Le azzurre ai Mondiali di Roubaix
Vogliamo parlarvi di storia, mentre i Mondiali di Roubaix si sono avviati alla conclusione. Anzi, per la precisione, vogliamo parlarvi di storia e di storie.
Solo poche ore fa, Elisa Balsamo ha riscritto la sua storia personale nella disciplina dell'Omnium. Non era facile dopo l'Olimpiade, dopo quella caduta spaventosa nelle fasi conclusive dello scratch all'Izu Velodrome. Se ci pensiamo, rivediamo la bicicletta dell'egiziana Zayed Ahmed che le passa letteralmente sopra, mentre lei sbatte su quel legno a oltre 55 chilometri orari. Poco il danno a livello fisico, ma quella caduta ha fatto male alla ragazza di Cuneo. Ha fatto male perché l'Olimpiade era attesa, da tanto. Ce lo ha confidato un pomeriggio di febbraio, seduti al centro del velodromo di Montichiari e, si sa, più attendi, più desideri, più la delusione fa male. Così male che, tornata da Tokyo, Elisa non voleva più parlare di bicicletta, di ciclismo. Così male che, forse, nemmeno la vittoria al Mondiale delle Fiandre aveva ricucito quello strappo.
Emotiva, Elisa Balsamo. Quello stato per cui senti tutto più forte, emozioni, delusioni, felicità ma anche tristezza. Lo ha detto al termine della gara. "Dovevo superare la caduta di Tokyo. Questa medaglia è importante". Ancora di più proprio per il suo carattere che avrebbe potuto bloccarla, forse, invece è stata la spinta in più. Perché ogni cosa ha due facce, anche l'emotività. La sua si è trasformata in freddezza: quando avrebbe potuto giocarsi lo sprint con Archibald nell'eliminazione, invece ha accettato il secondo posto e ha continuato a rosicchiare punti alle avversarie. Quando c'è stata una caduta a pochi centimetri da lei ed è riuscita a tenere lontano quel ricordo, salda, ora più che mai. Persino quando Kopecki le ha soffiato l'argento a pochi giri dal termine. Avrebbe potuto innervosirsi e commettere qualche errore, invece no. Elisa Balsamo conosce la sua storia e sa che va bene così. Va bene il bronzo.
Martina Alzini, Chiara Consonni, Elisa Balsamo e Martina Fidanza conoscono anche la storia. Quella del ciclismo, quella che di tanti piccoli episodi si disinteressa, quella che parla per albi d'oro, statistiche e podi. Non quella che preferiamo, perché senza le storie, quelle singole, la storia sarebbe monca. Per questo sanno di aver fatto qualcosa di grande, qualcosa che viene da lontano, qualcosa che è testimoniato dalla storia e dalle storie. Dalla loro giovane età, dall'incredulità e anche dalla delusione che per qualche attimo ha occupato il loro volto dopo la finale dell'inseguimento con la Germania. Dopo l'argento. E anche quella delusione, del tutto momentanea, è da salvaguardare, perché le porterà a far meglio e meglio dell'argento c'è solo l'oro. Qualche anno fa sarebbe stata utopia, ora parliamo di tempi. Di una finale raggiunta con 4'11''978 contro la Gran Bretagna. Di una finale storica, del nostro miglior risultato in una rassegna iridata che resterà nella storia, quella grande, quella che tutti conoscono.
In quella piccola, invece, assieme al timore di Elisa Balsamo, resteranno le parole tra Chiara Consonni ed il fratello Simone, per farsi coraggio, perché per lei era una prima volta assoluta. Resteranno gli occhi lucidi di Martina Alzini che è riuscita anche a scherzare: "No, mi deve essere entrato qualcosa negli occhi". E Martina Fidanza che scrutava ogni centimetro del podio, quasi a memorizzarlo. Tutti ci auguriamo di ricordarci anche di questo quando fra qualche anno le elogeremo, sul tetto di mondo. Perché sarà anche questo a contare. Oltre all'argento e al bronzo che abbiamo festeggiato in questi Mondiali.
