ulteriore salto di qualità allargando i suoi orizzonti, Rafferty rappresenta bene il principio secondo cui gli irlandesi in gruppo sono pochi ma buoni; Rafferty a un certo punto ci ha fatto pensare ad una sorta di effetto Leo Hayter, ovvero, come accaduto lo scorso anno, un corridore di Axel Merckx capace di ribaltare il pronostico, ma Staune-Mittet non ha (praticamente mai) ceduto il passo. Una via di mezzo tra Dunbar e Healy per interpretazione delle gare e caratteristiche tecniche, Rafferty nel 2022, da primo anno tra gli Under 23 vinse la Strade Bianche di Romagna, corsa troppo bella per essere vera e dunque durata una sola edizione, proseguendo la naturale crescita come corridore da gare di un giorno già vista da juniores. Vediamo cosa gli riserverà il futuro, fatto sta che come tutti gli irlandesi nel giro del ciclismo che conta ha una caratteristica importante: va davvero forte.

Sul podio anche Hannes Wilksch, Germania, ex DSM ora alla Tudor. Anche lui arriva da un percorso di crescita naturale, quasi scontato per quanto lineare, improntato alle corse a tappe: corridore poco appariscente, ma continuo, dopo i due settimi posti nel 2022 tra Giro e Avenir, si insedia sul podio grazie soprattutto alla prova offerta nella tappa di Pian del Cansiglio e che ne rispecchia pienamente le caratteristiche. Invece di seguire subito l’andatura asfissiante di Staune Mittet nella scalata finale, va su del suo senza strafare, recuperando chilometro dopo chilometro i suoi avversari e finendo per arrivare a ridosso della maglia rosa norvegese. Il suo futuro è legato a una squadra giusta per crescere, una Tudor che al suo primo anno come  Professional piazza vittorie tra i professionisti e al suo secondo come Continental/u23 un corridore sul podio al Giro, una squadra che zitta zitta in pochi mesi ci dimostra la bontà del suo progetto.

In alto in classifica segnaliamo come tra i colombiani della Sidermec GW Shimano in classifica lascia l’impronta più Germán Dario Gómez (4° a 11” dal podio, lo ricorderete al Mondiale 2019: salì agli onori della cronaca perché fu inquadrato a lungo con la ruota in mano a bordo strada in attesa dell’arrivo della macchina dell’assistenza che tardò ad arrivare. Gomez a un certo punto si sedette a terra e scoppiò in lacrime: concluse ugualmente la sua prova 60° a 16’49’’ da Simmons vincitore). Dicevo: più Gomez che Santiago Umba (10°) grazie soprattutto alla tappa di Pian del Cansiglio. Umba che fino a pochi chilometri dalla vetta dello Stelvio pareva il più forte in salita del gruppo, sgambettava, poi alla fine si staccava, come succede sul Cansiglio dove, prima attacca e poi rimbalza. Più che essergli mancate le gambe, nonostante le sue prime stagioni siano state caratterizzate da diversi problemi fisici, parlando con Gianni Savio alla partenza dell’ultima tappa, emergono alcuni limiti del giovanissimo corridore legati più a una questione di mentalità. «Le qualità sono quelle del corridore di primissimo livello – mi dice Savio – ciò che gli manca in questo momento è la cattiveria agonistica», dove, probabilmente, si intende qualcosa di legato alla componente mentale: gestione tattica e nervosa dei momenti di gara. Tuttavia, Umba ha mostrato a sprazzi al Giro di essere un corridore sul punto di fare il salto di qualità e quando lo farà potrà giocarsi traguardi di una certa importanza. Pare che l’anno prossimo sarà chiamato a dimostrare il suo potenziale con la Eolo di Basso e Contador.

Restando in top ten delude a livello di risultato finale William Lecerf, lo stesso però non si può dire dell’atteggiamento. La sua squadra, la Soudal Quick Step Devo, è stata una delle più attive e anche il piccolo scalatore belga ci ha provato più e più volte. Ha rischiato di saltare, ha peggiorato il 4° posto dello scorso anno, ma almeno si è fatto vedere anche in azioni partite lontano dal traguardo.

CONOSCERE I VINCITORI DI TAPPA

Tutti di grandissima qualità: 6 vittorie su 8 arrivano da corridori che nel 2024 saranno nel World Tour. Alec Segaert, Belgio, Lotto Dstny, vince nella crono iniziale. Segaert va forte abbastanza ovunque e in un Giro senza troppa concorrenza a livello di classifica generale, soprattutto considerata la classe media e quella posizioni che vanno dalla quinta alla quindicesima, si scopre anche uomo di classifica – chiude undicesimo nella generale. Sono certo che l’ottimo corridore belga da professionista si toglierà soddisfazioni a cronometro, nelle corse di un giorno di un certo tipo, persino in qualche breve corsa a tappe non troppo dura, ma difficilmente lo vedremo fare classifica in un Grande Giro.

