Per Fabio Sabatini, quello iniziato sabato scorso a Torino è l’undicesimo Giro d’Italia. Eppure, a pensarci bene, di uguale non c’è praticamente nulla. «Sarebbe come paragonare il giorno alla notte. Il mio primo Giro è stato nel 2007, in Milram. Posso citarti ancora il treno a memoria: Petacchi, Velo, Sacchi e Ongarato. Il clima era diverso, c’erano ancora i treni dei velocisti. Ad oggi non c’è più una squadra che ne abbia uno definito. Forse è anche perché la dinamica dei punti UCI costringe le squadre a frazionare i compiti al loro interno. Noi eravamo al Giro solo per Petacchi. Ora, in Cofidis, ma vale per ogni squadra in realtà, ci sono tre uomini a supporto di Viviani per le volate e gli altri quattro che si giocano le altre tappe. Il treno che partiva ai tre chilometri dal traguardo non è nemmeno lontanamente replicabile».
Il lavoro di questi giorni al Giro, spiega Sabatini, è lavoro di esperienza per mettere il velocista nella migliore posizione. «Io tiro sempre le volate. Una volta lo facevo di potenza, ora di esperienza. Per Viviani ci sono io e c’è Consonni, per Gaviria ci sono Richeze e Molano. Solo la Deceuninck – Quick Step ha ancora un treno ben definito per Bennet ma perché loro lavorano così. Ricordo quando correvo lì, i meccanismi erano talmente fissati che era quasi impossibile sbagliare. La squadra partiva ai due chilometri, io ai quattrocento metri e mi spostavo ai duecento. Poi potevi vincere o perdere».
Un punto fisso resta: la fiducia. Non si diventa “ultimo uomo” dopo pochi anni di professionismo e questo è importante perché «puoi perdere il picco di potenza, quello che hai imparato, anche sbagliando, non lo perdi». Anzi, nel tempo, provi a metterlo a disposizione degli altri. «Simone Consonni è molto bravo ed essendo un ragazzo davvero intelligente capisce al volo ciò che c’è da fare, forse gli manca ancora un poco l’occhio. Non ci sono segreti particolari. Consonni, venendo dalla pista, è molto scaltro e riesce ad infilarsi in ogni varco del gruppo. Va bene, però non deve farlo quando pilota un velocista altrimenti lo costringe a fare continue volate per tenergli la ruota e, all’ultima volata, le gambe non ci sono più. Ma è giovane ed impara in fretta».
Anche la volata di ieri, aggiunge Sabatini, è stata basata sul riuscire a scegliere le scie giuste per essere nelle prime posizioni all’uscita dall’ultima curva. «Ora si lavora sempre più sull’anticipare la volata e per farlo è questa l’unica via». Crede che Viviani sia uno degli uomini più completi con cui gli è capitato di lavorare e, se pensa al passato, chiosa: «Gran parte di quello che ho imparato lo devo ad Alessandro Petacchi. Lui e Mario Cipollini erano maestri in tema di volate. Sono quegli atleti unici, inimitabili».
Quando gli chiediamo se sia soddisfatto del lavoro svolto sino ad oggi al Giro, Sabatini non ha dubbi: «Noi siamo venuti qui con l’idea di lavorare bene e credo che questo, per quelli che sono i nostri mezzi, lo stiamo facendo. Ci manca la vittoria, solo quello. Si sa, però, che, quando la cerchi troppo, non arriva. Magari, poi, incappi in una circostanza fortunata, ti sblocchi e da lì tutto scorre. Ogni giorno è il giorno buono. Ricordiamocelo sempre».
Foto: Luigi Sestili