Breve guida alla Strade Bianche 2024

Sabato 2 marzo, Strade Bianche, con una modifica al percorso che aumenta ulteriormente il blasone di una gara che in pochi anni - siamo alla diciottesima edizione - si è elevata a rango di grande classica del calendario: appuntamento imperdibile per i tifosi e obiettivo da perseguire per alcuni tra i corridori più forti del momento.

L’albo d’oro, da questo punto di vista, non mente. Nelle ultime edizioni spiccano, nell’ordine, van der Poel, Alaphilippe, van Aert, Pogačar e Pidcock. Di questi, ahinoi, al via non ci saranno i due van che ritroveremo uno alla Sanremo, l’olandese, l’altro un po’ più avanti, il belga, mentre Alaphilippe, nonostante la buona volontà, ci pare da diverso tempo sulla via di un inesorabile declino.

IL PERCORSO

Un cambiamento deciso: intanto facciamo un sentito applauso agli organizzatori che hanno deciso di mettere mano a un percorso già (quasi) perfetto così com’era e ci chiediamo se magari un giorno quella stessa mano, ma ne basterebbe una simile, verrà data anche alla Milano-Sanremo: lo sappiamo, non succederà, ma siamo inguaribili ottimisti.

Si passa da 184 a 215 chilometri, con quindici settori in sterrato rispetto agli undici del 2023; 71,5 i chilometri di strade bianche contro i 63 dello scorso anno. Trentuno in più per una corsa già dura di suo peseranno e non poco, considerando, poi, che lo sterrato sarà, sì, battuto, sia per via della pioggia caduta in questi giorni  - e che dovrebbe dare tregua sabato - e dal passaggio dei tantissimi mezzi che precedono la corsa, ma rischierà in diversi tratti di appesantire e indurire la gara. E poi perché quei chilometri aggiunti non sono casuali tratti in asfalto a inizio gara come si poteva temere. No, perché il passaggio di Colle Pinzuto e Le Tolfe, il più scenografico, variopinto, spesso anche tecnicamente decisivo, raddoppia.

Questo darà la possibilità ai tifosi (che saranno come sempre tantissimi) di vedere i corridori passare due volte e renderà il finale ancora più selettivo, ma chissà, forse rischierà di far diventare Monte Sante Marie, ora situato a quasi ottanta chilometri dall'arrivo, non un tratto meramente caratteristico, ok, perché comunque una selezione naturale avverrà, ma magari non più decisivo, o quasi, ai fini del risultato finale. Vedremo, perché poi funziona sempre come recita la più nota delle frasi fatte legate al ciclismo: la corsa la faranno i corridori e se qualcuno di importante vorrà portare via un gruppo sul tratto dedicato a Cancellara, la possibilità ci sarà. Inutile, per concludere, soffermarci ulteriormente su quello che sarà il finale, arcinoto, piuttosto andiamo a vedere i nomi più interessanti al via.

FAVORITI

⭐⭐⭐⭐⭐

Tadej Pogačar. Qui ha corso quattro volte e una volta ha vinto. Ha deciso di partire da lontano e nessuno gli è stato dietro: era il 2022. Può vincere in qualsiasi modo, anche perché viene da chiedersi, senza l’amico rivale van der Poel, chi può stargli dietro? Ecco, forse l’unico dubbio deriva dal fatto che sarà la sua prima corsa stagionale e non gli è mai capitato di vincere all’esordio. Mettiamo le mani avanti: una sua controprestazione (da leggere come risultato diverso dal primo posto) sarà legata all'alea di uno sport come il ciclismo e in particolare a una corsa con così tante insidie come cadute o problemi meccanici.

⭐⭐⭐⭐

Tom Pidcock. Vincitore uscente, ha mostrato una buona gamba tra Portogallo e Belgio, buona, ma non irresistibile, anche se questa è stata finora la sua caratteristica più spiccata almeno nelle gare su strada. È un corridore che non sembra mai poter fare la differenza eppure è sempre lì, anche quando conta. Guida la bici come pochi, lo scorso anno l’attacco decisivo arrivò in discesa sullo sterrato. Ecco, potrebbe essere una delle debolezze del suo avversario principale: chissà che non possa provare qualcosa di simile giù per le Sante Marie, un attacco magari congeniato con la squadra - avere qualcuno in appoggio più avanti nel lungo tratto tra la discesa delle Sante Marie e il settore successivo, potrebbe essere una buona idea. Anche se, vista la distanza dal traguardo, appare un'azione da tutto o niente: ma lo scorso anno l'azione dalla media distanza pagò e, se si vuole battere lo sloveno, qualcosa bisognerà pur inventarsi.

