Il colmo per un ragazzo altoatesino che corre in bici e va forte nel ciclocross è non amare il freddo. «Più che non amare il freddo, vado più forte col caldo, ecco», ci racconta con disarmante semplicità e franchezza Jakob Dorigoni, ventiduenne di Vadena in provincia di Bolzano, un paesino con così pochi abitanti che probabilmente tutti si conoscono e tutti tifano per lui.
Proprio da quelle parti, a Nalles, si è corsa nei giorni scorsi una gara che ha avuto un’eco importante per come è riuscita a trasmettere quello che è il ciclocross, immagini di corridori che si davano battaglia in un campo ghiacciato, con la neve che gelava mani e piedi e il fango fin dentro le orecchie. Sofferenza, atroce realtà di uno sport crudo che mette a nudo e sposta i limiti. «Freddo, freddo, freddo, ricordo solo questo. Pozzanghere gelate e a ogni pedalata piedi inzuppati e sempre più freddi. A due giri ho mollato e sono salito nel camper. Ci ho messo ore per riscaldarmi: è stato bruttissimo. È una giornata che voglio dimenticare».
Ha iniziato a gareggiare presto, prestissimo. Aveva sette anni e ha provato ogni disciplina come fosse nato con due ruote al posto delle gambe e con in testa gli ingranaggi giusti, tanto da aver ancora memoria di quell’episodio ormai risalente a 15 anni fa. «Era un giovedì, eravamo usciti per un lungo. Poi c’è stata una gincana e da lì è iniziato tutto». E quando Jakob Dorigoni dice tutto, intende proprio tutto, tutto. «Ho praticato ciclismo su strada, prima, e poi mountain bike, ma da esordiente pure un po’ di pista. Il ciclocross invece è stata l’ultima specialità». L’ultima, ma non per questo la peggiore, direbbero gli inglesi, anzi. “Although the last, not least” spiegava il Re Lear parlando con la figlia Cordelia e definendola “l’ultima, ma non meno cara”. Tutt’altro; nel suo caro ciclocross Jakob Dorigoni ha assunto una dimensione a livello nazionale – sette titoli italiani conquistati in tutte le categorie, tre tra gli under 23 e uno tra gli élite di cui è campione in carica – ma anche internazionale. Quinto nel 2019 nel mondiale di Bogense tra gli Under 23 quando Iserbyt vinse davanti a Pidcock. «Il ciclocross mi piace perché le gare sono sempre varie, diverse, da una domenica all’altra quando magari ti ritrovi una volta a gareggiare nell’asciutto e al caldo, una volta al freddo nel fango, ma non c’è una specialità tra le due ruote che preferisco rispetto a un’altra. Da ognuna di loro prendo qualcosa. La mountain bike è la più dura, d’inverno mi diverto nel ciclocross: sforzi brevi e intensi, d’estate mi piace la strada». Gli piace fare “giri lunghi” precisa.
Nel 2021 ci sarà un cambio di prospettiva. Un’occasione presa al volo da Dorigoni che tornerà a correre proprio in mountain bike dopo qualche stagione, accettando la proposta del team Torpado Südtirol. «Ma no, non penso assolutamente a Tokyo» umile e sincero nel rispondere se per caso la sua scelta fosse dettata dalla possibilità di gareggiare ai Giochi Olimpici. «Intanto riprendiamo a divertirci con le ruote grasse, poi si vedrà. In Italia ci sono tanti atleti forti e meritevoli della maglia azzurra e io al momento non ci penso».
Se invece pensa agli anni di ciclismo su strada Dorigoni più che rammaricarsi ha una punta di amarezza per come è finito l’ultimo Giro Under 23, quello vinto da un altro corridore che dà spettacolo nel ciclocross, come Pidcock. «Stavo facendo una buona classifica generale, ma l’ultimo giorno sono caduto e mi sono dovuto ritirare. Però sono stati anni importanti, ho vinto delle corse, ma soprattutto il mio motore e la gestione delle corse è migliorata grazie all’esperienza maturata e grazie alla possibilità che ho avuto nel correre tre volte il Giro Under 23, una volta il Val D’Aosta e una volta la Ronde de l’Isard».
E a proposito di motore, a quei due lì, dinamitardi, – van Aert e van der Poel – ruberebbe la capacità di fare sforzi intensi per un breve lasso di tempo. «Loro due e Alaphilippe hanno questo che li differenzia da tutti gli altri. Forza esplosiva. Tengono l’ora di corsa molto bene perché sono resistenti, ma anche su strada i risultati arrivano grazie alla loro esplosività e resistenza nei periodi brevi». In cinque minuti di corsa ti mandano in tilt.
Per Jakob Dorigoni, van Aert è un maestro nel preparare le corse più importanti, mentre van der Poel «va forte sempre», raccontando quasi divertito, ma è cosciente che nel Ciclocross vince anche chi sbaglia meno. Giro dopo giro, traiettoria dopo traiettoria è fondamentale saper guidare, saper gestire le proprie forze. Che sia caldo, che sia freddo, estate, autunno o inverno a Jakob tuttavia basta pedalare. Nato non per la bici, ma praticamente in bici.
Foto: Per gentile concessione di Jakob Dorigoni