Il Monumentale del Tour de France 2024

Densa di fascino, come una di quelle gelatine che Jim Halpert, il cattivo della serie TV americana The Office, usava per fare impazzire alcuni suoi colleghi. Attesa, come il giorno più importante nella vita di un bambino. Discussa, perché se non parlassimo di Tour de France allora tanto varrebbe chiudere baracca. Il Tour de France 2024 sta per iniziare - 29 giugno-26 luglio - e lo farà dall’Italia per la prima volta nella sua storia, avrà (le consuete) 21 tappe e si snoderà lungo circa 3.500 chilometri. La corsa partirà dall’Italia per chiudersi a Nizza invece che a Parigi: i Giochi Olimpici nella capitale francese a fine luglio hanno imposto un cambio epocale che si tramuta anche in cronometro all’ultimo giorno, al posto del tradizionale sprint che vale una carriera, sui Campi Elisi.

Foto: ASO

I temi principali - le domande che mi e vi pongo - sono almeno quattro e coinvolgono i favoriti alla classifica finale, li accenno qui prima di addentrarmi nello specifico raccontando come di consueto vita, caratteristiche e miracoli sportivi dei presenti al Tour de France 2024 e delle loro squadre di appartenenza.

1) Riuscirà Tadej Pogačar a completare la doppietta Giro-Tour ? (E poi, intanto la butto lì, anzi qui: poi lo sloveno pensi al Mondiale perché non succederà spesso di averne uno così favorevole alle sue caratteristiche e lasci perdere la Vuelta).

2) In che stato di forma sarà Jonas Vingegaard Hansen, dopo lo spavento che ci ha fatto prendere ai Paesi Baschi? Sarà un avversario credibile?

3) Riuscirà Remco Evenepoel a fare quel salto di qualità per giocarsi un posto sul podio in una corsa con (quasi) tutti i migliori al mondo per le gare a tappe di tre settimane?

4) Potrà essere Primož Roglič, nonostante i quasi 35 anni l’avversario da cui Pogačar si dovrà guardare?

UN FAVORITO (CON UNO SQUADRONE)

Complesso per tutti sconfiggere Tadej Pogačar, soprattutto quello visto nel 2024, la migliore versione di se stesso, quello all’apice della sua maturità agonistica e che alla vigilia dice di non essresi mai sentito così forte. Come può non essere lui il favorito numero uno di questa corsa? Anche per via dei noti problemi del suo più accreditato - fino a qualche mese fa - rivale per la maglia gialla finale. Lui è il più forte - al mondo - la sua squadra è la più forte - al via e al mondo - e potrebbe, sulla carta, ma stando sempre attenti a non pastrocchiare con l’inchiostro, piazzarne pure altri due sul podio, un altro nei cinque e un altro ancora nei dieci. Mi piace questa cosa? Sinceramente, nemmeno un po’, ma tant’è. Di squadre forti al via del Tour ne abbiamo viste - e ne vedremo anche quest’anno - ma una così faccio fatica a ricordarla. Adam Yates e João Almeida, mantenessero lo standard visto al Tour de Suisse, potrebbero tranquillamente essere i rivali più accreditati dello sloveno; Juan Ayuso, nonostante fisiologici alti e bassi per via dell’età e qualche caduta di troppo, è il nuovo che avanza nei grandi giri. Pavel Sivakov, in poche stagioni, è passato da “prossima grande cosa” nelle corse a tappe a uomo di alta classifica, finendo per diventare gregario extra lusso di capitani che possono vincere le corse. C’è poi Marc Soler, cavallo pazzo a cui Matxin è riuscito a dare un senso, almeno per loro, a me piaceva di più la versione illeggibile dei tempi Movistar e, infine, Nils Politt e Tim Wellens, che in altre squadre andrebbero a caccia di tappe, mentre qui saranno utilissimi alla causa, soprattutto in pianura il primo e nelle prime fasi di salita il secondo.

GLI AVVERSARI

Foto: Szymon Gruchalski/PN/SprintCyclingAgency©2024

Per via dell’incidente accorso a Vingegaard, il primo rivale dello sloveno è un altro sloveno: Primož Roglič. Difficile, però, immaginare come un corridore che fa del calcio volante assestato nei finali di tappa la sua arma migliore, quasi l'unica, possa trovare terreno per battere questo Pogačar che più dei suoi rivali dovrà temere il caldo. La Red Bull-BORA-Hansgrohe, però, va al Tour con una squadra niente male e un nuovo sponsor, di peso, forse il più importante e conosciuto, a livello globale, per ciò che concerne lo sport. Darà motivazioni in più. Una squadra con Aleksandr Vlasov: uno dei corridori più continui ad alti livelli quest’anno in salita mentre Jai Hindley è uno che ha pur sempre vinto un Giro d’Italia due stagioni fa anche se come aiuto di un capitano è ancora tutto da vedere - e al recente Delfinato non ha rubato l’occhio. A completare una squadra davvero forte per la salita presenti Bob Jungels e Matteo Sobrero, mentre Marco Haller, Nico Denz e Danny van Poppel si divideranno tra lavoro sporco in pianura, tirando, difendendo, coprendo, e gloria personale: Haller a supporto di van Poppel in volata, Denz in fuga.