Sepp Kuss. Perché sugli sterrati va e come, perché la corsa sa premiare anche i pesi leggeri, perché se corresse più spesso le corse di un giorno dure ci farebbe divertire, e quindi ci aspettiamo che ci faccia divertire, perché sarà il capitano della squadra più forte al mondo e quindi non è un caso averlo inserito così in alto. E poi perché preferiamo corridori che si mettono in gioco anno dopo anno allontanandosi da quella che è la propria zona di benessere. Kuss è uno che, quando lo fa, lo fa bene.

⭐⭐⭐

Romain Grégoire. Trenta chilometri in più per il classe 2003 potrebbero non essere banali, ma visto l’impatto avuto in questo primo anno e tre mesi con il professionismo, pensiamo che difficilmente potranno scalfirlo. Profilo perfetto per questa corsa: guida benissimo, sa tenere su salite non troppo lunghe, è veloce, oltretutto pure lui corre in una squadra che sta bene ed è particolarmente agguerrita. Lo scorso anno all’esordio ha chiuso ottavo.

Ben Healy. Ha terminato in crescendo la Volta ao Algarve mandando un segnale per quella che sarà la sua lunga primavera - che chiuderà con il Giro d’Italia. Domani, alla Strade Bianche, Ben Healy sarà uno dei profili da seguire con maggiore attenzione soprattutto lontano dal traguardo. Un suo attacco a lunga gittata non è nemmeno quotato e chi volesse anticipare per poi chiudere con un piazzamento dignitoso è pregato di seguire la maglia del campione irlandese. Oltretutto è uno che non soffre, anzi, le tante ore passate in sella: per lui il podio è alla portata.

Tim Wellens. Nelle prime uscite stagionali, come peraltro accadeva con regolarità in passato, Tim Wellens ha mostrato di avere una gamba tirata a lucido. Eccezionale soprattutto alla Kuurne Brusseles Kuurne dove non ha mai esitato agli allunghi di van Aert. Mai peggio di tredicesimo in Piazza del Campo, e sul podio nel 2017, approfittando della spinta UAE, domani Wellens è uno dei maggiori candidati a un posto tra i primi tre.

Toms Skujiņš. Fino a due anni fa era un ottimo corridore in gare di secondo piano, importantissimo di fianco ai suoi capitani, a volte riusciva a tirare fuori una zampata a livello personale anche nelle corse importanti, con colpi da top ten. Lo scorso anno ha fatto un ulteriore salto di qualità, quest’anno, alla Omloop Het Nieuwsblad, ci ha impressionati: a un certo punto ha staccato van Aert su uno strappetto. Le conclusioni traetele voi.

Matej Mohorič. È vero, non ha un grande feeling con questa corsa, a eccezione del 2023 quando chiuse a ridosso del podio. È vero, non è partito così forte, nonostante abbia già vinto e si sia visto al contrattacco sia alla Omloop Het Nieuwsblad che alla Kuurne Bruxelles Kuurne. L’impressione è che manchi ancora qualcosa per vedere il miglior Mohorič, in generale la migliore Bahrain, ma escluderlo dal novero dei favoriti sarebbe un errore.

