La Madison di Parigi inizia alla Sei Giorni di Gent
C’è stato un tempo in cui ogni inverno fiumi di spettatori riempivano i palazzetti di tutto il mondo per assistere allo spettacolo delle sei giorni. Dal Madison Square Garden al Palasport di San Siro, per anni il ciclismo su pista ha intrattenuto migliaia e migliaia di tifosi con rapidi cambi all’americana e volate alla ruota di un derny. Il fascino delle sei giorni è ormai decaduto, ma ancora oggi vengono corse e celebrate in delle cattedrali della disciplina come il ‘t Kuipke di Gent. La Zesdaagse van Vlaanderen-Gent, come viene chiamata in lingua fiamminga la sei giorni locale, si corre dal 1922 e, salvo poche interruzioni, ha da sempre rappresentato un punto fisso nella stagione dei migliori seigiornisti al mondo e non solo, tant’è che nell’albo d’oro della competizione si possono trovare coppie dal calibro di Patrick Sercu (plurivittorioso con undici successi) e Eddy Merckx, Donald Allan e Danny Clark (che nel 1994 ha trionfato a 43 anni per la settima volta), Silvio Martinello e Marco Villa e più recentemente Bradley Wiggins e Mark Cavendish e Elia Viviani e Iljo Keisse. Sebbene l’appellativo di seigiornista sia caduto in disuso a causa dell’ormai striminzito calendario della specialità, ancora oggi alcuni tra i migliori pistard del mondo si sfidano al ‘t Kuipke per tenersi in forma durante l’off season e affinare l’intesa di coppia in vista delle gare di americana più importanti della stagione, quella mondiale e quella olimpica. Infatti le sei giorni si corrono in coppia e la classifica generale si basa sui giri guadagnati nelle madison. Tuttavia si può ottenere un giro di vantaggio anche ogni cento punti racimolati nelle varie prove, che a Gent sono corsa a punti, giro di pista a coppie, eliminazione individuale, eliminazione a coppie, derny, 500 metri a cronometro in coppia, scratch e ovviamente madison.
Quest’anno a Gent si sono presentate dodici coppie, molto eterogenee tra loro: i nazionali neerlandesi Havik e Van Schip, la collaudata coppia tedesca composta da Kluge e Reinhardt, i campioni in carica De Vylder e Ghys, i britannici Stewart e Wood, le riserve di De Vylder e Ghys nella nazionale belga ovvero Van den Bossche e Hesters, le riserve delle riserve cioè Vandenbranden e Dens, due astri nascenti della pista come Pollefliet e Teutenberg, gli esperti Norman Leth e Rickaert, una coppia già collaudata con un terzo posto alla Tre giorni di Copenhagen come Gate e Malmberg, i giovani olandesi e francesi Hoppezak e Heijnen e Nillson Julien e Tabellion e infine l’esperto Scartezzini con il 2005 Van den Haute. Ad avere la meglio sono stati nuovamente De Vylder e Ghys, che hanno chiuso con più di cento punti di vantaggio sui primi inseguitori, ovvero Havik e Van Schip, e con un giro e quasi ottanta punti su Van den Bossche e Hesters. Già dalla seconda giornata di gare proprio queste tre coppie sono emerse nella lotta al gradino più alto del podio, ma i campioni uscenti solo alla quarta serata sono balzati definitivamente in testa alla classifica mettendo a segno 58 punti, contro i 28 di Havik e Van Schip, grazie ai successi nell’eliminazione, nel giro di pista e nel derny con Ghys. Tuttavia, nelle ultime due sessioni di gare, i principali avversari di Ghys e De Vylder si sono rivelati i connazionali Van den Bossche e Hesters. I due, in forza rispettivamente alla Alpecin Deceuninck e alla Sport Vlaanderen Baloise, rappresentano le principali insidie alla convocazione olimpica per i campioni della Zesdaagse, anche se dopo Gent la questione potrebbe essere definitivamente chiusa. Van den Bossche (classe 2000) e Hesters (1998) infatti sono due specialisti dell’americana giovani e collaudati proprio come Ghys (classe 1997) e De Vylder (1995): chissà se la nazionale belga sceglierà di mischiare le carte alla partenza della madison di Parigi?