Foto: ASO

Parte più defilato il vincitore uscente: quali conseguenze per il suo rendimento la caduta ai Paesi Baschi? Probabilmente lo scopriremo già nelle prime, impegnative, tappe italiane. E allora, oltre a Jonas Vingegaard, in casa Visma | Lease a Bike sarà da seguire con attenzione Matteo Jorgenson, rendimento altissimo quest’anno nelle brevi corse a tappe, da verificare la capacità di tenere lungo l’arco delle tre settimane, anche se va detto, intanto, che il percorso di questo Tour potrebbe favorirlo, oltre al fatto che l’americano ha poco da invidiare alla concorrenza per un piazzamento in altissima classifica. Completano lo squadrone olandese - più vario, completo e all'apprenza compatto rispetto a quello emiratino - Wilco Kelderman, uno che potrebbe fare il capitano d’ alta classifica in almeno 18 delle 22 squadre al via, Bart Lemmen, chiamato all’ultimo per sostituire un Kuss che quest’anno non va, Wout van Aert, il coltellino svizzero del gruppo: lavorerà in salita, potrà inserirsi in fuga su ogni terreno, si butterà nelle volate di gruppo compatto, proverà a vincere quelle a plotone sgranato, mentre Christophe Laporte cercherà risposte dopo una stagione altamente negativa e sfortunata, quasi come se stesse vivendo una sorta di crisi di rigetto a un irripetibile 2023. Jan Tratnik e Tiesj Benoot sono due corridori affidabilissimi e sui quali la squadra si appoggerà per ricevere aiuto su ogni terreno.

TUTTI (PROPRIO TUTTI) GLI ALTRI

Foto: Ivan Benedetto/SprintCyclingAgency©2024

Quasi tutte le squadre mettono in campo il meglio possibile, poche le assenze di peso, ma d’altra parte il Tour de Netflix impone al via il miglior cast possibile. E così che vista la forza di UAE, Visma e Red Bull, constato come anche la INEOS Grenadiers non voglia essere da meno. Carlos Rodríguez Cano, il più giovane della compagine britannica, guida un gruppo formato da Egan Bernal, Geraint Thomas, Thomas Pidcock, Michał Kwiatkowski, Ben Turner, Jonathan Castroviejo e Laurens De Plus. Pensare che questa squadra non sia la più forte al via lascia senza parole. Carlos Rodríguez ha ottime credenziali per salire pure sul podio finale. Continuo, forte in salita, forte a cronometro, forte in discesa, sa pure cogliere l’attimo giusto per provare a vincere una tappa visto che non ha nemmeno paura ad attaccare. L'unica incognita è legata alle cadute: spesso, nonostante la capacità di guidare il mezzo, ha bruciato risultati importanti a causa di incidenti in corsa. Egan Bernal insegue la rinascita, si gioca la top ten anche se sogniamo qualcosa in più, magari pure una tappa: da troppo tempo non si concede il gusto di alzare le braccia al traguardo. Geraint Thomas, dopo il podio al Giro, sarà completamente a disposizione dei suoi, così come lo sono tre fra i più forti “gregari” in circolazione per le tappe di montagna e non solo: Laurens De Plus, Jonathan Castroviejo e Michal Kwiatkowski i quali potrebbero, insieme a Thomas Pidcok, inseguire fughe e successi di tappa. E a proposito di Pidcock: dopo due tentativi di fare classifica e conclusi con un 16° e 13° posto abbastanza dimenticabili, proverà a fare classifica per una terza volta o lo vedremo libero di dare spettacolo in qualche tappa come due anni fa nel giorno dell’Alpe d’Huez? Se dovessi indovinare e fossi costretto a scegliere direi la seconda, ci sono anche i Giochi a Parigi con cui fare i conti pochi giorni dopo la fine del Tour, sprecare troppa energia per un piazzamento nei 20, potrebbe rivelarsi controproducente. Lui intanto dice di puntare alla prima maglia gialla. Chiude il gruppo Ben Turner, successore di Luke Rowe quasi a 360 gradi, dal corridore gallese eredita principalmente il ruolo di mulo delle prime fasi di gara.

Foto: Ivan Benedetto/SprintCyclingAgency©2024

Capitolo Soudal-Quick Step, o meglio Remco Evenepoel. Cosa aspettarsi dall’ imprevedibile ex campione del mondo, al suo esordio al Tour de France? Dovesse finire nei primi cinque sarebbe grasso che cola, considerando anche per lui l’incidente ad aprile che gli ha tolto qualche settimana di preparazione; nei dieci sarebbe un piazzamento auspicato, quasi chiamato tutto il resto, che non sia una vittoria di tappa o magari due, un risultato finale deludente. Le aspettative su di lui sono sempre enormi, così come è sembrato enorme - forse troppo? - il suo fisico, per pensare di poter infastidire i migliori in salita. Squadra forte al suo fianco: Mikel Landa può pensare persino di andare più forte di lui in salita e di conseguenza curare anche una buona classifica, anche se i due, almeno nelle foto, per quanto possano assumere un significato di verità assoluto immagini postate sui social, sembrano, sin dal ritiro invernale, avere instaurato un certo feeling che poi in corsa si è intravisto alla Volta ao Algarve. Gianni Moscon sarà il gregario per eccellenza in squadra, definito sin dai primi mesi in maglia Quick Step come l’erede di un altro trattore, Tim Declercq, anche se quegli standard sono decisamente lontani. Louis Vervaeke, Ian Van Wilder e Jan Hirt, saranno altre tre pedine preziose per la salita, e magari, soprattutto gli ultimi due, “riserve” per fare classifica, ma non escluderei di vederli anche cercare di vincere una tappa di montagna. Yves Lampaert, sorprendente prima maglia gialla al Tour di due anni fa, potrà giocarsi le sue chance in fuga, darà una mano in pianura a Evenepoel e una in volata a Casper Pedersen, seppure quest’ultimo non si possa considerare un velocista di prima fascia, quanto piuttosto corridore da soluzioni alternative alla volata di gruppo.