⭐⭐

Lenny Martinez: dopo la vittoria al Laigueglia è da tenere d'occhio. L'altimetria non gli fa paura, è migliorato nella guida del mezzo e la giovane età e l'inesperienza ormai non sono più una debolezza nel ciclismo di oggi;
Attila Valter: è il piano B in casa Visma, andato fortissimo già l'anno scorso;
Neilson Powless: come il suo compagno di squadra Healy è uno che più la corsa è dura e lunga e più va forte;
Romain Bardet: qui ha già fatto molto bene e con condizioni di meteo simili e insieme a Kevin Vermaerke forma una coppia di outsider molto interessante;
Michał Kwiatkowski: ha un talento noto innato e un feeling particolare con una corsa già vinta due volte. Magari la sua parabola sarà discendente, ma per un piazzamento nei 10 lui c'è;
Quinn Simmons: qui ha offerto sempre ottime prestazioni. Non lo aiuta il suo essere spesso indecifrabile a livello di risultati e anche la discontinuità nella stessa gara;
Daniel Felipe Martinez: è forse nel miglior momento della carriera e sulle salite brevi non teme nessuno;
Bastien Tronchon: giovanissimo, è uno dei leader di una Decathlon partita fortissimo e lui per caratteristiche ci sembra il più adatto;
Maxim Van Gils: migliora di gara in gara, di anno in anno. Esplosivo, dotato di spunto veloce, resistente su salite da 5, 10 minuti. Cliente molto scomodo per tutti.
Krists Neilands e Dylan Teuns: la coppia della Israel PT è partita forte e mira a un piazzamento nei dieci; ,
Jan Christen e Marc Hirschi: potranno essere sfruttati in diversi modi da quella che sarà a tutti gli effetti la squadra di riferimento in corsa. Entrambi a nozze con questo tipo di percorso hanno dimostrato, recentemente, di stare molto bene.

Filippo Zana, Davide Formolo, Carlos Canal, Magnus Sheffield, Quinten Hermans, Valentin Madouas, Lenny Martinez, Axel Zingle, Alberto Bettiol, Richard Carapaz, Julian Alaphilippe, Simone Velasco, Lennard Kämna, Andrea Vendrame, Paul Lapeira, Lorenzo Rota, Simon Clarke, Andrea Bagioli, Lennart Van Eetvelt, Gianluca Brambilla, Julian Alaphilippe, Davide De Pretto, Jonathan Restrepo, Sergio Higuita, Ben Tulett e Kevin Vauquelin, sono alternative con poche ambizioni da vittoria, ma con buone possibilità di fare una buona gara e ottenere un ottimo piazzamento.

 

 


Residence Les Fleurs, Gressan

Le mani di nonno Stefano e dei suoi amici più stretti, circa settant'anni fa, a Gressan, nella conca di Pila, in Valle d'Aosta, mescolavano la malta e posizionavano mattoni dalle prime luci dell'alba sino a quando la sera allungava le prime ombre nei cortili e la luna brillava tra le montagne. Erano gli inizi degli anni cinquanta, gli anni della ricostruzione: quell'uomo, dopo essersi dedicato all'agricoltura, al commercio del legno ed anche alla siderurgia, senza l'aiuto di alcuna ditta edile, iniziava a costruire il primo albergo della zona, «un alberghetto a gestione familiare», nel periodo in cui il turismo estivo cominciava a svilupparsi in una regione a prevalente vocazione agricola. "Les Fleurs", sarebbe stato il suo nome, come la frazione del paese: dove nonna passava ore ed ore in cucina, per più di quarant'anni, preparando "i suoi piatti" per chi chiedeva ospitalità e una calda pietanza. Il bar, il ristorante, l'albergo e anche i vecchi "alimentari", negozi che oggi non esistono praticamente più, dove, allora, la gente del paese faceva la spesa e chiamava per nome la signora alla cassa: più lontano, i loro vigneti e meleti che li avrebbero accolti nel periodo della pensione, quando a "Les Fleurs" sarebbero giunti dapprima la mamma e lo zio di Tiziano Saltarelli e, ancora dopo, Tiziano stesso e la moglie Nathalie.