A scippare la seconda piazza a Van den Bossche e Hesters sono stati i campioni del mondo Havik e Van Schip, i quali, al contrario dei due belgi, sono senz’altro certi della qualificazione olimpica. L’estate prossima infatti la coppia oranje avrà probabilmente un’ultima occasione per agguantare una medaglia olimpica dopo l’argento e l’oro europeo di Apeldoorn 2019 e Grenchen 2021 e il recente titolo iridato conquistato a Glasgow. Parigi potrebbe essere sede di un’ultima danza ai giochi olimpici anche per la coppia tedesca Kluge - Reinhard, che corre mano nella mano dal 2018. In queste sei stagioni i due teutonici si sono laureati due volte campioni del mondo di specialità (Glasgow 2018 e Pruszkow 2019) e campioni europei negli ultimi due anni. Nel palmares di entrambi, che complessivamente conta nove medaglie mondiali, 11 europee e l’argento di Kluge nella corsa a punti di Pechino 2008, manca solo un oro olimpico, che li renderebbe una delle coppie più vincenti della storia della madison. Parlando di ori olimpici non si può non citare il campione olimpico uscente dell’americana: Lasse Norman Leth. Il danese, che ha corso assieme al pesce pilota della Alpecin Deceuninck Jonas Rickaert, al ‘t Kuipke non ha brillato particolarmente, piazzandosi in penultima posizione a ben trentacinque giri di distanza dai vincitori, solamente davanti alla strana coppia Scartezzini - Van den Haute, ma per sua fortuna Parigi è ancora molto lontana e il prossimo anno si dedicherà esclusivamente alla pista scendendo di categoria su strada. A non essere certo del ticket olimpico è invece il britannico Oliver Wood, decimo a Ghent assieme allo scozzese Mark Stewart, che dovrà vedersela con Matthew Walls, Ethan Vernon e William Tidball per il posto da compagno di squadra di Ethan Hayter.
Tuttavia in settimana è arrivato il forfait di Fred Wright, campione nazionale su strada e amico d’infanzia di Hayter, che ai Giochi si dedicherà esclusivamente alla prova in linea. Ancora più complicata la convocazione per Michele Scartezzini, per il quale Villa e Bennati dovrebbero rinunciare ad Elia Viviani o portare due specialisti del quartetto nella prova in linea: i pochi posti a disposizione pongono i cittì di tutto il mondo davanti a scelte complicate e dolorose. Con così poche gare in calendario, la sei giorni di Ghent è stato un importante banco di prova in vista di Parigi: l’avvicinamento dei grandi campioni della madison all’appuntamento più importante degli ultimi quattro anni è passato per il ‘t Kuipke.
Il questionario cicloproustiano di Bryan Olivo
Il tratto principale del tuo carattere?
L’altruismo.
Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Lealtà.
Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
L’eleganza.
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
La fiducia.
Il tuo peggior difetto?
Testardaggine.
Il tuo hobby o passatempo preferito?
Motorsport.
Cosa sogni per la tua felicità?
Passare professionista.
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Perdere i miei genitori.
Cosa vorresti essere?
Un ciclista professionista.
In che paese/nazione vorresti vivere?
Spagna.
Il tuo colore preferito?
Blu.
Il tuo animale preferito?
Cane.
Il tuo scrittore preferito?
Leopardi.
Il tuo film preferito?
Unbroken.
Il tuo musicista o gruppo preferito?
Russ Millions.
Il tuo corridore preferito?
Van der Poel.
Un eroe nella tua vita reale?
Mio papà.
Una tua eroina nella vita reale?
Mia mamma.
Il tuo nome preferito?
Bryan.
Cosa detesti?
La poca professionalità.
Un personaggio della storia che odi più di tutti?
Stalin.
L’impresa storica che ammiri di più?
L’impero Romano.