Foto: Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency©2024

Movistar Team per la classifica punta su Enric Mas. Nel Power Ranking che ho stilato tempo fa, Mas è, a conti fatti, e grazie soprattutto alla regolarità che trova nella “gara di casa”, ovvero la Vuelta, al quarto posto assoluto tra i corridori in attività per le grandi corse a tappe. Dietro i tre che potete immaginare. Questo non significa che lo spagnolo, spesso sin troppo criticato, come sin troppo criticata è la Movistar, autentica squadra meme del ciclismo internazionale, a volte se la vanno a cercare non c’è dubbio, sia la quarta forza in campo, ma è uno dei nomi che ambiscono a un piazzamento in alta classifica. Regolarista in salita, forse avrebbe apprezzato di più un Tour da sfinimento e per fondisti, ma l’ultima settimana montagnosa può sorridergli. Interessante la squadra che gli viene costruita intorno: Davide Formolo sarà la sua guardia del corpo in salita, Javier Romo in alta quota può stupire, Oier Lazkano, a suo agio nelle tappe più dure al Delfinato, dove è riuscito spesso e volentieri ad arrivare davanti a scalatori più quotati, cercherà una vittoria di tappa andando in fuga. Presenti anche l’eterno Nelson Oliveira che potrebbe pure cercare piazzamenti nelle due crono, Fernando Gaviria, scelta un po’ sorprendente vista la sua stagione (le sue ultime stagioni) finora e infine Alex Aranburu. Il corridore basco va forte su diversi terreni ed è veloce oltre che resistente, si è laureato campione di Spagna pochi giorni fa e nell’ultimo mese, tappa vinta anche al Giro del Belgio, è riuscito a sbloccarsi dopo due stagioni a secco e un’infinità di piazzamenti. Che c’abbia preso gusto?

Foto: Aso

Quartetto da classifica anche per la Bahrain-Victorious, altra squadra in forma nell'ultimo mese. Viste le qualità espresse in salita, quello con le quotazioni maggiori potrebbe essere Santiago Buitrago, il quale, oltre a essere uno degli scalatori più forti al via, può anche puntare a vincere una tappa. Pello Bilbao, che fa parte di quella particolare categoria di corridori “da quarta settimana” potrebbe anche lui giovare di un Tour che si indurisce nel finale: obiettivo, per il corridore basco: vincere una tappa e chiudere in top ten. Con loro proveranno a tenere duro Jack Haig e soprattutto Wout Poels, quest’ultimo mette assieme un pacchetto di esperienza, qualità e regolarità con pochi eguali in gruppo. Se dovesse uscire a mani vuote da questa corsa, si potrebbe parlare di fallimento sportivo vista anche la presenza di corridori come Matej Mohorič e Phil Bauhaus, Nikias Arndt e Fred Wright, fughe e volate chiamano a gran voce i loro nomi.

Foto: Luis Angel Gomez/SprintCyclingAgency©2022

Veniamo alle squadre francesi. La Cofidis per la classifica punta su Guillaume Martin pronto a giocarsi la sua mossa preferita: entrare in tutte le fughe possibili e in quel modo ottenere un piazzamento di rilievo, magari tra l’ottava e la dodicesima posizione, e chissà, se ci scappa pure una tappa non si storce il naso. Difficile che Simon Geschke possa ripetere l’impresa fatta al Giro: 14° posto finale, suo miglior risultato in carriera in un Grande Giro, a 38 anni, mentre Jesús Herrada e Ion Izagirre sono uomini da fughe che arrivano al traguardo e vittorie di tappa. Bryan Coquard è il velocista, c’è concorrenza, ma non esagerata, magari dopo aver vinto al Tour de Suisse di recente - 2 vittorie in carriera nel WT su 52 successi totali da professionista - può provare a sbloccarsi al Tour. Piet Allegaert e Alexis Renard il suo supporto, quest’ultimo cerca anche piazzamenti nelle tappe mosse o magari andando in fuga. Infine, presente Alex Zingle, inizialmente, visto che il prossimo anno lascerà la compagnia, pareva potesse rimanere fuori dal Tour. Zingle è uno dei profili da tenere maggiormente d’occhio nelle volate a ranghi ridotti oppure, dovesse trovare la forma e formula giusta, potremmo vederlo spesso in fuga, magari quella buona.