Il secondo giorno vince Gil Gelders, ancora Belgio, Soudal Quick Step Devo Team, che si iscrive in un club ristretto di corridori capaci di vincere più di una tappa nella corsa rosa dei giovani, avendo conquistato un successo anche nel 2022. Gelders è un attaccante nato, corridore estremamente versatile, dotato, oltre che di motore, anche di intelligenza tattica come successo alla Gent-Wevelgem quando partì al momento giusto prima nella fuga che andò al traguardo e poi con l’azione decisiva nel finale, e difatti a Cherasco è autore di qualcosa di simile. Attacca con Zamperini e Rafferty distante dal traguardo, ma fiutando l’azione decisiva, a un certo punto lascia per strada i due nel tortuoso finale con il gruppo che pare rientrare. Dietro, però, un rallentamento taglia fuori il favorito di tappa Busatto negandogli la possibilità di riprendere Gelders, e il belga vince. Occhio a lui e a queste sue azioni anche tra i professionisti.

La terza tappa è di Luke Lamperti: americano che praticava motocross, mountain bike, crit race e ora si esibisce nel ciclismo strada. Lamperti rappresenta perfettamente quel tipo di corridore che piace alla Trinity Racing guidata dall’ex professionista Peter Kennaugh, una squadra che cura molto non solo i dettagli tecnici, ma anche l’immagine, dando anche l’aspetto di una squadra che affronta le corse quasi con leggerezza. Veloce, potente e resistente, Lamperti è un tipo di corridore che da professionista potrà piazzarsi su diversi terreni. La tappa di Magenta è stata l’unica volata del Giro e l’americano della Trinity è riuscito ad anticipare Bruttomesso, corridore del Cycling Team Friuli, davvero di pochissimo. Per sapere dove il classe 2002 californiano correrà nella prossima stagione occorre ancora attendere un po’, si parla di un imminente annuncio del passaggio in Quick Step per il 2024, prima Lamperti correrà il mondiale scozzese tra i favoriti, forse persino favorito assoluto.

La quarta tappa ve l’abbiamo accennata, ne abbiamo parlato e ne parleremo anche nel prossimo numero di alvento: vince Johannes Staune-Mittet davanti a Faure-Prost, grandissima sorpresa di questo Giro:  è la frazione che disegna in maniera netta la classifica. Il quinto giorno arriva un’altra fuga, ancora un contrattacco: stavolta è Lukas Nerurkar, giovane scalatore inglese della Trinity Racing, che vince a Manerba, con Busatto terzo, che si deve accontentare dell’ennesimo piazzamento al Giro. Nerurkar il giorno prima era stato forse la grande delusione, 23° a 6’44” dal vincitore di tappa dopo che la sua squadra aveva lavorato tutto il giorno, convinti di fare risultato pieno sullo sullo Stelvio. Nemmeno ventiquattro ore dopo, però, si rende protagonista dell’attacco decisivo che gli permette di scrivere il suo nome nel libro dei ricordi di questo Giro.

La sesta tappa la vince Alessandro Romele, Colpack Ballan, ed è l’unico successo di un corridore italiano in questa edizione di corsa. Il ragazzo bergamasco, ex campione italiano tra gli junior, è un corridore che vedrei bene già il prossimo anno nella massima categoria. Alla vigilia del giro ho affermato come, un successo di tappa di un corridore italiano diverso da Busatto, Bruttomesso (già con un contratto nel World Tour per il 2024), un Bardiani, De Pretto e Moro (per loro si attende solo l’ufficialità stando ai rumors), sarebbe quasi certamente valso un posto tra i professionisti nella prossima stagione. Ora mi attendo l’annuncio, perché Romele, corridore nato per andare in fuga – in questa maniera ha vinto anche il Liberazione poche settimane fa – in un periodo un po’ complicato per il ciclismo italiano giovanile è sicuramente una delle realtà più interessanti.

Al settimo giorno c’è stata la tappa regina con arrivo a Pian del Cansiglio: ha vinto Jan Christen, svizzero della Hagens Berman Axeon, corridore tra i più promettenti del ciclismo mondiale. Classe 2004, lo scorso anno è stato campione europeo tra gli jr su strada e l’anno prima campione mondiale nel ciclocross, sempre nella categoria “Under 19”. Oltre alla vittoria di tappa, Christen ha chiuso al 7° posto in classifica generale, e dal 2024 correrà con Pogačar (al quale per certi versi assomiglia, anche in bicicletta e per tratti somatici). Nella tappa del Cansiglio, consapevole di non poter tenere la ruota di quei due, tre migliori corridori in salita, ha attaccato a una sessantina di chilometri dal traguardo, anticipando. Prima si è liberato della scomoda compagnia di Busatto, che aveva provato a seguirlo, e  poi di quella di Cretti e Gelders nel finale verso l’altipiano veneto, ottenendo così la prima vittoria in carriera tra gli Under 23. Cosa potrà diventare? Difficile dirlo: si difende a cronometro e nelle salite lunghe, come ha dimostrato al Giro non soffre particolarmente nemmeno le salite di media durata e ravvicinate: certo tra i professionisti per imporsi servirà un ulteriore passo in avanti.