L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Froome al Giro d’Italia.
Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Mondiale.
Un dono che vorresti avere?
L'esplosività.
Come ti senti attualmente?
Felice
Lascia scritto il tuo motto della vita.
Crederci sempre.
Foto: Sprint Cycling Agency
Eroica Caffè Milano e Padova
Giancarlo Brocci racconta spesso i suoi pomeriggi di ragazzo, quelli in cui scoprì il ciclismo. Accadde in qualche caffè della Toscana, sì, caffè, non bar, come si chiamavano in quegli anni, mentre da qualche parte si correva il Giro d'Italia od il Tour de France, era maggio, oppure luglio, e, sul bancone, c'erano i quotidiani con l'articolo riferito alla tappa del giorno prima. Qualcuno gli chiedeva di leggere quei pezzi a voce alta, lui apriva il giornale, lo spalancava, il profumo della carta svolazzava, come i fogli, ed iniziava la lettura: la gente si fermava, restava ad ascoltare la sua voce e, non potendo vedere, si permetteva il lusso di immaginare le vette, le discese, le volate, persino le crisi e le cadute. Anche il bottegaio diventava romanziere e qualunque tappa era ad immagine e somiglianza di chi la stava ascoltando, nonostante le parole fossero le stesse per tutti, vibrate dalle corde "del Brocci", impregnate di toscano.
Sono passati più di cinquant'anni da quei giorni, i bar sono cambiati quasi quanto le strade che si arrampicano sulle montagne, anche le biciclette ed il ciclismo sono diversi, ma la sostanza, in fondo, è sempre quella: di sudore, di fatica, di immedesimazione e di piacere, qualcosa che ricorda la felicità. «Le radici- spiega Andrea Benesso, che cura la comunicazione di Eroica- sono antiche e sono le stesse, il ciclismo resta condivisione. Fa piacere pensare ad un bicchiere di vino davanti alla tv, ad un arrivo sul Mortirolo o sull'Alpe d'Huez, con nel piatto della ribollita o della finocchiona, quei vecchi caffè all'italiana li ricordiamo tutti, come quei pomeriggi, anche chi non li ha vissuti, in fondo, li ricerca, perché oggi si sono un poco persi». Allora, per la prima volta nel racconto degli Alvento Points, la nostra sarà una storia discontinua nel tempo e nello spazio, come avrebbe detto Italo Calvino, ne "Le città invisibili", tra Padova e Milano, dove hanno sede i due Eroica Caffè, nati da queste constatazioni: «Le due chiavi sono bellezza e cultura. La bellezza della fatica, coniugata con la conoscenza dei luoghi, tra storia e geografia, con il sollievo di una sosta, di quella forchetta o di quel cucchiaio che pescano nei sapori forti della tradizione ed anche la tradizione è cultura, il tutto in compagnia, perché la bicicletta è piacere, profondo, originale». Nasce così questa storia.
Eroica Caffè Milano sorge, di fatto, su un vecchio locale di ricambi per auto e moto, all'esterno c'è ancora la vecchia insegna, mantenuta, tale e quale, allo stesso modo di parte della struttura interna che conserva aspetti industriali, come il soppalco del magazzino, su cui l'architetto ha insistito molto, affinchè si potesse respirare l'aria della Milano di ieri, per poi guardarsi attorno e orientarsi nel mondo eroica, tra bici storiche, cimeli e vecchie maglie. I locali sono ampi, grandi sono i tavoli: la velocità non è di qui, serve, invece, il tempo, la tranquillità per restare assieme, per farsi compagnia, per accogliere anche chi non fa parte di questo mondo, che deve sentirsi bene, a casa, perché essere ospitali significa questo ed è valore fondante di Eroica. La città è complicata, chi vi abita, di solito, in bici va verso l'esterno ed è difficile che qualcuno prenda la bicicletta per entrare a Milano. Si vedono ciclisti urbani, il mondo delle Cargo Bike, la realtà di chi lavora in bicicletta ed è questa la community che si ritrova su quei tavoli, in un'atmosfera bike friendly. A parlarci è Giacomo, che vi lavora da fine 2020, lui che rimase colpito dalla prima volta a Gaiole in Chianti, ma anche a Montalcino: «In piazza ho visto un gruppo di persone ballare lo swing: insieme c'erano signori di settanta anni e ragazzi di venti. Incredibile». Lui che ha ascoltato Lorenzo Barone e Willy Mulonia, in Mongolia ed in Alaska, e riesce solo a narrare lo stupore: «Quanta forza di volontà serve? Quanto bisogna essere tosti per farcela, per resistere?». Non vuole, invece, parlare di clienti, dice che sono persone e come tali vanno trattate, provando a conoscerle, a stabilire un rapporto. Fanno così anche gli eroici di Milano e dintorni che, ogni tanto, accolgono un nuovo eroico, che passa dal locale, magari per caso, probabilmente proprio in cerca dell'incontro da cui verranno altre pedalate e altre storie, scambiate a pranzo o a cena.