Foto: Luis Angel Gomez/SprintCyclingAgency©2024

Bella squadra la Groupama - FDJ di Madiot che cala i cinque assi e ce n’è per tutti i gusti - tranne che per le volate. Stefan Küng per le due crono con vista Parigi 2024 dove inseguirà una medaglia, ma non è da escludere trovarlo spesso in fuga. Lenny Martinez rappresenta il nuovo che avanza a livello mondiale. Il classe 2003, ancora acerbo per fare classifica, nella tappa secca, se in giornata, in salita può essere imbattibile. Viste anche le doti di esplosività una tappa in cui misurarsi con i migliori potrebbe essere quella di Bologna, magari attaccando sul San Luca, il secondo giorno. Valentin Madouas, uomo buono per tutti i percorsi, darà una mano, come faranno anche Kevin Geniets e Quentin Pacher, in salita, e lo vedremo in fuga dove la sua presenza lo metterà tra gli uomini da battere. Difficile per lui, come per Gaudu, ripetere il Tour d’alta classifica del 2022, ma ha le qualità pure per provare a tenere duro in montagna o magari vincere proprio una tappa tra quelle più impegnative, soprattutto nell’ultima settimana, lui che viene fuori alla distanza. Dicevo di David Gaudu: fino a 2 anni fa sarebbe stato il capitano designato, ma ora gliene succedono di ogni e si è pure ammalato alla vigilia di questo Tour. Dai sogni di podio si è passati a una realtà che potrebbe vederlo “solamente” provare a vincere una tappa o a conquistare la maglia a pois. Destino che lo accomuna a tantissimi suoi predecessori e connazionali. Presente al via anche Clément Russo che darà una mano in pianura e sarà anche utile nella tappa degli sterrati di Troyes. Tenuto per ultimo Romain Grégoire. Attesissimo a un ulteriore salto di qualità, nonostante sia anche lui giovanissimo (2003), potrebbe essere tra i corridori da battere nelle tappe più mosse e nelle numerose fughe che mi aspetto arrivino al traguardo.

Foto: Jan De Meuleneir/PN/SprintCyclingAgency©2024

La Decathlon AG2R vuole continuare a macinare successi e nel farlo, selezionando la squadra per il Tour, si dimentica del suo uomo faro: Benoit Cosnefroy. Perché non è stato chiamato al Tour? Si va per la classifica di Felix Gall, il quale però sembra un po’ sotto gli standard del 2023, ma magari sta tenendo il meglio per la corsa francese. Si punta alle volate di Sam Bennett, altro corridore trasformato dalla cura Decathlon/Van Rysel. Ad aiutare l’irlandese in volata c’è uno dei corridori più esperti del gruppo: Oliver Naesen. Nans Peters e Nicolas Prodhomme sono sia uomini da fuga in montagna che i compagni più vicini che potrà avere Gall nelle tappe più impegnative, oltre all’esperto della compagnia, Bruno Armirail. L’ammiraglio francese punterà a un buon piazzamento nelle crono e magari anche a una top 20 in classifica finale. Il neo campione francese Paul Lapeira è uno dei corridori maggiormente migliorati in questo 2024 e vorrà continuare a stupire, magari vincendo una tappa al Tour in maglia tricolore. Ultimo francese a riuscirci, Arnaud Démare nel 2017, vincitore a Vittel davanti a Kristoff e Greipel. Dorian Godon, invece, sarà l’uomo, almeno come caratteristiche, preferito a Cosnefroy, darà una mano a Bennett in volata, andrà all’attacco delle tappe mosse e si lancerà negli sprint a ranghi ridotti.

Foto: Tomas Sisk/PN/SprintCyclingAgency©2024

Arkéa -B&B Hotels squadra bretone, ma senza bretoni al via, avrà come leader Arnaud Démare per le volate, lui che al Tour ne ha vinte due, ma l’ultima nel 2018. A dargli una mano Daniel Mclay, Luca Mozzato e Amaury Capiot, ma soprattutto gli ultimi due proveranno anche a mettersi in proprio se la strada glielo consentirà. Il corridore italiano, secondo quest’anno al Fiandre, lo scorso anno al Tour ha chiuso 4 volte nei 10 di tappa risultando, insieme a Ciccone, il migliore della risicata spedizione italiana in terra di Francia. Chissà che in una delle prime tre tappe “casalinghe” la squadra non gli dia la possibilità di giocarsi le sue carte - penso soprattutto alla frazione di Torino - le altre due frazioni, invece, lo dovrebbero vedere tagliato fuori dalla contesa. Squadra francese perfettamente divisa in due, detto delle quattro ruote veloci, gli altri quattro sono uomini che si faranno vedere in montagna e proveranno pure a fare classifica. Clément Champoussin cerca un po’ di continuità. Ha grandi numeri e una discreta precocità - vinse una tappa alla Vuelta nel 2021 in quella che fu la prima vera e propria stagione completa tra i professionisti. I due spagnoli, Cristian Rodríguez e Raúl García Pierna, sono due regolaristi, ma sono convinto che li vedremo spesso in fuga, infine mi sono tenuto per ultimo Kévin Vauquelin. Il 23enne normanno di Bayeux, dopo un’ottima prima parte di stagione (nei dieci tra Etoile de Besseges, Tirreno e Paesi Baschi) culminata con il secondo posto alla Freccia Vallone, ha sofferto al recente Tour de Suisse e ha perso il campionato francese a cronometro per pochissimi secondi. È al suo primo Tour e nel 2023 all’esordio in un grande giro (Vuelta), corse a lungo ammalato finendo per ritirarsi dopo due settimane di corsa. Quello che verrà sarà tutto di guadagnato, farà esperienza, ma le qualità sono quelle di un corridore che a fine Tour potrebbe pure lambire la top ten. Ultima squadra “di casa”, TotalEnergies. una delle quattro Professional al via. Steff Cras per la classifica, vicino a lui in salita troveremo Jordan Jegat, da tenere d’occhio, così come da seguire Thomas Gachignard, grande protagonista in questo 2024 nel calendario franco-belga, ha pure sfiorato la vittoria al campionato nazionale francese. Lo troveremo spesso in fuga e chissà che prima o poi la vittoria arrivi proprio al Tour de France. Il gruppo sportivo guidato da Bernaudeau non conquista una tappa al Tour dal 2017 (vittoria in fuga di Calmejane): ci proveranno anche Anthony Turgis o Sandy Dujardin, entrambi veloci, anche se non così tanto da volata di gruppo compatto, ma in fuga possono creare diversi grattacapi, così come Mathieu Burgaudeau. Il sosia di Alaphilippe non sta vivendo una grande stagione e cerca le risposte giuste sulle strade francesi. Al via anche Mattéo Vercher e Fabien Grellier, principalmente per cercare fughe da lontano o dare una mano ai compagni di squadra.

