Non per magia, ma per disappunto
Uno sloveno è in cima al mondo - Pogačar au Sommet - intitolava stamattina L'Équipe. Un altro sloveno, invece, sembra che con le sue sfortune, lo alimenti.
Che la nostra esistenza sia toccata dalla magia come se stessimo in riva a un fiume che ogni tanto ci bagna i piedi non appare un'idea così folle, e così ci viene in mente che il triangolo tra Roglič, Pogačar e il Tour al suo interno abbia come qualcosa di appartenente a un campo inesplorabile, almeno per chi scrive, irrazionale, che tocca altre dimensioni.
Planche des Belles Filles 2020. Penultima tappa del Tour de France. Stiamo tutti ormai per celebrare il primo successo della storia di uno sloveno al Tour (che poi in effetti sarà così), quando succede qualcosa. Il giovane Tadej Pogačar, bello come sono belli tutti i predestinati che vestono la maglia bianca, corre una cronometro che lascia a bocca aperta tutti - ricordate la faccia di Dumoulin e van Aert, compagni di squadra di Roglič, al traguardo, mentre guardano il megaschermo?
Primož Roglič, partito dopo il giovane rivale e forte di un vantaggio in classifica intorno al minuto (basterà sicuramente si diceva), perde progressivamente, sembra persino soffrire fisicamente più del dovuto, mentre le immagini inchiodano la sua pena lungo la salita con gli occhi che diventavano fessure sempre più strette e quel casco pareva ballare sulla sua testa come uno spirito dispettoso sopra una tomba.
Roglič cede - di schianto oppure no, prova mostruosa dello sloveno giovane oppure tonfo di quello meno giovane non è questo il punto. E mentre Roglič cede Pogačar sale in cima alla classifica e vince il Tour de France che il giorno dopo arriva e si conclude come d'abitudine a Parigi.
Tour 2021, siamo alla terza tappa. Pogačar è nella sua - quasi di diritto - maglia bianca. C'è una curva verso sinistra, si sbanda, vanno giù in tanti - Haig, tra i protagonisti delle prime due tappe gli cade davanti e si ritira. Pogačar resta in piedi per miracolo, perde del tempo, insegue, recupera.
Il giorno dopo, manca ancora poco al traguardo e c'è un'altra sbandata. Roglič colpisce la ruota di Colbrelli e finisce a terra malamente. Riparte, tutto fasciato e chi ha buona memoria avrà in mente la foto di Roglič bendato e la sua frase sui social: "La situazione non è delle migliori. Ma ho sorriso leggendo tutti gli auguri e i pensieri positivi che mi avete inviato. La mummia partirà oggi e vedremo come andrà! Grazie". Durerà qualche ora ancora il suo Tour, quattro tappe di estrema sofferenza, ma nella giornata in cui Pogačar chiude la corsa attaccando sul Col de Romme e andando a vestire la maglia gialla, Roglič si ritira, straziato dai dolori.
Tour 2022... la sagra continua. Quella delle cadute di uno mentre dell'altro si raccontano gli aneddoti a scuola. Siamo alla tappa numero cinque, fresca fresca nella mente degli appassionati. Pogačar corre magnificamente su ogni settore fino ad attaccare in scia a Stuyven. Roglič, attento per tutta la tappa, in una rotonda colpisce una balla di fieno - doveva essere lì a protezione - finita in mezzo alla carreggiata perché colpita da una moto staffetta. Kung la sfiora appena, Roglič dietro lui no, e cade, ancora rovinosamente. Ci risiamo, come un anno fa. Come due anni fa quando la sua caduta fu più sportiva che altro. Le immagini ci mostrano Roglič estremamente sofferente a una spalla. Lussata, se l'è rimessa a posto da solo prima di salire in bici e concludere la tappa. Stoico non basta.
Il giorno dopo, che poi è ieri, Roglič sale in bici, e lo fa fino alla fine del giorno, e sullo strappo che conduce al traguardo è lui a dare il via al colpo finale con cui Pogačar prende a calci tutto il Tour. Nonostante i dolori e le contusioni (problemi, pare, anche all'anca) il corridore della Jumbo Visma è lì davanti a lanciare la volata mentre Pogačar salta tutti e vince. Roglič chiude nei dieci, non per magia, ma per disappunto. Non per chissà quale macabro gioco di forze misteriose, ma per volontà e gambe. Tuttavia ci viene da pensare: chissà se prima o poi arriverà il suo momento al Tour o ci sarà ancora qualche prezzo da pagare.
