Milan Vader: quando tutto è possibile
Non doveva nemmeno esserci eppure c’era. Nessuno voleva andare, tranne lui. Chi conosce le dinamiche del gruppo poi, lo sa: per finire a correre in Cina a fine stagione o hai una voglia matta di farlo, o la squadra ti manda in punizione, oppure servono punti da fare per il ranking UCI e allora via si vola a sgomitare tra gli sprint del Gree Tour Guangxi, Cina. Ovviamente esageriamo: non è sempre così. Anche perché è un posto pazzesco la Cina, come quasi tutti i posti del mondo, in realtà, come tutti quei luoghi talmente lontani dal centro del ciclismo da definirli esotici per chi abitualmente corre, segue, gira intorno al mondo di quelle ruote che vanno a velocità sempre più assurde. Poi in realtà, se ci pensate, qualsiasi posto è bello quando c’è una gara di ciclismo, ma questo è un altro discorso.
Non doveva esserci eppure c'è stato, Milan Vader. Nel momento in cui avrebbero dovuto prendere una decisione in Jumbo Visma - “che si fa, si va in Cina oppure no?” lui si è fatto avanti con la sua idea. Pare avessero preso inizialmente la domanda con una boutade, ma Vader faceva sul serio. Pare avesse studiato per bene la tappa numero quattro, l’unica che avrebbe interrotto la routine del finale convulso, quello preso per mano dal treno dei velocisti e dai folli sprinter; era quel tipo di arrivo che avrebbe poi disegnato la classifica finale. L’unico. Lui l’ha controllato, visto e rivisto, si è studiato la salita su veloviewer e ha notato da subito come facesse al caso proprio. Milan Vader, che arriva dalle ruote grasse e quindi biker per vocazione, presente a Tokyo nella prova olimpica di Cross Country dove la nazionale arancione puntava tutto su van der Poel, ma ricordiamo come andò. Vader dal canto suo non sfigurò per nulla, anzi, chiudendo in top ten. Su strada? Uno con mezzi interessanti quando la salita è breve e secca, esplosivo: pienamente a suo agio in un arrivo come quello di Nongla.
Non doveva andarci Milan Vader, in Cina, ma se andiamo a scavare più in fondo ha rischiato di non esserci più su una bicicletta, andando a smuovere ancora più a fondo nella storia, sappiamo come l’8 aprile del 2022 rischiò di morire. Giro dei Paesi Baschi, tappa numero 5. Vader è professionista da pochi mesi, ha preso le misure correndo la Volta Valenciana, chiudendo 13° nella terza tappa con arrivo in salita ad Antenas del Maigmo a 1’18’’ dal vincitore Vlasov, precedendo Geoghegan Hart, Soler, Ben Hermans, Nibali. Quel risultato resterà il migliore in stagione. 50° alla Strade Bianche pochi giorni prima, corsa che, per via del suo profilo - biker ed crossista - è fra quelle che più gli si addicono. Qualche settimana dopo: Giro dei paesi Baschi. Quinta tappa, profilo mosso, basco per l’appunto, si affronta una discesa dopo circa una sessantina di chilometri. C’è una curva, passa il gruppo. C’è una bici ferma contro il guardrail. Poi immagini che non vorremmo vedere. Il corridore è per terra in un campo al di là della carreggiata, accasciato a terra, prono. Viene trasportato d’urgenza in ospedale a Bilbao dove rimarrà per diverso tempo. Frattura della colonna vertebrale in undici parti, e come contorno, se vogliamo, anche della clavicola, della scapola, un polmone perforato, frattura anche all’orbita oculare e allo zigomo. ma soprattutto a causa dell’incidente: “Ha dovuto anche subire un intervento chirurgico d'urgenza alla carotide per inserire uno stent, per aumentare il flusso di sangue al cervello”. Dodici giorni di coma farmacologico, una lunga riabilitazione, ma a fine stagione torna in sella, e, come scrisse cycling weekly: il suo fu un autentico “risveglio della forza”, giocando su quel cognome che ricorda il cattivo dei cattivi nella saga di Guerre Stellari. Perse peso: da 63 a 52 chilogrammi: «inizialmente - racconta il corridore - facevo fatica anche a stare in piedi per più di 30 secondi, facevo fatica a mangiare e a fare colazione». Poi la riabilitazione e quel miracoloso rientro in gara alla CRO Race, appena 6 mesi dopo l’incidente. Avvicinandosi a quella corsa non sentiva lo stress, fino al giorno prima quando la sera, sistemando le scarpe e pensando a quello che sarebbe stato il giorno successivo: «un misto di sensazioni mi stavano attanagliando». Riuscirò a correre in gruppo? Come sarà questa nuova prima volta? Furono alcune delle domande che gli balenavano in testa. Andò bene: Vingegaard, suo compagno di squadra, vinse la classifica generale, lui diede il giusto supporto. Un anno dopo o poco più, Milan Vader scatta quando al traguardo di Nongla manca poco più di un chilometro. Approfitta di un momento di pace apparente in gruppo, scatta e va a cogliere il primo successo in carriera. Mezz’ora dopo, raccontano i presenti, è ancora totalmente incredulo di quello che gli è successo. «Dopo tutto quello che ho vissuto l'anno scorso con l'incidente e tutta l'insicurezza che ne è derivata, non sapevo nemmeno se avrei potuto correre di nuovo o anche solo salire su una bicicletta». Ma come gli ha detto qualcuno in quegli interminabili giorni in cui da una parte voleva riprendere a correre, dall’altra continuava a sentirsi stanco e chiedeva pietà facendosi domande: “Finché sei motivato, il corpo è capace di fare un sacco di cose pazze. Finché sei motivato: tutto è possibile."