Nel frattempo, negli anni sessanta, anche l'inverno diventava stagione di viaggi e la neve, lo sci, cambiavano forma: si vedevano le prime seggiovie ad un posto, i nuovi impianti, le telecabine, fino alle seggiovie, da Aosta a Pila, che facevano sembrare lontanissimo il periodo in cui quei nonni sciavano con mezzi primitivi e risalivano la montagna a piedi, battendo in questo modo la pista. In fondo, quei momenti si possono intuire osservando l'arredamento del Residence Les Fleurs, il cui tema principale è il territorio: ecco gli sci del nonno e dello zio di Tiziano, da un lato, dall'altro lo slittino che adoperava la nonna, oppure quella vecchia e ben curata bicicletta Bianchi degli anni cinquanta: «Noi viviamo qui dalla mattina alle sei fino alla sera a mezzanotte, non voglio pensare a tutte le ore che passo qui perché, se lo facessi, probabilmente, un giorno o l'altro, finirei per darmi del matto, ma, proprio per questo, le pareti di questi locali non potevano che essere riempite dalla nostra vita, dai nostri ricordi». Nathalie, spesso, lo rammenta al marito: gli dice che, non appena lascia il paese di Pont- Saint-Martin, gli si legge la nostalgia sul volto, allora Tiziano si volta, sorride e, rassegnato, esclama: «Per me la montagna è tutto, sono maestro di sci, appena sveglio cerco il Grand Combin, il Monte Bianco, il Cervino: come potrei accettare un altro orizzonte?».

Tiziano Saltarelli conosce bene la lontananza, l'ha vissuta sulla propria pelle: è cresciuto fra queste strade, qui ha studiato, ha iniziato ad andare in bicicletta, poi, quella bicicletta, da ragazzino, l'ha portato altrove. «Capisco perfettamente la metafora del ciclismo, il sacrificio, la distanza, la fatica. Non per sentito dire, non per romanticismo, bensì perché mi è successo. Non so nemmeno perché sono tornato qui, quasi come seguendo un richiamo delle origini, delle radici che che ti restano incise sulla pelle. Ad un certo punto non potevo fare altro: dovevo tornare a Gressan, dovevo continuare quel che aveva intrapreso mio nonno»: era la fine degli anni novanta, "Le Fleurs" era chiuso da qualche tempo e Tiziano non ci pensava nemmeno più, almeno fino a quel giorno, a quella nostalgia, a quell'istinto. Dove prima c'era un albergo, Saltarelli progetta un residence, attraverso una ristrutturazione completa: le camere diventano appartamenti, ma i visitatori trovano la stessa ospitalità, a tutto tondo, degli inizi, il bar ed il ristorante e la storicità di un luogo che era entrato negli anni duemila. Tiziano e Nathalie lavorano, sistemano, si guardano attorno, osservano tutto quel che accade, sono la terza generazione a farlo, e, in anni di esperienza, sono certi che quei locali, quel residence, siano, per molti, qualcosa in più. La loro è una sorta di teoria, un teorema dimostrato grazie a formule fatte di incontri e piccole o grandi condivisioni: «Esiste una sorta di trasformazione che si verifica in luoghi come questo, sarebbe bello studiarla. Basta osservare le persone quando arrivano e quando se ne vanno, tornano a casa: all'inizio c'è freddezza, talvolta spaesamento nel ritmo della vita quotidiana, un poco di cinismo, di aggressività, quella forma di pretesa che si manifesta nelle richieste. Qualche giorno, qualche notte e quello strato di negatività si dissolve, si manifesta una nuova gentilezza, il desiderio di restare qualche minuto a parlare, cercando qualcuno da ascoltare e che possa, a propria volta, ascoltarci».
La società, prosegue Tiziano, è cambiata in maniera netta in questi settant'anni, le persone si sentono sempre più sole, isolate, faticano ad interagire con gli altri e, con il mondo virtuale, spesso questa interazione non è nemmeno più richiesta. Una situazione già complessa, con, sullo sfondo, la frenesia in cui tutti siamo immersi: la vacanza è una via di fuga, dove, giorno dopo giorno, si riscopre la possibilità, forse il dovere, della lentezza, allora i visitatori diventano libri aperti, spalancati: «Più di una volta, di fronte ad alcune confidenze, mi sono chiesto cosa avessi fatto per meritarmele, per essere degno di quella fiducia. La verità è che tutti abbiamo necessità di raccontare cosa facciamo e perché lo facciamo, se non accade, appena si apre un varco, che ci mette a nostro agio, iniziamo a parlare e non vorremmo più fermarci».