Foto: Tommaso Pelagalli/SprintCyclingAgency©2023

Introdotto con la TotalEnergies il discorso relativo alle squadre che hanno usufruito delle wild card, lo proseguo parlando di Israel Premier Tech, Uno X Mobility e Lotto Dstny. Tre squadre che difficilmente cureranno l’alta classifica, ma che molto probabilmente daranno vita a tante fughe con l’obiettivo di arrivare al traguardo. Israel-Premier Tech in realtà, un po’ a sorpresa, un uomo per la classifica potrebbe averlo: Derek Gee. No, non sto dando i numeri, il canadese al Delfinato ha impressionato in salita. Sono convinto che inizialmente proverà a tenere duro, e al Giro 2023 ha dimostrato di non soffrire, andando in fuga in quasi ogni tappa di montagna, le fatiche ravvicinate nei giorni. Quota canadese in squadra che aumenta con le presenze di Hugo Houle, vincitore di una tappa nel 2022 e Guillaume Boivin, entrambi specialisti della fuga. Difficile, se non impossibile, immaginare Jakob Fuglsang competitivo ad alti livelli, ma magari un colpo di coda lo potrà dare. Pascal Ackermann, con Jake Stewart a supporto, proverà a inserirsi nelle volate, Krists Neilands vorrà essere nuovamente protagonista in fuga come già accaduto lo scorso anno, mentre Stevie Williams, corridore da alti e bassi, punterà a vincere una tappa e magari essere protagonista da subito, nelle prime due tappe italiane. La Lotto Dstny incentra la propria corsa sulle volate di Arnaud De Lie e sulla qualità di Maxim Van Gils. Se il primo spesso ha picchi altissimi - a livello di talento, dato da forza, esplosività e spunto veloce, è colui che può battere Pedersen e Philipsen in volata - ma a volte è suscettibile a controprestazioni, il secondo fa della regolarità ad alti livelli la sua arma migliore. Veloce e resistente, Van Gils avrà diverse tappe in cui provare a lasciare il segno, soprattutto quelle con il traguardo che punta all’insù. Certo, la concorrenza è folta e forse sarà meglio cercare gloria in fuga, piuttosto che sfidare i big su un certo tipo di finali. Victor Campenaerts fungerà da battitore libero in una corsa in cui ha sempre faticato a trovare spazio, Harm Vanhoucke sarà l'uomo in fuga nelle tappe di montagna, difficile pensarlo in classifica, discorso simile per Jarrad Drizners, mentre Brent Van Moer, Sebastian Grignard e Cedric Beullens saranno i pretoriani di De Lie, ma con la possibilità di giocarsi le proprie carte in fuga. Ultima squadra invitata: Uno X Mobility. La compagine norvegese, dopo una prima parte di stagione troppo anonima per essere vera, arriva al Tour al massimo della forma e punterà quasi esclusivamente a vincere una o più tappe. Sorprende in almeno una scelta: il giovanissimo (e prospetto molto interessante) scalatore Johannes Kulset preferito ad Andreas Leknessund, ritornato in squadra quest’inverno dopo la parentesi in DSM per curare la classifica al Tour e invece escluso. I capitani, tuttavia, saranno diversi, squadra solida, buona per tutti i terreni. Alexander Kristoff, aiutato da Søren Wærenskjold, sarà il velocista di punta e proprio con il suo giovane "erede" potrà dividersi il ruolo di capitano negli sprint di volta in volta a seconda della situazione. Magnus Cort, già vincitore di due tappe al Tour, si getterà nelle volate a ranghi ristretti - se ci saranno - ma non disdegnerà la fuga giusta su ogni terreno. Rasmus Tiller e Jonas Abrahamsen, oltre a essere solide pedine per il treno dei due velocisti, proveranno a entrare nelle fughe e quelle fughe le proveranno a portare fino al traguardo. Il primo grazie alle doti veloci può regolare un gruppetto, il secondo ha motore e tempismo per provare azioni solitarie nei finali di corsa. Odd Christian Eiking e Tobias Halland Johannessen saranno i punti di riferimento nelle tappe di montagna. Il forte corridore classe ‘99, vincitore del Tour de l’Avenir ormai tre anni fa, punta deciso a vincere una tappa di montagna.

Foto: Nico Vereecken/PN/SprintCyclingAgency©2024

Capitolo Alpecin-Deceuninck. Si rivede in corsa Mathieu van der Poel, ma con quali credenziali? Lo immagino provare un Tour quasi fotocopia di quello dello scorso anno. In aiuto a Jasper Philipsen, il velocista di riferimento, sulla carta solo Mads Pedersen lo potrà impensierire in volata a questo Tour, cerca la condizione senza strafare con l’obiettivo Parigi 2024 e magari un finale di corsa in crescendo cerchiando di rosso un paio di tappe nell’ultima settimana. Certo, con una buona condizione, potrà provarci magari già sul San Luca. San Luca, che però potrebbe essere il terreno ideale per Axel Laurance, quanto di più vicino ad Alaphilippe la Francia ha prodotto in queste ultime stagioni, che fa il suo esordio in un grande giro meritando la convocazione a suon di risultati. Di Philipsen abbiamo già detto, sarà il velocista faro della corsa, sei tappe vinte al Tour nelle ultime due stagioni, e con lui, oltre a Robbe Ghys e Jonas Rickaert, tornano in voga quelli delle classiche: Søren Kragh Andersen, Silvan Dillier e Gianni Vermeersch, che oltre a essere fondamentali uomini squadra, potrebbero contribuire a trasformare alcune tappe in vere corride.