Il questionario cicloproustiano di Elena Bissolati
Il tratto principale del tuo carattere?
Testarda, determinata
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Simpatia, essere premuroso e socievole
Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
Personalità, semplicità
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
Stima, rispetto e pazzia
Il tuo peggior difetto?
Impulsiva, a volte impaziente
Il tuo hobby o passatempo preferito?
Ascoltare musica, disegnare, uscire con amici, guardare film/serie tv
Cosa sogni per la tua felicità?
Di non aver rimpianti e di godermi ogni cosa che faccio con serenità
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Per scaramanzia meglio non pensarci
Cosa vorresti essere?
Un animale
In che paese/nazione vorresti vivere?
Sono tradizionalista, mi piace il paese in cui vivo
Il tuo colore preferito?
Verde
Il tuo animale preferito?
La pantera
Il tuo scrittore preferito?
Non ne ho uno preferito, mi piace leggere thriller/gialli, narrativa/suspense
Il tuo film preferito?
Ce ne sono tanti... The others, Miglio Verde, Genio ribelle, Sette anime ed i "fantasy" come Harry Potter, La bussola d'oro, I pirati dei caraibi...e, come serie tv, Stranger Things
Il tuo musicista o gruppo preferito?
Linkin Park
Il tuo corridore preferito?
Kristina Vogel
Un eroe nella tua vita reale?
Mio papà e mio fratello
Una tua eroina nella vita reale?
Mamma
Il tuo nome preferito?
Marco
Cosa detesti?
La falsità e l'incoerenza
Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Hitler
L’impresa storica che ammiri di più?
Il diritto al voto delle donne
L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Europei e mondiali in pista
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Da quella che devo ancora fare
Un dono che vorresti avere?
L'invisibilità
Come ti senti attualmente?
Serena
Lascia scritto il tuo motto della vita
Tutto arriva al momento giusto. Sii paziente
Trek Store, Massa
«Proviamo a pensare ad un panino, sì, ad una comune michetta di pane. Una di quelle lavorate di notte e sfornate la mattina presto, che arrivano tra le mani ancora calde. Bene, facciamo un passo indietro: al panettiere che sta preparando l'impasto mentre fuori è buio. Qualcuno seguirà scrupolosamente la ricetta: l'insieme di ingredienti sarà perfetto e certamente il panino piacerà al cliente che lo porterà a tavola. Qualcuno, invece, farà delle modifiche: non casuali, assolutamente. Per esempio considererà l'umidità dell'aria e saprà che anche quella influirà sul sapore del pane, così aggiungerà un pizzico in più di qualche ingrediente piuttosto che un pizzico in meno di un altro. Chissà se il signore o la signora che assaggeranno quella michetta lo capiranno. Forse sì, forse no. Non è nemmeno questo l'importante. Di certo, però, la seconda tipologia di panettiere avrà fatto una cosa fondamentale: avrà ascoltato. Non si ascolta quel che si fa per un riconoscimento esterno, per la voce degli altri, lo si fa per una forma di rispetto verso ciò a cui si lavora». La descrizione di Claudio Rossi, General Store Manager del Trek Store di Massa, è così dettagliata che, nel primo pomeriggio della città, quasi ricerchiamo il profumo del pane fresco, in realtà, fra le pareti del negozio, si respira l'odore degli ingranaggi delle biciclette, ma il discorso non cambia e la parola, il verbo all'infinito è sempre quello: ascoltare. «La bicicletta va ascoltata, non c'è nulla da fare. Anche da come si fa cadere il manubrio si può capire se ci sono dei problemi. Il suono della catena, quando gira, rivela moltissime cose. La linea guida deve essere la base, poi c'è quello che ti scorre fra le mani e lì anche un quarto, persino un decimo, di giro di vite fa la differenza».