Le rose hanno mostrato le spine più di una volta, il bilancio del ritorno resta positivo, per i bei momenti, le situazioni vissute inaspettatamente e anche perché «mi ha lasciato la possibilità di sognare». Dice Tiziano che la sensazione è la medesima di quando si scala il Mont Ventoux o una salita epica, si fatica a stare a ruota e, ogni due per tre, ci si chiede perché lo si stia facendo, se non si poteva stare bene anche evitandosi quello strazio. Mentre si riflette, passano i metri, si arriva in cima e, dall'alto, quasi non si ricordano più le maledizioni lanciate a quell'asfalto, alla neve, alla grandine, al freddo. «Qualche volta ho pensato di acquistare un cartello enorme, il più grande possibile, e scriverci, a caratteri cubitali: "Chiuso per sempre". Giusto per esser certi che tutti lo sapessero, che nessuno venisse a cercarmi chiedendomi di riaprire. Tutti i giorni dubito, ma, alla fine, sono sempre sicuro che sia questo il mestiere che mi completa, che tutto il tempo libero in più non mi farebbe stare bene quanto mi fanno stare bene queste mura, in fondo, sono in un bel punto del cammino, così quel cartello non lo appendo mai». All'interno del Residence Les Fleurs, piuttosto, al mattino presto, soprattutto in estate, progetta tracce da percorrere in bicicletta e le affida ai clienti pedalatori: l'idea è di mostrare sempre nuove strade, luoghi meno conosciuti, ben sapendo che sarà quel destriero che ha nome bicicletta ad accompagnare il viaggiatore chissà dove.
Ecco perché se, quando inforca la bici, gli si chiede dove sia diretto, Tiziano non sa quasi mai cosa rispondere: «Sono nato nel 1973, ho cinquant'anni e la valle d'Aosta mi ha visto crescere eppure, a conti fatti, forse ho sempre conosciuto solo il cinque percento delle strade di casa. Grazie alla bicicletta ho iniziato ad andare nel paese vicino, a perdermi e tornare a casa entusiasta raccontando a mia moglie di un nuovo sentiero e vedendola sorpresa, con gli occhi sgranati a farsi trasportare dal racconto, come se stesse seguendo una traccia. Qualche ciclista torna qui, dopo il giro, e, ancora stanco, sudato, mi si avvicina e: "Ma in che posti meravigliosi mi hai mandato? Dai, preparami un'altra traccia per domani". In quell'attimo, sono la persona più felice del mondo». La bicicletta da corsa è stato il primo regalo che Tiziano ha chiesto ai genitori, per vedere delle biciclette da corsa ed i suoi idoli, Gianni Bugno o Claudio Chiappucci, ha seguito diversi Tour de France, è rimasto ore avvolto nella calura estiva del Tourmalet o della Croix de Fer, dopo aver sognato di incontrarli per così tanto tempo da non poterlo calcolare: sostiene che la bicicletta sia il mezzo migliore per pensare, per rimodulare i pensieri, mettere tutto nella giusta prospettiva, un inno alla giusta velocità, per fare amicizia, «bastano due chilometri o poco meno», e per vedere la fatica in un'altra ottica, per non temerla, come hanno insegnato le biciclette elettriche che hanno avvicinato ai pedali persone che, magari, li avrebbero evitati per timore di quella sofferenza.

L'ospitalità, nel suo vocabolario, è strettamente legata al valore dell'accoglienza, al rendere il luogo in cui si giunge come casa, «poi, non è possibile accontentare tutti, far sentire realmente ogni persona a casa, però è parte della realtà: le persone hanno esigenze differenti, desiderano un'accoglienza diversa e hanno necessità differenti, l'unica cosa possibile è augurarsi che trovino un posto che restituisca le sensazioni di casa». I progetti sono il pane quotidiano di chi fa il mestiere di Tiziano e Nathalie e anche loro ne hanno talmente tanti che «dovremmo chiacchierare minimo per altre sei ore», ma il più significativo, più che un progetto, è un auspicio: «Anche noi, prima o poi, dovremo fermarci, pensarci spaventa ma è inevitabile, nella natura delle cose. Ecco, io voglio sperare che ci sarà qualcuno pronto a continuare questo percorso, con il nostro stesso spirito. Sarebbe davvero un peccato doversi rassegnare all'idea che per "Les Fleurs", in questa società, in questo mercato, non ci sia più spazio, non vorremmo mai doverlo fare. Eppure è cambiato tutto rispetto a quando ero ragazzino io: le nuove generazioni si portano dietro un'indecisione che rende difficile anche a loro stessi scegliere come indirizzare il loro futuro. Ho due figli, tutto potrebbe essere molto naturale, chissà se lo sarà». Alla fine, il verbo più bello per ciò a cui teniamo è sempre "continuare", "proseguire: così anche per il Residence Les Fleurs, a Gressan, nell'omonima frazione, al numero 26.