Infine l’ultimo giorno, verso Trieste, vince Anders Foldager che salva alla grandissima la spedizione della Biesse Carrera, squadra che negli ultimi anni al Giro si è spesso tolta qualche soddisfazione. Quest’anno è toccato al danese, eccellente cacciatore di tappe e in futuro probabilmente di classiche grazie soprattutto alla capacità di resistere sulle salite brevi e allo spunto veloce. Nel 2024 correrà con la Jayco AlUla che lo ha già annunciato qualche mese fa.

L’ITALIA GUARDA DA LONTANO MA NON SOLO

Confronto (quasi) impietoso con una parte del mondo per quanto riguarda l’Italia da classifica generale nelle corse a tappe, ma questa ormai è un’abitudine. Malsana, ma questa è la piega: se pensate che corridori come De Pretto tra gli Under 23 hanno disputato tre corse a tappe in carriera, e che a metà giugno è la prima corsa a tappe della stagione capite che ci sono tante cose che non vanno dal punto di vista formativo nella maggioranza delle squadre italiane. Senza entrare troppo nel merito di come ci si allena (a tal proposito vi invito ad ascoltare le parole di Gaffuri e Vergallito, nel podcast di Angliru, e che mi sento di quotare al 100%) le problematiche sono diverse: si sceglie – anche per questioni economiche – di correre perlopiù in Italia dove il calendario non aiuta: è possibile che fino a giugno non ci siano corse a tappe nel nostro paese a cui prendere parte? E poi da giugno a fine stagione quasi in sequenza: Giro d’Italia, Giro del Veneto, Valle d’Aosta e Giro del Friuli. Scalatori ormai non ne produciamo più e la colpa è anche dei percorsi (spesso piatti o tutti molto simili, circuito con salitella dura da affrontare più volte e difatti è un periodo dove si producono ragazzi veloci e resistenti, da corse di un giorno, ma troppa poca attenzione per le corse a tappe o le corse con tanto dislivello); per quanto riguarda i cronoman, dopo esserci abituati discretamente bene per qualche anno (grazie più al talento individuale), siamo tornati a fare un passo indietro: anche qui molte squadre italiane ci puntano poco o niente, siamo lontani dallo standard per esperienza e materiali (il risultato dei corridori italiani nella crono d’apertura del Giro Next gen è emblematica sulla situazione) e allora “ci accontentiamo” di alcune belle realtà che si sono messe in mostra in questo Giro e che hanno perlopiù caratteristiche da cacciatori di classiche o tappisti. È il caso del già citato Romele, di Bruttomesso, velocista, 2° a Magenta, di Busatto, il corridore italiano più rappresentativo tra quelli che corrono ancora tra gli Under 23 che al Giro la vittoria l’ha solamente sfiorata e De Pretto, della Zalf, 5 volte nei 10 su otto tappe, maglia ciclamino a premiare una regolarità che nessuno è riuscito ad avere durante gli 8 giorni di gara. Menzione anche per Luca Cretti, quarto anno della Colpack che vive una sorprendente settimana di grazia, la migliore della vita: 2° a Trieste, 4° a Pian del Cansiglio dopo aver ceduto solo nel finale a Christen, 8° a Manerba del Garda, 2° nella classifica a punti e in quella dei GPM, qui preceduto soltanto dal dominatore della corsa, Johannes Staune-Mittet.

Qualcuno dirà: e Alessio Martinelli? Ci arriviamo: per quanto il suo 6° posto sia un risultato prestigioso e di peso, Martinelli, ottimo Giro il suo, deve essere ancora inquadrato come tipo di corridore e lui stesso si focalizza bene su quali sono i suoi pregi e difetti: regolarista, si sente competitivo nelle corse di un giorno («Perché mi diverto di più») più che nelle corse a tappe («Anche se avendo un ottimo recupero, i tecnici mi dicono di insistere nelle corse a tappe»), anche se da qui a fine stagione è più facile che, almeno con la maglia della nazionale guidata da Marino Amadori, lo rivedremo al Tour de l’Avenir, dove però i capitani saranno verosimilmente Piganzoli e Pellizzari. Proprio su Giulio Pellizzari, classe 2003, compagno di squadra di Martinelli, apriamo una piccola parentesi: doveva essere il corridore di punta del movimento italiano per provare a fare classifica, ma è arrivato al Giro ammalato e si è fermato prima del via della seconda tappa: una vera disdetta. Come ci ha rivelato Amadori, però, alla vigilia dell’ultima tappa, la nazionale italiana punterà concretamente su di lui al Tour de l’Avenir dandogli la possibilità di misurarsi contro i migliori della categoria Under 23 e soprattutto di dare segnali importanti in salita.