A Padova, Eroica Caffè è uno dei più spaziosi della città ed anche questo si abbina perfettamente all'ospitalità: in caffè più piccoli può capitare di sentirsi a disagio ad occupare per molto tempo i tavoli, quasi si rubasse spazio ad altri ospiti, qui no. Anzi, c'è stupore da parte di chiunque entri: si fanno foto alle biciclette ed alle maglie, ci si sorprende, come due signore, qualche giorno fa, per quei menù con a fianco l'indicazione dei chilometri da percorrere per smaltire i piatti degustati. Benesso prosegue: «Un invito a godere delle cose belle: mangiate con gusto, ci sarà poi modo di smaltire, è sbagliato privarsene». L'arredamento è a cavallo tra passato e futuro, riviste e libri sono un omaggio alla cultura delle storie e dei racconti, come gli incontri e le presentazioni che si tengono, nelle sere qui. Notevole è anche la panca lunga dieci metri a celebrare il record dell'ora di Francesco Moser. Mentre i viaggiatori scoprono Padova ed anche gli stranieri sono incuriositi dal locale e fiduciosi in un brand internazionale. Qui è Davide ad accoglierci: appassionato di bici e di gravel, un classico in città, ha esplorato i Colli Euganei, le zone intorno, in Veneto. Viene al lavoro in bicicletta ed a fianco a lui ha un amico con cui condivide ogni cosa, sin dalla nascita, ad un giorno di differenza, dalla prima infanzia, dalle elementari. Il lavoro l'ha imparato da papà e dice orgoglioso che «non lo cambierebbe mai».
Certo, negli anni l'ha modernizzato, ha affiancato alla ristorazione altri aspetti che le persone ricercano. «Quando si entra qui, tra le luci soffuse del locale e quell'arredamento ordinato-disordinato, siamo tutti uguali. Essere ciclisti significa anche spogliarsi della maschera sociale che indossiamo sempre, salutarsi con un ciao e soprattutto con il nome. Non si può capire che differenza faccia sentirsi chiamare con il proprio nome. Ci si siede più volentieri, si torna sorridendo». Lo sguardo cade sui menù: pasta e fagioli, trippa alla parmigiana, in inverno la ribollita e poi quelle "ruote", quell'impasto panificato e poi farcito in ogni modo, anche con la mortadella. Ci sono anche momenti più complicati, quelli in cui gli incontri finiscono, la festa si silenzia e c'è da sistemare tutto, oppure nei giorni di overbooking. L'auspicio è che Padova possa ancora crescere nell'attenzione alla mobilità, negli eventi dedicati alla bicicletta.
Si ritorna a Giancarlo Brocci, al suo ricordo di quelle letture da ragazzo e alle persone che ascoltavano. «L'idea è quella che chiunque abbia una bella storia e voglia raccontarla possa pensare di passare di Eroica Caffè e trovare qui persone curiose di sentire. Certo, ospitiamo anche nomi importanti, famose, professionisti, penso a Lachlan Morton e Nathan Haas, contenti di essere passati da noi- prosegue Benesso- ma la fiducia di cui parliamo è quella nelle storie. Ha fatto qualcosa di bello? Bene, sai che questo è il tuo spazio. Vuoi sentire una bella storia? Allo stesso modo, è il tuo luogo, anche se non conosci per nulla chi racconterà, perché qui le storie sono pane quotidiano».