Bicycle House, Napoli

Passo dopo passo, tra l'Accademia delle belle arti ed il Museo archeologico nazionale, ci inoltriamo in Galleria Principe di Napoli. Siamo nel centro storico della città, in un autentico crocevia di spunti culturali su scala metropolitana, nazionale ed internazionale, mentre all'orizzonte, nascosto dalla maestosità dei palazzi storici, si staglia il golfo e la spuma del mare a tratti invade e a tratti libera la spiaggia, proprio quando la sabbia bagnata è intiepidita da qualche raggio di sole invernale. "Bicycle House" è situata ai numeri 27-28 ed è sufficiente affacciarsi alla vetrina, tra le luci sul bancone e quelle proiettate sul muro, ad illuminare qualche bicicletta appesa, per comprendere appieno il significato di quel nome. Casa della bicicletta, sì, in senso letterale ed in senso figurato: casa ovvero costruzione adibita ad abitazione oppure luogo in cui ospitare ed essere ospitati. «Si tratta di una "casa"-esclama Massimo Minopoli, avvolto nei rumori della città- che vuole essere un punto di riferimento per ogni ciclista, urbano, da strada, mountain biker, per ogni cicloviaggiatore che arrivi a Napoli, come meta del suo viaggio, oppure che vi transiti con la prospettiva di un più ampio girovagare. Questa città, a fronte di tanta bellezza, è in grado di travolgere con la sua caoticità, di lasciare senza parole, quasi scioccato, colui che non sia abituato a viverla quotidianamente e, solo fino a qualche anno fa, pareva impossibile pensare di percorrerla in bicicletta: abbiamo riflettuto in quel periodo sul fatto che, forse, un luogo in cui sentirsi accolti potesse contribuire al cambiamento che doveva, però, necessariamente passare dalle infrastrutture». Il plurale è d'obbligo, perché parla Massimo ma si rivolge a tutti i ragazzi appassionati di biciclette che, da giovani, lavoravano assieme a lui in un'officina popolare e, non avendo gli attrezzi necessari, spesso, utilizzavano solo le mani per smontare e rimontare tutti i ferri. Era lo stesso gruppo di amici che, riunito in un movimento autonomo, organizzava critical mass e poneva l'accento sulla tutela degli utenti della strada più fragili e sui temi della sicurezza stradale, nei giorni in cui in Galleria Principe di Napoli dovevano cambiare molte cose e un progetto ministeriale, "giovani per la valorizzazione dei beni monumentali", stava ridisegnando i contorni di questa galleria dell'ottocento.