Sul Mortirolo di notte: Race Across the Alps
Pensate di trovarvi sul Mortirolo in piena notte. Anzi pensate di scalare il Mortirolo quando è già buio, quando gli unici raggi a filtrare non solo quelli del sole ma quelli della luna. Cosa provereste? A Fabrizio Duca è successo e proprio lì, sul Mortirolo, in piena notte, il cambio della sua bicicletta si è rotto. Cosa fare?
Ci torneremo tra poco. Ora, però, facciamo un passo indietro al giorno in cui Fabrizio ha saputo che sarebbe stato l'unico italiano a partecipare alla Race Across the Alps: 525 chilometri attraverso l'arco alpino, più di 14000 metri di dislivello. "È una piccola follia e come tutte le piccole follie c'è chi ti capisce e riesce a immedesimarsi in ciò che provi tu a quell'idea e chi, invece, ti dice solo che è una pazzia". Quell'idea ha anche un tempo: trentadue ore, solo trentadue ore per riuscirci.
Chi organizza si rende conto di quel che chiede e per questo ogni partecipante può portare due persone, due amici per Fabrizio, che staranno in macchina, guideranno tutta la notte e lo affiancheranno per ogni cosa. Oriana, in ammiraglia, dice che accompagnare, in fondo, è un atto d'amore: "Essere pronti ad ascoltare tutto, a non perdere la pazienza anche se sei stanco anche tu, anche se non ce la fai più. Ad avere paura e nasconderla. Se ci pensi questi sono anche gli atteggiamenti di un genitore". Ecco i pensieri di quel venerdì, quando si parte da Nauders.
A Bormio si scatena il diluvio. Sul Gavia l'acqua è ghiacciata, nevica. Fabrizio non riesce più a muovere le mani, fatica a parlare. "Io non capivo che non avrei potuto proseguire così, non accettavo di fermarmi. I miei amici sì e hanno avuto paura. La cosa importante è che mi hanno protetto da quella paura e dopo un'ora mi sono ripreso, sono ripartito". Pedalata dopo pedalata, Aprica e poi Mortirolo.
Era notte lì, vi ricordate? Fabrizio con il cambio rotto non sa più cosa pensare e chiama al telefono il suo meccanico. Già perché in avventure del genere c'è sempre chi, a casa, ha il telefono acceso ed è pronto a rispondere, anche in piena notte. Fabrizio ascolta le indicazioni, impara, capisce, aggiusta e riparte. Ancora, un'altra volta. Andando incontro alla nebbia all'alba del Bernina, a tutte le volte in cui tra Albula, Fluela e passo del Forno ha pensato di fermarsi, ai momenti in cui non riusciva a mangiare.
All'inizio aveva detto ai suoi amici: "Se vedete che non sono più lucido, fermatemi. Fatemi scendere di sella. Portatemi via da quel che sto facendo". Quando quel momento è arrivato, quando quel crollo psicologico è arrivato, Oriana ha preso il cellulare e dal furgone ha iniziato a leggere a voce alta tutti i messaggi di sostegno che arrivavano, mentre Fabrizio si commuoveva, piangeva.
Fabrizio che ad un certo punto ha iniziato a pensare: "Manca solo lo Stelvio" e quando pensi così hai detto tutto. Quello Stelvio che mancava, Fabrizio l'ha percorso e ci è riuscito: 32 ore e 24 minuti. È bastato perché gli organizzatori hanno dilatato il tempo massimo e sarebbe bastato comunque perché Fabrizio ce l'ha fatta. Dopo un giorno di riposo avrebbe voluto ripartire, inventarsi altro, un'altra piccola follia.
"Mi dicono che sono un campione. Non lo sono. Qualcuno parla di eroi per gli uomini che fanno queste gare. Tenete la parole eroe per chi se la merita davvero. Io ho giocato, mi sono divertito. Ho anche rischiato, temuto ma anche nei giochi succede. La mia bicicletta è questo, solo questo". E ora tornate col pensiero sul Mortirolo, in piena notte, e diteci quando bene si sta.