Via dei mancati rimpianti

Forse, proprio in giornate come questa, è importante passare da "Via dei mancati rimpianti". Una via a cui abbiamo pensato oggi, che è un non luogo, in cui, però, ci si può ritrovare. Forse proprio in "Via dei mancati rimpianti" si possono capire tante cose, quando la malinconia delle cadute, quelle di Tao Geoghegan Hart e Oscar Rodriguez, su tutte, costringe al ritiro. Mentre vedere un ciclista che non si rialza spaventa, perché il tornare in piedi e riprendere la bicicletta è un gesto automatico e, se non accade, quanto deve essere il dolore?

In "Via dei mancati rimpianti" si spiega ogni scatto, ogni fuga, si spiega quella fatica portata all'esasperazione, anche quando vorresti solo dire "respira, non fa nulla, anche se non va". Perché in quel momento, quando si deve andare via, su una barella, quando si ha male e non ci si riesce a muovere, non avere alcun rimpianto, o per quanto averne il meno possibile, è l'unica consolazione. In "Via dei mancati rimpianti" c'è la sofferenza di Alessandro Covi che, con addosso le ferite e la paura di quella caduta, è arrivato a Tortona. C'è Pavel Sivakov che, dolorante, aspetta che Tao Geoghegan Hart venga caricato in ambulanza prima di ripartire. Lì, da qualche parte, c'è anche chi, rialzatosi, sposta con delicatezza ogni bicicletta e chiede a Geoghegan Hart come stia.

In "Via dei mancati rimpianti" c'è, probabilmente, anche il motivo per cui Fernando Gaviria, talvolta, lancia la volata troppo lunga: perché può capitare di cadere come oggi, di non poterla lanciare, quella può essere voglia, desiderio. Umano. Da dietro un angolo, al ritrovo in quella via, spunterà anche Laurenz Rex: inventore della fuga di oggi, ultimo a cedere, con il gruppo che da chilometri lo braccava. Perché? Perché se si cede e, poi, si scopre che con un secondo in più, un metro in più, si sarebbe potuti arrivare, cosa si fa? Come ci si sente? Ne parleremo con lui, che certamente sa l'indirizzo di "Via dei mancati rimpianti", come ben lo conosce Stojnic, il penultimo a mollare. Tutti gli uomini delle fughe lo sanno, loro che di rimpianti proprio non vogliono averne.

Magari scopriremo che ad aspettarci c'è già Andrea Vendrame, che, dopo giorni e giorni, dopo quella brutta caduta sull'asfalto bagnato e tanto dolore, ha dovuto ritirarsi. Rimpianto è ciò che si sarebbe potuto fare e non si è fatto: chi ha corso come lui, non può averne oggi, anche se non essere più al Giro spiace. I mancati rimpianti sono quelli di Thomas Champion che sta contando i chilometri all'attacco, per totalizzarne più degli altri, per percorrere più strada, da solo o con pochi, cercando la luce di un ideale, di un sogno. Sono quelli di Pedersen e Milan che si sfidano da giorni per i punti della maglia ciclamino, anche se l'arrivo è lontano, la volata un miraggio, eppure quei punti proprio non vogliono perderli, nemmeno se sono pochi, nemmeno se è uno soltanto.

In "Via dei mancanti rimpianti" è possibile parlare con Milan di questa volata, a velocità incredibile, potente, energia e fiato. Ha ammesso di aver sbagliato posizione per partire e a questo rimedierà, ma in "Via dei mancati rimpianti" verrà volentieri, perché ha spremuto ogni goccia di aria su quel rettilineo, senza remore, anche se era difficile visto come si erano messe le cose. Davanti a lui, solo Ackermann, dietro di lui Cavendish, che erano giorni che annusava la volata e, oggi, in salita si è aggrappato ai compagni, l'unica fiducia possibile, per restare col gruppo e, nonostante, la difficoltà, disputarla quella volata.

In "Via mancati rimpianti" c'è anche un bambino: quello che, qualche giorno fa, si è fatto autografare un tappo di spumante dalla maglia rosa. Non c'era altro e ha scelto quello, ma l'autografo lo ha, non ha sprecato l'occasione, il momento. In "Via dei mancati rimpianti" ci siamo tutti, per ogni volta in cui sentivamo di dover dire o fare qualcosa e l'abbiamo detto o fatto, anche se avevamo paura, anche se non è stato capito o guardato come avremmo voluto. E, diciamo di più, lo rifaremmo. Perché crediamo a "Via dei mancati rimpianti", come ci credono i ciclisti, anche se non sappiamo bene dove sia. Per questo continuiamo a cercarla e a pedalare.


Campioni vulnerabili

Uno dei pezzi più belli che mi sia capitato di leggere durante questo Giro d’Italia si intitola “Sulla volatilità del Giro”, di Kate Wagner. Non tratta dell’appassionato di volatili Derek Gee, purtroppo, ed è uno degli ultimi che leggerò: ne ho ormai abbastanza di leggere, vedere, scrivere, parlare di ciclismo per dodici ore al giorno e ho portato Ubik di Dick nella valigia per un motivo. Il pezzo di Wagner, dicevamo, riassume bene, in solo due parole, ciò che è stato il Giro finora: «ansia e conflitto».

I due favoriti della vigilia, Evenepoel e Roglic, si sono dimostrati i dominatori che ci si poteva attendere. A parte forse la cronometro iniziale di Remco, nessuno si è elevato in modo particolare dalla concorrenza per la classifica generale: perfino Remco, dopo la vittoria di Cesena e prima dell’annuncio del ritiro, era considerato un finto vincitore della cronometro romagnola. Io e altri amanti del corridore che è Remco sognavamo una performance extra-terrestre in quella cronometro, che così tanto sembrava addirsi a lui: invece Wagner mi ha fornito un punto di vista interessante. «Sono sempre più stanca della de-personalizzazione degli atleti, di presunti avvistamenti di un sempre migliore superuomo [...] e del fintamente neutrale discorso sulla performance aliena. L’atleta è un essere umano soggetto a conflitti interiori e posizioni personali; il ritmo cardiaco aumenta quando l’uomo ha paura».

E motivi per avere paura gli uomini che corrono questo Giro d’Italia ne hanno diversi: il meteo e il Covid, per citarne due. Il passato stesso dei possibili vincitori del Giro è un campanello di allarme, che ricordano bene: Roglic ha una lista di fallimenti nel momento topico piuttosto lunga per il campione che è, Geoghegan Hart è un po’ scomparso dopo il Giro 2020, Thomas ama finire sull’asfalto, Almeida è uscito allo scorso Giro per Covid proprio sul più bello. Avremo, insomma, un vincitore del Giro vulnerabile. Queste prime dieci tappe di Giro ci hanno ricordato «della fallibilità umana, delle manchevolezze dei corpi stessi» chiosa Wagner.

Per questo ho trovato particolarmente azzeccato ciò che ha detto in conferenza stampa Magnus Cort Nielsen - un attaccante nato che prima di ieri al Giro era stato molto dietro le quinte -, dopo aver vinto a Viareggio. «In qualche modo, il mio corpo ha continuato a funzionare. Ho avuto paura che il mio corpo potesse smettere di funzionare». Meno superuomini, più campioni vulnerabili: a pensarci bene, evviva.