«Prima qui c'era una stazione di polizia, successivamente trasferita. All'inizio, ci trovavamo di fronte solo a tutto ciò che era da buttare per costruire un nuovo ambiente, per rinnovarlo e renderlo ospitale. Noi avevamo già in mente quello che sarebbe stato il primo "bike café" del sud Italia: ora bisognava realizzarlo». Quasi attraverso un'esperienza metafisica, mentre Massimo racconta, a noi sembra di abitare l'idea di cui parla, perché a fine 2018 quell'intenzione è diventata realtà. Allora vediamo i due ingressi, separati e comunicanti: da un lato il bike café vero e proprio, con una bicicletta Bianchi storica, quella bicicletta appesa che osservavamo da fuori, altre curiosità da scoprire e un dehors con tavolini per i clienti. Al bancone vengono studiati e serviti drinks e cocktails particolari, adattati agli avventori pedalatori: il Negroni del ciclista, ad esempio. L'altro locale, invece, è destinato all'officina, dove si effettua servizio di vendita, noleggio e assistenza, dal lunedì al sabato: la scelta di prodotti è ampia, maggiormente focalizzata sul ciclista urbano, vista la posizione al centro di Napoli, senza però, escludere accessori per il trekking e per ogni tipologia di ciclista. Ma l'officina non è solo il luogo del lavoro artigianale, in cui si smonta e si ripara: «La nostra è una ciclofficina aperta, ariosa, in tutti i sensi. Vi si svolgono dei corsi per gli utenti, in modo che possano imparare loro stessi ad aggiustare la propria bicicletta: è un calendario di sette incontri, programmati al martedì pomeriggio, in cui chiunque può iniziare a sporcarsi le mani e conoscere un mestiere. Di fatto la bicicletta è una questione culturale, ogni volta in cui si organizzano conferenze, libri, proiezioni ed incontri tematici si sta facendo un passo in avanti. Noi vogliamo provarci». Massimo Minopoli si perde così nel racconto in una serie di altre storie, conosciute negli incontri presso Bicycle House: da Paolo Franceschini, il "comicista", comico e ciclista, nativo di Ferrara, la città più ciclabile d'Italia, che vive a Napoli, al ragazzo che, per far conoscere la città, nei suoi viaggi, ha deciso di portare nello zaino una bottiglia di liquore al babà ed a chiunque gli chieda di descrivere Napoli porge un poco di quel liquore e dal profumo e dal sapore chiede di continuare ad immaginare, fino a chi viaggerà controvento per scoprire le opere d'arte che più gli interessano. Tre esperienze diverse e uguali che legano, allo stesso modo, la bicicletta, all'arte, ad un liquore e alla scrittura.

Anche la città, nel frattempo, è cambiata, è migliorata, sono aumentate le ZTL, la realizzazione di piste ciclabili è incrementata e, grazie ad una nuova concezione della mobilità, non sembra più impossibile pensare di utilizzare la bicicletta per andare a fare la spesa, a scuola ed al lavoro: «Napoli dovrebbe assomigliare sempre più ad Amsterdam, a Londra. Ci sono cartelli che segnalano la necessità di proteggere l'utente più fragile, che indicano i limiti di velocità; sono utili ma non bastano. Servono i fatti. A Bologna è successo qualcosa di davvero importante con l'introduzione della "città 30", sogno che avvenga anche qui. L'associazione "Napoli Pedala" si batte anche per questo, come la nostra vicinanza alle istanze della Fondazione Michele Scarponi». Sì, perché qualcuno che ha paura ad uscire in bicicletta c'è ancora ed è comprensibile, ma non è giusto, soprattutto nel 2024. Ad ogni visitatore Massimo e gli addetti del locale provano a fornire qualche semplice regola, istruzione, per sentirsi più tranquillo: come muoversi in strada, l'utilizzo della carreggiata, la possibilità di fare le prime uscite in bicicletta insieme a qualcuno maggiormente esperto per prendere confidenza, la necessità di indossare il casco, di rendersi il più visibili possibile sulla strada, l'opportunità di scegliere strade meno trafficate, anche se chilometricamente più lunghe, tra le altre cose. Gli aperitivi del giovedì, su questi temi, riuniscono persone delle più svariate provenienze e dai più svariati lavori: dal dottore di Capri, al ciclo-fattorino, passando per il ricercatore del CNR. Girare per Napoli in bicicletta significa anche andare a scovare nuovi angoli o avere la possibilità di vedere in maniera differente luoghi già ben conosciuti: è nata così Napoli Obliqua, con lo scopo di accompagnare alla scoperta di posti meno conosciuti o più difficili da visitare. Pensiamo, per citarne uno, al quartiere residenziale di Capodimonte, situato su una collina e noto per l'omonimo Museo che ospita arazzi, porcellane, ma anche opere pregevoli di Tiziano e Caravaggio.