Si tratta di una conoscenza antica, che affonda le proprie radici nella pratica di qualunque ciclista. Anche Claudio Rossi, infatti, ha corso in bicicletta e ricorda con una sensazione di malessere il momento in cui, talvolta, i meccanici gli riconsegnavano la bicicletta e lui continuava ad avvertire qualcosa che non andava. Forse, proprio per questo, quando ha smesso, ha voluto comprare una propria bicicletta e quella ha cercato di conoscerla nel modo più profondo possibile: smontandola, rimontandola, guardando e toccando ogni singola parte, esplorandola. Mettendoci le mani, insomma, e provando la soddisfazione di aver risolto da solo il problema del proprio mezzo che, ora, poteva tornare in strada. Così Rossi non riesce proprio a capire quei ciclisti che non conoscono la propria bicicletta, che non l'ascoltano. Sarà che lui sin da bambino era praticamente incantato dall'oggetto bicicletta: «Ricordo che le osservavo muoversi in città e restavo stupefatto dai riflessi del sole sulle parti cromate: quel loro luccicare, nel movimento, mi ha sempre affascinato. Tanto da portarmi lontano da Como, dalla mia città natale». Sì, era il 2010 e Claudio Rossi si era appena licenziato dal suo vecchio lavoro, immaginando un luogo in cui quella passione potesse diventare un mestiere. Quel luogo è in Toscana, vicino al mare: si tratta di Massa, la città in cui Rossi ha scelto di vivere.
«Lo dico spesso: venite a Massa, sedetevi su una panchina, magari proprio sul lungomare, e guardate cosa succede. Biciclette che vanno e biciclette che vengono. Si percepisce la gioia dell'andare in bici da queste parti. In questo senso, Massa assomiglia a Como. Se chi arrivasse qui dovesse inventarsi un lavoro, penso che lavorare con le biciclette potrebbe essere una buona soluzione, una bella idea». In quei giorni, per la prima volta, Rossi sentiva dire spesso da qualche ciclista: «Mi si è rotto un razzo». Non capiva di cosa si trattasse, poi glielo hanno spiegato. Il razzo, per un toscano, è il raggio della ruota: «Sinceramente, se ci penso, rido di gusto ancora oggi. Ma, allo stesso tempo, il razzo mi ricorda qualcosa che va veloce, che va lontano. La bicicletta può avere senza dubbio queste due caratteristiche: quindi vada per il razzo». Siamo, allora, nel 2010 e Rossi "crea", questo è il verbo scelto nella chiacchierata, il suo primo negozio di biciclette, con officina e servizio clienti. «Era un salto nel buio: chi avrebbe potuto dire come sarebbe andata? L'investimento era stato minimo: era uno spazio di quaranta metri quadrati, presto sono diventati centocinquanta metri quadrati ed ho inserito vari marchi di biciclette». Un agente Trek, qualche anno dopo, gli chiede se è interessato a rivendere biciclette Trek: lui accetta. Tutto diventa più grande, più importante, gli eventi si susseguono: nel 2016, quel negozio diventa il primo concept store Trek in Italia, successivamente sarà il primo negozio bandiera in Italia, con una sede ancora più grande, fino a divenire il primo negozio ufficiale di proprietà Trek, nel nostro paese. Non è solo uno scorrimento temporale, perché, in corrispondenza di ogni data, di ogni cambiamento, bisogna considerare il rapporto con i clienti, con chi torna in quei locali.
«All'inizio c'è stata una fase di assestamento, forse anche di diffidenza perché chi mi conosceva, chi mi aveva visto tirare sù la serranda di quella prima officina, ora mi vedeva in un nuovo ruolo, come dipendente, e faceva fatica a capire. Anche i rapporti, le relazioni di ogni tipologia, sono fatte di ascolto e di dimostrazioni, di spiegazioni. Qui si incontrano persone, con il loro vissuto, la loro storia, e avviene uno scambio umano. Io la definisco proprio esperienza umana. Col passare dei giorni, tutti hanno capito che il rapporto era rimasto lo stesso». L'ospitalità disegna i confini delle cose: una forma di ospitalità che, fino a non molti anni fa, non era nemmeno immaginabile in un luogo in cui, di fatto, si vende, si aggiusta o si ripara: «Le persone devono essere sempre a proprio agio, se è così, tornano. Magari anche senza acquistare: tornano perché stanno bene in quell'ambiente. Si sentono a casa, si trattasse anche solo di chiedere un consiglio. La parola giusta è empatia». Lo stabile si affaccia su viale Roma e viale della stazione, siamo nel centro di Massa, non lontano dal mare: la struttura è industriale, il parcheggio è all'interno. L'ingresso è costituito da un'ampia vetrata, coperta da sticker ed immagini di ciclismo, guardando verso l'alto, all'interno, si nota il soffitto con travi di acciaio sospese, a cui è collegata l'illuminazione. Ci sono ingressi diversi per la vendita e per l'officina.