LE SQUADRE

Tra i team devo stranieri che fanno la voce grossa sicuramente Jumbo Visma e Soudal Quick Step, con una tappa a testa,  la vittoria finale di Staune-Mittet e per i gialloneri arriva anche il 9° posto in classifica di Tijmen Graat e la vittoria nella classifica a squadre. Bene la Circus-ReUz-Technord che, pur non vincendo con Busatto, lanciano la sorpresa Alexy Faure-Prost al 5° posto e miglior 2004 (maglia bianca finale), e bene anche la Lotto Dstny del già citato Segaert. Tra le italiane, Green Project- Bardiani CSF-Faizanè, dopo le polemiche suscitate dalla nascita del progetto continentale e qualche difficoltà iniziale, raccoglie (per la verità segnali che arrivano da inizio stagione) i primi frutti davvero buoni del suo percorso con la speranza che questa sia la strada giusta per lanciare talenti nel ciclismo italiano. Bene Colpack e Biesse Carrera, che vincono una tappa a testa, mentre la Zalf oltre ad animare le tappe soprattutto con le fughe di Zamperini, sempre molto attivo, vede il suo nome negli ordini d’arrivo grazie perlopiù al talentuoso Davide De Pretto.

Capitolo CTF, squadra riferimento del movimento italiano e che in pochi anni oltre ad aver lanciato un numero di talenti importanti nel World Tour ormai parte a ogni corsa con gli occhi puntati addosso. Ho avuto l’onore di seguire l’ultima tappa del Giro insieme a loro, squadra di casa, e ovviamente non hanno nascosto la delusione per un Giro nel quale sono arrivati senza uomini per puntare alla classifica (Davide De Cassan), ma cercando la vittoria di tappa che non è arrivata. La parte piena del bicchiere è la crescita di Roman Ermakov, passista russo classe 2004, con margini di miglioramento da scoprire sia nella gestione e lettura nella corsa sia in salita dove, pur pesando parecchio può contare su una certa regolarità di passo e, come mi hanno detto dalla squadra, «dotato di grandi doti di endurance».

La parte vuota del bicchiere è quella di aver mancato le fughe decisive in un Giro che ha visto 5 fughe su 8 tappe al traguardo: soprattutto nel giorno in cui sono andate via i due Colpack, Romele e Meris, e De Pretto, e l’ultimo giorno a Trieste, in casa, oltre a non essere riusciti a concretizzare, nell’unica occasione per velocisti, il lavoro fatto per Bruttomesso, secondo per un’incollatura da Lamperti nell’arrivo di Magenta. Per organizzazione e professionalità, CTF però resta una delle squadre da seguire, un riferimento, una squadra che guarda sempre avanti e che sicuramente riuscirà a cavare qualcosa di buono anche da una corsa che non è andata come ci si aspettava, e come si aspettavano principalmente loro.

SORPRESE

Andiamo alle sorprese della corsa e torniamo a dare uno sguardo alla classifica generale, un discorso rimasto in sospeso qualche paragrafo prima: 5° posto e maglia bianca per Alexy Faure-Prost: «Sinceramente nemmeno io mi aspettavo di andare così forte e di essere così in forma per tutto il Giro» ci dice mescolando inglese e francese rispondendo al mio inglese, parecchio rabberciato in un momento in cui il sole batteva forte sulle nostre teste all’arrivo di Trieste. Faure Prost, che in stagione ha conquistato la Get Up Cup in Belgio (davanti al compagno di squadra Busatto), è stato pedina fondamentale alla Liegi Espoirs vinta dal corridore veneto quest’anno. Busatto, al Giro, ha ricambiato il favore: fondamentale per tenere la maglia di miglior primo anno sulle spalle del compagno di squadra francese, fondamentale il lavoro svolto nel finale nella tappa di Pian del Cansiglio dove Faure-Prost è andato in difficoltà.

Citiamo, infine, anche anche Matteo Scalco, 17° in classifica generale, 3° in quella della maglia bianca (dietro Faure-Prost e Christen, davanti a Ermakov e Svarre), 3° miglior italiano dopo Martinelli e Meris, e reduce, prima del Giro, della vittoria conquistata alla Coppa della Pace.

Foto: La Presse da Comunicati Stampa RCS