Ciascuno, poi, ha un proprio stile e un proprio modo di interpretare lo spostamento in bicicletta: «Bisogna dirlo: prima di consigliare una bicicletta è indispensabile sapere che progetti ha colui che la comprerà. Ovvio è che, ad esigenze differenti, corrispondono modelli e necessità diverse. Le domande, tuttavia, spesso possono essere invasive, chiedere non è mai facile, allora si cerca di capire guardando, ascoltando, senza esagerare con le richieste. Una comprensione silenziosa, basata sull'osservazione. Spesso la bici identifica la persona, il suo carattere, la sua indole». Massimo smette qualche istante di parlare, guarda meglio: un cliente è appena arrivato in negozio, chiama un collaboratore, chiedendo di offrirgli assistenza, poi riprende concedendosi un ghigno in segno di entusiasmo per quel che sta per dire. «A me piace davvero ogni elemento della bicicletta, ogni pezzo, ogni ingranaggio. Mi innamoro di ogni bici come accade in adolescenza. Credo che un bambino vada messo il prima possibile su una balance bike. Ogni tanto prendo un catalogo e mi metto a sfogliarlo: perdo la cognizione del tempo, devono venire a cercarmi». La scelta delle biciclette in negozio segue una triplice direttiva: la qualità, l'affidabilità e la garanzia. Minopoli si concede una parentesi sull'uso di acquistare biciclette in negozi non specializzati che, quindi, per forza di cose, peccano nella conoscenza e nell'attenzione a determinati dettagli, talvolta anche grossolani: «Il mezzo è semplice ma ha una meccanica sofisticata che spesso non viene compresa dagli utenti. Sai il motivo? Perché il cliente si basa, di solito, sul tempo della riparazione effettuata da un professionista, allora pare tutto facile e anche il lavoro tende a perdere il suo vero valore economico. Il punto è che chi svolge questo lavoro ha studiato, si è preparato, non sono cose che può fare chiunque. Quella professionalità è da rispettare e da riconoscere».


Il tutto in un mercato delle bici che è cambiato, con l'evoluzione della tecnologia, dell'elettronica e, soprattutto, delle bici elettriche che hanno ampliato la platea dei pedalatori, in quanto anche coloro che inizialmente temevano la fatica o pensavano di non essere all'altezza hanno voluto provare e si sono sentiti a proprio agio. Le "porte da aprire", come le definisce Massimo, ovvero le innovazioni possibili, sono ancora molte e chi fa questo mestiere non vede l'ora di spalancarle.
Il cliente entrato pochi minuti prima si ferma davanti all'officina ad osservare il lavoro dei meccanici, Massimo Minopoli spiega che, ove possibile, si cerca di coinvolgere il cliente anche nella riparazione, poi la butta sul ridere, citando un cartello, visto qualche tempo fa, che recitava: «Cinquanta euro per la riparazione, cento euro per osservare, centocinquanta euro per suggerire al meccanico come operare». Un'ultima occhiata al dehors, ai tavolini all'esterno, alle persone che camminano in Galleria Principe di Napoli: il pensiero va proprio ad un buon caffè napoletano. La sensazione è di essere nel posto giusto, Minopoli ce la conferma, non prima di chiederci se sappiamo come debba essere un buon caffè. Tentenniamo, allora ci svela la regola delle cinque c: «Comm' Caspita Coce Chistu Cafè». La impariamo, prendiamo la tazzina ed iniziamo a sorseggiare.


Il questionario cicloproustiano di Greta Marturano

Il tratto principale del tuo carattere?
Timidezza.

Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
Sincerità e fedeltà.

Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
Sincerità.

Il tuo peggior difetto?
A volte permalosa.

Il tuo hobby o passatempo preferito?
Cucinare oppure seguire qualche serie televisiva o film su Netflix.

Cosa sogni per la tua felicità?
Avere con me le persone più care e fare quello che più mi piace.

Cosa vorresti essere?
Sempre me stessa.

In che paese/nazione vorresti vivere?
Sono un poco patriottica, forse, ma l'Italia va bene.

Il tuo colore preferito?
Blu.

Il tuo animale preferito?
Tartaruga.

Il tuo corridore preferito?
Van der Poel.

Un eroe nella tua vita reale?
Papà e mamma sempre visti come i miei eroi fin da quando ero piccola.

Cosa detesti?
Le bugie e le persone false.

L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Ci sono tante imprese che mi sono rimaste impresse ed è forse per questo che mi sono sempre più appassionata al ciclismo.

Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Non ci si ritira mai, in nessuna gara.

Un dono che vorresti avere?
Serenità.

Come ti senti attualmente?
Bene e serena.

Lascia scritto il tuo motto della vita
“Quando arrivi al limite, superalo”.