«Sai che, ogni tanto, mi capita di passare dal vecchio negozio, il primo, quello che ha segnato l'inizio di questa avventura: ora è sfitto, non utilizzato. Quando hai passato molto tempo in un posto, ti spiace vederlo così, vorresti ancora il movimento, l'andirivieni di persone. Io, però, cerco di ricordarmelo ancora com'era, perché è da lì che tutto è partito». In Toscana si usa il termine biciclettaio per chi vende o aggiusta biciclette, Rossi racconta che, visto il livello a cui si è arrivati oggi, fa strano quel termine, molto originario, genuino, allo stesso tempo, però, è bello, è legato alle radici, è importante: «La bicicletta deve essere fatta per durare, credo sia necessario raccontarlo. Nel processo di vendita non viene mai menzionato il prezzo, nonostante colui che acquista cerchi di focalizzarsi subito su questo aspetto. Si prova, invece, a mostrare la qualità del prodotto più bello nella categoria desiderata. Si beve un caffè assieme e se ne parla. Ma non ci si ferma qui: si può provare la bicicletta, farci un giro. L'importante è che la persona che è di fronte a te capisca il valore della bici, non solo il prezzo. Si tratta anche di un fatto di cultura».
Il valore si traduce, nella quotidianità, nel prendersene cura e nel farlo con determinate attenzioni: entro ventiquattro ore dall'ingresso in officina la bicicletta deve essere sistemata e tornare nelle mani del ciclista. In generale, Claudio Rossi parla di un controllo del mezzo un paio di volte l'anno, in ogni dettaglio, in ogni ingranaggio, una sorta di revisione. In quest'ottica Trek ha una filosofia ben chiara: il cliente è l'eroe, colui che compie il viaggio, l'impresa, mentre chi lavora sulla bicicletta è la guida, qualcuno che si mette a disposizione per permettere all'avventura di prendere il là. I dubbi ci sono anche in chi lavora, in chi mette le mani fra le viti e l'olio, fra la catena, la sella, il manubrio e l'importante è che questi dubbi vengano espressi, che ci si confronti: «Serve una sensibilità particolare anche per lavorare su una bicicletta, per accorgersi di un rumore strano, di una rigidità, di una vite da stringere. La sensibilità, però, si può imparare, a patto di chiedere, di fare affidamento sull'esperienza e di scambiarsi queste esperienze. Con i miei collaboratori lavoriamo in questa direzione». La buona notizia è che sempre più persone vogliono muoversi in bicicletta, anche in bicicletta elettrica, in città e questo è indubbiamente qualcosa di grande che permette di guardare verso le città del Nord Europa, il modello a cui ispirarsi, il futuro per quanto concerne le biciclette.
Il dialogo procede fitto fino a che l'attenzione si posa su un quadro, inviato a Claudio Rossi dal presidente di Trek, John Burke. L'immagine raffigura un grosso capanno rosso, poco più sopra una dedica con un pennarello nero, ancora più sù, stampato, un altro testo, anche questo in rosso, evocativo: “Vedi qualcosa di più grande”. Rossi ci spiega che si tratta di un estratto dal libro "filosofia" di Trek. «Tu vedi un capanno rosso, giusto? Anche io ed in effetti il capanno rosso c'è ed è ben chiaro, evidente. Questa è la situazione in cui ci troviamo tutti quando iniziamo a realizzare un progetto a cui abbiamo tanto pensato, che abbiamo tanto immaginato. Muovendo i primi passi abbiamo la sensazione che ci sia poco o nulla. Un capanno rosso, forse neanche quello. Quel quadro è un invito a ricordare che, quando saremo in quella situazione, avremo l'obbligo di guardare oltre, di cercare qualcosa di più grande: quello che potremo realizzare, con impegno, con costanza, con sacrificio, con fatica. Il punto è che per muovere il primo passo è necessario vedere oltre il capanno rosso. Nonostante ci sia, ci sia sempre». Fuori, vicino al mare, anche adesso c'è il fruscio delle ruote di biciclette che partono e ritornano. Bisognerebbe fermarsi su una panchina e limitarsi ad ascoltare, ad ascoltarle. A Massa, in Viale Roma 5.