Bardet alla Roc d'Azur
"È arrivato il momento di staccare", il pensiero di molti vedendo il volto affaticato di Romain Bardet, ottavo sul traguardo di Bergamo al Giro di Lombardia. Una gara selettiva, lui protagonista, sì, ma più di contorno, meno di come si aspettava; sentiva le sue gambe che pulsavano al punto giusto, sì, ma allo stesso tempo non rispondevano fino in fondo ai segnali mandati dal suo cervello, scontrandosi tra realtà, desiderio e ambizione. «Nel momento cruciale della corsa ho sentito le gambe di legno».
Ed è stata la fine della stagione - almeno su strada - perché poi, terminata la corsa è salito in macchina in direzione ovest; verso la Provenza, verso il dipartimento del Var, a Fréjus, dalle parti della meravigliosa Roquebrune-sur-Argens. Eh, ma mica per anticipare le vacanze o che - anche se il posto merita.
In testa e nelle gambe, o in quello che rimaneva nel suo serbatoio di energie psicofisiche, Bardet aveva ancora un'idea che si tramutava nell'ultima corsa da disputare: la Roc d'Azur.
Roc d'Azur, ovvero la mitica gara di mountain bike che si corre dal 1984: quella volta al via ci furono 7 partecipanti, mentre il 10 ottobre 2021 nella sfida clou del week end oltre tremila tra uomini e donne a percorrere un tracciato selettivo di quasi 50 km.
Altamente spettacolare la Roc d'Azur, affascinante, con passaggi suggestivi dal mare alla montagna e i suoi punti focali tra il Col Du Bugnon preso d'assalto dai tifosi, Le Fournel con la sua celebre discesa (su internet esiste persino una guida - scritta tra il serio e il faceto - per affrontarla al meglio), estremamente tecnica, e lo spettacolare Sentier des Douaniers che arriva fino in riva al mare.
Ha vinto, per dovere di cronaca va detto, il giovane svizzero Filippo Colombo, in 2h 03'43'', tra i più forti interpreti della mountain bike (12° a Tokyo, 3°al campionato europeo e 9° al mondiale, nonostante la frattura del bacino a maggio, tanto per dire) davanti a un certo Julien Absalon (non ha bisogno di presentazioni, vero?) che la Roc d'Azur l'ha conquistata tre volte.
Spinto dal tantissimo pubblico (ma davvero tanto) lungo la strada, ecco anche la sagoma dai tratti sinuosi e spigolosi, il naso leggermente aquilino, la divisa della DSM, ecco Romain Bardet che nel 2018 alla Roc d'Azur arrivò 102°, anche quella volta si divertì da matti.
«Sono venuto qui perché amo la mountain bike - ha raccontato sorridente e impolverato a fine corsa, vittima anche di un incidente meccanico e con anche qualche graffio sul corpo che non guasta mai quando corri in bicicletta - sono venuto qui perché volevo divertirmi e senza prendere rischi soprattutto in partenza: mica avevo intenzione di passare l'inverno in barella?!»
Il tempo del corridore francese, che legge libri di politica e filosofia, che ama informarsi su temi come immigrazione ed economia, adora il buon vino e che se non fosse diventato un ciclista professionista sarebbe voluto essere un dj oppure uno scrittore, è stato di circa 6 minuti superiore a quello di Colombo e gli è valso l'11° posto. Ma non era l'unica star dello sport transalpino al via: al 439° posto è infatti arrivato Renaud Lavillenie, medaglia d'oro ai Giochi Olimpici di Londra nel 2012. Nel salto con l'asta.
Ora la stagione per Bardet è davvero chiusa, dopo aver rotto il ghiaccio vincendo per la prima volta in carriera fuori dal patrio suolo: prima con una tappa alla Vuelta a Burgos, poi con un'altra alla Vuelta España.
Nel 2022 lo aspettiamo, magari di nuovo al Giro d'Italia, per provare a rompere il ghiaccio pure da noi; non mancheremo di spingerlo certamente, probabilmente non vestiti da uomo di Cro-Magnon come i ragazzi in foto.