Una bella giornata

A Brandon McNulty non sono mai piaciute le cose semplici. Ai rifugi sicuri ha sempre preferito le possibilità e, quando quelle possibilità lo hanno deluso, ha lasciato da parte ogni alibi, così i momenti di felicità li ha trovati nell'affrontare le situazioni. Nel sapere di poterle affrontare. Di potere farci i conti. Tempo fa ha raccontato che, da junior, vinceva le gare imponendosi nella cronometro e poi difendendosi, ma, crescendo, ha capito che voleva cambiare, che voleva diventare forte anche in salita, sviluppare altre abilità, il talento contro il tempo sarebbe restato, però da ciclista sentiva di non poter fare i conti solo su quello, anche qualora fosse bastato per vincere.
Se Brandon McNulty è rientrato su uno scatenato Ben Healy, al termine della Roncola, in discesa, si deve a questa capacità. Quella di vedere chiaramente il proprio limite e sentire che non può bastare a descriversi. Ma di vedere altrettanto chiaramente la propria capacità e avere la certezza che nemmeno quella basta per realizzarsi. Talvolta bisogna staccarsi e rientrare, resistere a uno scatto, aspettare e poi buttarsi in volata. Magari vincere, come ha fatto oggi. I conti McNulty li fa quotidianamente, con quel che gli riesce meglio e con quello che deve ancora migliorare. Pure con quello in cui non si sente portato, in cui forse non migliorerà mai, tuttavia, anche lì, si diverte: le partite a pickleball con gli amici, una sorta di tennis, ad esempio. Sì, è possibile fare con piacere anche qualcosa in cui non si eccelle e lasciarsi descrivere anche da quella fragilità. Lasciarsi completare da quella debolezza.

Fare i conti è un dovere di ciascuno. Anche con il talento si fanno i conti. Ben Healy li ha fatti in tutti i chilometri di fuga: li ha fatti perché sembrava "avere la gamba che scappava", che in gergo ciclistico significa avere una gamba così buona che potrebbe andarsene da sola e lasciarti lì. Si è sfogato, sui Gran Premi della Montagna, si è trattenuto quando altri hanno preso vantaggio in salita. Ma non ce la faceva più: è rientrato a gran velocità ed è scattato, in quel modo scoordinato che, se si usasse solo l'oggettività, potrebbe non piacere, invece scuote. Sturm und Drang, sconvolgimento ed impeto, sentimento e irrazionalità, in chi agisce e in chi guarda. Chi ha talento deve vincere, sorprendere, divertire, emozionare. Chi ha talento ne è segnato. «Se la gente sa, e la gente lo sa, che sai suonare, suonare ti tocca per tutta la vita, e ti piace lasciarti ascoltare»: lo diceva De André. Fare i conti con il talento è questa cosa qui. È Healy, secondo a Bergamo, che riprende a suonare.

Marco Frigo ha fatto i conti con molte cose oggi: con McNulty e Healy, con la distanza, in testa ed in coda ad una fuga, con la salita e la discesa. Ha fatto i conti con il restare indietro ed il ripartire davanti, a tutta. Fino all'ultimo, fino alla volata, lanciata senza riprendere fiato, senza poterlo fare. Soprattutto ha fatto i conti con una caduta, di due anni fa, con un ricordo che si può raccontare, ma non si può provare. Perché è passato e perché appartiene ad altri. Frigo è un altro dei "senza alibi", di quelli che pensano che ogni scusa spenga un poco l'essere umano, e corrono come pensano.

Tutto questo in una domenica in cui, dopo giorni e giorni, sul Giro torna il sole e pare nuovo, quasi una sensazione scordata: l'ombra di una bicicletta e dell'uomo che stringe una borraccia, l'acqua che gratifica, il sudore che ritorna e si posa sulla pelle, una maglietta e dei pantaloncini corti, urla e grida, tante persone, rincorse estive, strappi, saliscendi. Mentre, là davanti, McNulty, Healy e Frigo si giocano la quindicesima tappa del Giro. A conti fatti, una gran bella giornata.


Freddo, pioggia, Giro d'Italia

Alberto Bettiol è così distrutto che fatica ad alzarsi. Lo deve aiutare un uomo della sua squadra, ma le gambe sono così dure che deve appoggiarsi alla transenna alle sue spalle. Viene sollevato quasi a forza. Ha dato tutto nell’ultimo chilometro, e chissà quante cose gli stanno frullando per la mente: dopo un attacco assurdo e bellissimo ai -65, è stato più attendista e ha battezzato la ruota dell’uomo più in forma di tutto il Giro d’Italia, Derek Gee. Scatta, è troppo lungo, si pianta. Denz e Gee lo passano, prova a rimettersi a ruota: una scia buona solo per il terzo posto. Ha il viso arrossato dal freddo, dalla pioggia, forse dall’incazzatura. Bettiol ha una miriade di piazzamenti in carriera, quattro vittorie da pro (una in particolare piuttosto pesante) e svariati modi per farci credere che anche questa volta era lui il più forte.

Molti minuti dopo arriva Alberto Dainese, 82° e nel gruppone con gli uomini di classifica. È un velocista, abituato a dare e prendere mazzata nei metri finali di corsa. Oggi no, dopo tutto quel freddo e quella pioggia, no. Si colpisce il petto un paio di volte col pugno, tossisce a ripetizione, dice al massaggiatore: «Lungs». Penso volesse dire - il pensiero è piuttosto respingente - che gli facevano male i polmoni.

Due storie simili ma diverse, due storie di freddo. Due storie che racchiudono bene il perché, magari, oggi qualcuno avrà meno voglia di fare corsa dura, di sfinirsi di nuovo, o sarà impossibilitato a farlo causa gambe vuote. Qualcuno potrebbe crollare in modo aspettato, pure. Certo sarebbe bello se accadesse il contrario, se qualcuno decidesse di squarciare il Giro d’Italia: la tappa di Bergamo, forse col sole!, sarebbe lo scenario ideale.