Foto: Ivan Benedetto/SprintCyclingAgency©2024

Dal velocista principe al suo principale rivale: Mads Pedersen che guida una Lidl-Trek orfana di Tao Geoghegan Hart, ammalatosi all’ultimo momento. Il danese, come al suo solito, non solo si getterà in volata, ma proverà a dire la sua andando in fuga e provando a piazzarsi in alcune tappe impegnative, ma non troppo e terrà accesa la lotta per la maglia verde. A proposito di maglie: Giulio Ciccone mette in palio la pois: che Tour sarà il suo? Non lo so, ma so che finora la sua stagione è stata alquanto sfortunata. Un problema al soprasella gli ha fatto saltare tutta la prima parte di stagione, Giro compreso. È tornato, si è dimostrato in buona forma e si è ammalato poco prima del Tour. Può darsi che provi a fare classifica, altrimenti il suo bagaglio è pieno di piani alternativi: fughe, tappe, classifica dei gran premi della montagna. Di sicuro con lui non ci annoieremo mai. Terza punta di una squadra nel complesso più debole di quello che ci si poteva aspettare è Toms Skujiņš, che si dividerà tra le fughe e il supporto al treno di Pedersen. A proposito di treno: lo completano Ryan Gibbons e Jasper Stuyven e se Tim Declercq è il lavoratore per eccellenza nelle prime ore di gara, Carlos Verona e Julien Bernard li vedremo all’opera in salita.

Foto: Ilario Biondi/SprintCyclingAgency©2024

L’Astana Qazaqstan Team punta forte, ma non esclusivamente, sulle volate di Mark Cavendish, supportato da un treno di buona fattura: Davide Ballerini, Michele Gazzoli, Cees Bol e Michael Mørkøv. Yevgeniy Fedorov cerca gloria in fuga e nelle tappe impegnative, Harold Tejada e Alexey Lutsenko proveranno a fare classifica e/o a vincere una tappa di montagna, andando in fuga. Da seguire con interesse la selezione del Team Jayco AlUla. Simon Yates torna per fare classifica: difficile migliorare il 4° posto del 2023, oltretutto dopo una stagione, questa, costellata di tanti piccoli problemi e un rendimento al di sotto delle aspettative. Se dovesse mancare l'appuntamento con l’alta classifica, di sicuro proverà in ogni modo a vincere la sua terza tappa in carriera al Tour. Dylan Groenewegen, fresco di titolo olandese, è il velocista di punta per le volate a gruppo compatto e si contenderà il titolo di terzo incomodo degli sprint, mentre Michael Matthews lo vedremo in azione in altri situazioni, a gruppo sgranato oppure in fuga. Uno degli obiettivi del corridore australiano è quello di crescere di condizioni in vista dei Giochi Olimpici. Chris Harper è l’alternativa a Yates per la classifica, Luke Durbridge, Christopher Juul Jensen ed Elmar Reinders i lavoratori spesso oscuri, nonché parte del treno dei velocisti che vedrà nel solito Luka Mezgec l’ultima ruota da cui si potrà lanciare Groenewegen.

Foto: Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency©2024

A proposito di volate: il Team dsm-firmenich-PostNL ci riprova con Fabio Jakobsen, del tutto impalpabile al Giro e saranno ben quattro le chance fino alla prima giornata di riposo per provare a riemergere per l’ennesima volta. Bram Welten, Nils Eekhoff e John Degenkolb gli tireranno la volata, ma questi ultimi due magari avranno anche chance personali in altre tappe. Frank Van Den Broek è uno dei nomi che potrà diventare noto anche ai meno attenti: grande motore, il suo soprannome, Wattage Bazooka, è tutto un programma. È estroso, fantasioso, va forte ovunque e si infilerà in diverse fughe. Sarà l’ultimo Tour per Romain Bardet, farà classifica o proverà a vincere una tappa? Credo più alla seconda ipotesi. Sempre per le tappe ci sarà un altro francese ormai appartenente alla vecchia guardia: Warren Barguil. I suoi anni migliori sono passati, ma WaWa è uno di quelli che può stupire in fuga. Menzione finale per Oscar Onley, giovane e interessantissimo britannico che può dire la sua sugli arrivi adatti a corridori esplosivi, ma anche sulle salite non troppo lunghe. Finora, la sua ancora breve carriera tra i professionisti è stata un'alternanza di bei risultati e brutti infortuni. Al Tour per trovare la quadra.

Foto: Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2022

L'Intermarché Wanty porta Louis Meintjes per la classifica, magari non troppo vicino al podio, ma nemmeno così lontano da una top ten. Regolare come pochi, il sudafricano potrebbe anche centrare la fuga buona in montagna per provare a vincere una tappa. Il resto della compagnia è composta da corridori che strizzano l’occhio perlopiù alle corse di un giorno: l’obiettivo principale sarà quello di provare a vincere tappe. Bini Girmay e Gerben Thijssen in volata, ma come gestiranno la convivenza? Mike Teunissen, Hugo Page e Laurenz Rex formeranno un ottimo trio di vagoni veloci e potenti, ma potranno anche entrare in fughe numerose, infine Georg Zimmermann e Kobe Goossens sono due profili di corridori fantasiosi, quasi selvaggi, amanti delle scorribande da lontano: occhio anche a loro due per un possibile successo di tappa.

