Uno dei pezzi più belli che mi sia capitato di leggere durante questo Giro d’Italia si intitola “Sulla volatilità del Giro”, di Kate Wagner. Non tratta dell’appassionato di volatili Derek Gee, purtroppo, ed è uno degli ultimi che leggerò: ne ho ormai abbastanza di leggere, vedere, scrivere, parlare di ciclismo per dodici ore al giorno e ho portato Ubik di Dick nella valigia per un motivo. Il pezzo di Wagner, dicevamo, riassume bene, in solo due parole, ciò che è stato il Giro finora: «ansia e conflitto».

I due favoriti della vigilia, Evenepoel e Roglic, si sono dimostrati i dominatori che ci si poteva attendere. A parte forse la cronometro iniziale di Remco, nessuno si è elevato in modo particolare dalla concorrenza per la classifica generale: perfino Remco, dopo la vittoria di Cesena e prima dell’annuncio del ritiro, era considerato un finto vincitore della cronometro romagnola. Io e altri amanti del corridore che è Remco sognavamo una performance extra-terrestre in quella cronometro, che così tanto sembrava addirsi a lui: invece Wagner mi ha fornito un punto di vista interessante. «Sono sempre più stanca della de-personalizzazione degli atleti, di presunti avvistamenti di un sempre migliore superuomo […] e del fintamente neutrale discorso sulla performance aliena. L’atleta è un essere umano soggetto a conflitti interiori e posizioni personali; il ritmo cardiaco aumenta quando l’uomo ha paura».

E motivi per avere paura gli uomini che corrono questo Giro d’Italia ne hanno diversi: il meteo e il Covid, per citarne due. Il passato stesso dei possibili vincitori del Giro è un campanello di allarme, che ricordano bene: Roglic ha una lista di fallimenti nel momento topico piuttosto lunga per il campione che è, Geoghegan Hart è un po’ scomparso dopo il Giro 2020, Thomas ama finire sull’asfalto, Almeida è uscito allo scorso Giro per Covid proprio sul più bello. Avremo, insomma, un vincitore del Giro vulnerabile. Queste prime dieci tappe di Giro ci hanno ricordato «della fallibilità umana, delle manchevolezze dei corpi stessi» chiosa Wagner.

Per questo ho trovato particolarmente azzeccato ciò che ha detto in conferenza stampa Magnus Cort Nielsen – un attaccante nato che prima di ieri al Giro era stato molto dietro le quinte -, dopo aver vinto a Viareggio. «In qualche modo, il mio corpo ha continuato a funzionare. Ho avuto paura che il mio corpo potesse smettere di funzionare». Meno superuomini, più campioni vulnerabili: a pensarci bene, evviva.