Alberto Bettiol è così distrutto che fatica ad alzarsi. Lo deve aiutare un uomo della sua squadra, ma le gambe sono così dure che deve appoggiarsi alla transenna alle sue spalle. Viene sollevato quasi a forza. Ha dato tutto nell’ultimo chilometro, e chissà quante cose gli stanno frullando per la mente: dopo un attacco assurdo e bellissimo ai -65, è stato più attendista e ha battezzato la ruota dell’uomo più in forma di tutto il Giro d’Italia, Derek Gee. Scatta, è troppo lungo, si pianta. Denz e Gee lo passano, prova a rimettersi a ruota: una scia buona solo per il terzo posto. Ha il viso arrossato dal freddo, dalla pioggia, forse dall’incazzatura. Bettiol ha una miriade di piazzamenti in carriera, quattro vittorie da pro (una in particolare piuttosto pesante) e svariati modi per farci credere che anche questa volta era lui il più forte.

Molti minuti dopo arriva Alberto Dainese, 82° e nel gruppone con gli uomini di classifica. È un velocista, abituato a dare e prendere mazzata nei metri finali di corsa. Oggi no, dopo tutto quel freddo e quella pioggia, no. Si colpisce il petto un paio di volte col pugno, tossisce a ripetizione, dice al massaggiatore: «Lungs». Penso volesse dire – il pensiero è piuttosto respingente – che gli facevano male i polmoni.

Due storie simili ma diverse, due storie di freddo. Due storie che racchiudono bene il perché, magari, oggi qualcuno avrà meno voglia di fare corsa dura, di sfinirsi di nuovo, o sarà impossibilitato a farlo causa gambe vuote. Qualcuno potrebbe crollare in modo aspettato, pure. Certo sarebbe bello se accadesse il contrario, se qualcuno decidesse di squarciare il Giro d’Italia: la tappa di Bergamo, forse col sole!, sarebbe lo scenario ideale.