Foto: Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency©2024

Chiudiamo con una delle squadre più interessanti di questo Tour de France seppure, almeno all’apparenza, senza uomini che possono puntare al podio, ma con la presenza del corridore italiano più forte del momento, che pochi giorni fa ha dominato il campionato nazionale e porterà, in giro per il Tour, il tricolore. Alberto Bettiol partirà con motivazioni extra dalla sua toscana, con indosso il rossobiancoverde e chissà, potrebbe pure puntare alla prima tappa e a vestire la maglia gialla. Richard Carapaz sarebbe l’uomo designato per la classifica generale, ma l’ex vincitore del Giro d’Italia, oltre a non aver ancora mostrato in stagione il meglio, in questo 2024 è finito spesso a terra. Di sicuro lui è un altro che ha pronta l’alternativa alla classifica: andare in fuga gli piace e quando va all’attacco sa pure concludere. In alternativa, per fughe e classifiche, altri tre elementi di grande qualità: Rui Costa, Ben Healy e Neilson Powless. Il primo è reduce dal successo al campionato portoghese, il secondo da una stagione inferiore a quella del 2023, ma si è sbloccato a modo suo, con una fuga, al recente Giro di Slovenia, il terzo, invece, arriva da un’annata complicata per problemi al ginocchio, ma se dovesse trovare la forma potrebbe stupire. Chiudono la selezione EF Education-Easy Post, Sean Quinn, veloce e resistente, di recente laureatosi campione nazionale statunitense, Marijn van den Berg, uno che sembra sempre sul punto di esplodere e che ha avrebbe le qualità pure per giocarsi le tappe con i migliori velocisti resistenti - quelle adatte ai van Aert o Pedersen, per intenderci - e Stefan Bissegger, un po’ cronoman, un po’ attaccante, ancora alla ricerca della sua dimensione.

PERCORSO

Sarà un Tour anomalo e ricco di novità, ritorni e cambiamenti. La partenza dall’Italia, le Alpi, subito, e poi nuovamente alla fine. Gli sterrati, due crono, i Pirenei alla fine del secondo weekend, la tappa finale a Nizza.

Dall’Italia per tre tappe, di cui due davvero frizzantine e che potrebbero già mettere in fila gli uomini di classifica. Il primo giorno, Firenze-Rimini, senza considerare quello che potrà succedere nelle ultime ore con possibili cambi di percorso a causa di strade allagate e smottamenti, ci sono pur sempre sei GPM, Barbotto e San Leo sono impegnativi, anche se lontani dal traguardo, e i chilometri più di 200: insomma, si parte col botto. Dipende da come approcceranno il primo giorno del Tour, ma, tolta una possibile azione dei big e magari un gruppetto sgranato, difficile immaginare che arrivino più di 30/40 corridori a giocarsela.

A Bologna, sul San Luca, che verrà affrontato due volte in tutto, sarà, invece, un testa a testa tra i migliori. Che siano uomini di classifica o “semplici” cacciatori di tappa non importa, di sicuro bisogna stare bene sin da subito, come ormai la corsa francese ci sta abituando.

Piacenza-Torino, il terzo giorno, invece, segnerà la prima delle tante volate di questo Tour de France, in una giornata dal punto di vista chilometrico tutt’altro che banale: 231 km è una lunghezza che non si vede più così spesso nelle corse a tappe. La quarta tappa sarà la prima di montagna. Partenza da Pinerolo e arrivo a Valloire: 139,6 km con quasi 4.000 di dislivello. Infinita la salita per arrivare al Sestriere, poi si sconfina con il Monginevro e infine, passanti tra i Giganti, si sale verso il Galibier dal Lautaret, prima di scendere  a Valloire. La classifica verrà disegnata in maniera precisa e siamo solo al quarto giorno.

Quinta e sesta tappa, arrivi di Saint Vulbas e Digione, sono due volate che precedono la prima delle due crono di questo Tour. La Nuits Saint George - Gevrey Chambertin di soli 25 km sorride agli specialisti, anche se, pur sempre breve, potrebbe non creare esagerati distacchi tra gli uomini di classifica.

Il giorno dopo ancora volata (e siamo a 4), prima di una delle frazioni più attese: la Troyes-Troyes significa tappa degli sterrati. 199km per passare una domenica sulla carta estremamente spettacolare. 14 settori, per un totale di circa 32km di sterrato potranno completamente ribaltare la classifica, renderla rischiosissima per gli uomini di classifica, speriamo solo non venga condizionata dalle cadute, un azzardo che gli organizzatori si sono presi e speriamo che paghi. Le strade bianche diventano dunque una novità per la corsa, escludendo il finale a LPDBF, ma non lo è per nulla Troyes che ha visto, tra i vari arrivi, nel 2017 e nel 2000 due vittorie tedesche in volata: Marcel Kittel ed Erik Zabel. Il giorno dopo riposo e poi si riparte con la Orléans-Saint Amand Montrond: quinta volata in programma. Tappa da fuga invece quel di Le Lioran, o tutt’al più qualche fuoco d’artificio nel finale se qualcuno si sentisse particolarmente voglioso tra gli uomini di classifica, prima, nuovamente, di altre due frazioni per velocisti, Villeneuve sur Lot e Pau, (Tour omologato) e arriviamo a sette volate, sulla carta, nelle prime tredici tappe. Mica poco.