Si commentano anche le gare, trasmesse in diretta televisiva, come in occasione di "Mai dire Milano-Sanremo", dello scorso anno. Insieme alle biciclette che i clienti possono portare all'interno: a Padova, un giorno, c'erano circa 890 bici nel locale, accanto al tavolo in cui pranzare o cenare, senza il bisogno di continuare a guardare fuori, per controllare che nessuno l'abbia toccata: «Si tratta di un gesto di cura e le persone hanno voglia di questi gesti, i ciclisti, poi, in particolare». Quando la porta si apre e qualcuno arriva, tutto si muove affinché quell'approdo sia un momento piacevole, di risate, divertimento, accoglienza ed inclusione, ogni volta fra persone diverse, più o meno giovani, famiglie e ragazzi: «Dovreste vedere gli stranieri che si presentano, fanno conoscenza, scoprono luoghi, attraverso le ride e sanno di essere nel posto giusto, stradisti o gravellisti che siano. A Padova, c'è la città, i Colli Euganei, dove il 99% dei ciclisti padovani fa il suo giro, si può salire nel verde, oppure andare verso il mare, verso Chioggia, attraverso gli argini dei fiumi che collegano le città, praticamente senza auto. A Milano, è interessantissimo il progetto "AbbracciaMi": uscendo in qualsiasi direzione dalla città, si può pedalare attorno e ritrovarsi, nel giro di pochi chilometri, in zone con tanto verde e tanta acqua. Non sono di certo io a scoprire i Navigli». Si pensa anche a delle mappe che possano essere messe a disposizione per suggerire una gita, un tragitto.
Non è stato facile, soprattutto all'inizio, in piena pandemia, il successo che è arrivato è speranza, forza per pensare ad altre aperture, anche all'estero: ogni settimana arrivano richieste di persone che si riconoscono in Eroica ed è un orgoglio perché è come riconoscersi nel “made in Italy": «La radice del ciclismo storico la troviamo in Italia, come in Francia. Sono questi i paesi in cui ci sono ricordi così profondi: mio padre vedeva il Giro ed il Tour al bar, esattamente come Brocci. Il ciclismo era quasi una religione, a tratti più del calcio, della nazionale italiana. era uno sport in cui poteva emergere l'italianità: il sacrificio, ma anche il piacere, la gioia, la bellezza, la capacità di assaporare la realtà, anche quando complessa. Quella socialità molto toscana, sarà per questo che, se penso ad Eroica me la immagino come una vecchia cartolina che ritrae la Toscana, con tutti gli elementi caratteristici tipici».
L'arredamento all'interno dei locali può variare, soprattutto cambiano le biciclette di volta in volta esposte: Benesso cita la bicicletta di Fausto Coppi, della Cuneo-Pinerolo, oppure delle Colnago di raro pregio, convivono biciclette da strada e da pista, oggetti unici ed inestimabili, custoditi e valorizzati. Qualcuno parte da casa e si ferma ad Eroica Caffè per mangiare una fetta di torta prima o dopo il giro quotidiano, altri vengono per pranzo o cena, soprattutto adulti, mentre i giovani affollano le ore dell'aperitivo. Ogni tanto si risente la voce di Giancarlo Brocci e lo si vede arrivare, sedersi al tavolo ed iniziare a chiedere, a raccontare una qualche avventura, come fosse a casa e Brocci, ad Eroica Caffè, ha proprio la sensazioni di essere a casa, in una seconda casa, mentre incontra il suo popolo e parla di biciclette e di ciclismo eroico. Alla fine, non è cambiato poi così tanto, nonostante gli anni che sono trascorsi.
Foto in evidenza: Chiara Redaschi