È il preludio di ciò che avverrà nei due giorni successivi, due tappe decisive poste, intelligentemente, il sabato e la domenica e tra le più dure in programma a questo Tour 2024. La Pau-St Lary Soulan (Pla d’Adet), misura 152 km, vede soprattutto la scalata del Tourmalet con cima posta a 63 chilometri dall’arrivo che sarà su una salita impegnativa: il Pla d’Adet da Vielle Aure, quasi 10km oltre l’8% di media. con alcuni tratti in doppia cifra.

Il giorno successivo, tappa 15, 14 luglio e quindi non serve aggiungere altro, si parte da Loudenvielle e si arriva di nuovo in salita, con un classico del ciclismo francese: Plateau de Beille, affrontato poche settimane fa alla Ronde de l’Isard - ha vinto van Bekkum - e l’ultima volta al Tour nel 2015: primo fu Purito Rodriguez. Peyresourde subito in partenza, poi Col de Mente, Portet d’Aspet, lungo giro a valle prima di affrontare il Col d’Agnes e lanciarsi verso Les Cabannes da dove iniziano gli ultimi 15 chilometri verso Plateau de Beille, salita non impossibile, ma, sulla falsariga delle classiche vette pirenaiche, lunga che sembra non finire più.

Dopo i Pirenei si riposa e a Nimes, martedì 16 luglio, tappa 16 - rara e perfetta armonia - potrebbe arrivare l’ottava volata: frazione quasi interamente pianeggiante. Il giorno dopo c’è scritto fuga in tutti i modi, verso Superdévoluy, e qualcosa di simile a Barcellonette, sempre che non ci sia qualche velocista col dente avvelenato (e se fosse la tappa proprio con i velocisti in fuga?).

Sarà il preludio a quelli che saranno gli ultimi tre giorni i quali, se ce ne fosse ancora bisogno e noi speriamo di sì, decideranno la classifica. Si torna sulle Alpi con gli arrivi a Isola 2000 (dopo aver scalato Vars e Bonette) e sul Col de la Couillole da Saint Sauver sur Tinée. Salita lunga, non durissima ma è l’ultima prima della fine. Salita conosciutissima dai corridori e dove Pogačar, nel 2023 alla Parigi Nizza, vinse su Gaudu e Pogačar. Il giorno dopo gran finale, non a Parigi, ma a Nizza con una crono di 34 chilometri che potrebbe ancora cambiare la classifica.

I FAVORITI DI ALVENTO

 

Foto: ASO

 

Come sempre, per chi non volesse sciropparsi migliaia di battute, ecco qui una sintesi di quello che potremmo vedere al Tour, con nomi e stellette

MAGLIA GIALLA

⭐⭐⭐⭐⭐Pogačar
⭐⭐⭐⭐Roglič
⭐⭐⭐Vingegaard, A. Yates
⭐⭐Evenepoel, Jorgenson, Almeida, Vlasov, Buitrago, Ca. Rodriguez, Mas, Landa, S. Yates
⭐ Hindley, Gaudu, Gall, Vauquelin, Bilbao, Poels, Ayuso, Bernal, Martin, Carapaz, Healy, Meintjes, Gee, Cras, Kelderman, Kuss, Haig

MAGLIA VERDE

⭐⭐⭐⭐⭐Philipsen
⭐⭐⭐⭐ M.Pedersen
⭐⭐⭐ De Lie
⭐⭐Van den Berg, van Aert, Aranburu
⭐ Pogačar, Roglič, Evenepoel, Coquard, Groenewegen, Matthews, Zingle, Grégoire, Cort

MAGLIA A POIS

⭐⭐⭐⭐⭐ Ciccone
⭐⭐⭐⭐Pogačar
⭐⭐⭐ Roglič, Buitrago, Gee
⭐⭐ Bernal, Johannessen, A. Yates, S. Yates
⭐ Bilbao, Poels, Ca. Rodriguez, Vauquelin, Martin, Meintjes

MAGLIA BIANCA

⭐⭐⭐⭐⭐Jorgenson
⭐⭐⭐⭐Evenepoel, Ca. Rodriguez
⭐⭐⭐Buitrago, Ayuso
⭐⭐ Johannessen
⭐Pidcock, Van Gils, Van Wilder, Healy, Vauquelin, Onley, Martinez

Foto in copertina: ASO/Pauline Ballet


Questionario cicloproustiano di Eleonora Camilla Gasparrini

Il tratto principale del tuo carattere?
Determinazione.

Qual è la qualità che apprezzi in un uomo?
La sincerità.

Qual è la qualità che apprezzi in una donna?
La determinazione.

Cosa apprezzi di più dei tuoi amici?
Il supporto che mi danno a 360 gradi e la spensieratezza che posso avere quando sono con loro.

Il tuo peggior difetto?
Un pochino testarda, a volte voglio fare troppo di testa mia.

Il tuo hobby o passatempo preferito?
Sicuro non stare a casa sul divano. Stare con famiglia e amici visto il poco tempo che si ha e magari fare qualcosa di piacevole con loro (shopping compreso).

Cosa sogni per la tua felicità?
Cose semplici come avere intorno persone che mi vogliono bene e a cui voglio bene ed essere in salute.

Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia?
Perdere le persone più care.

In che paese/nazione vorresti vivere?
In Italia sto bene.

Il tuo colore preferito?
Azzurro.

Il tuo animale preferito?
Cane.

Il tuo scrittore preferito?
Non leggo molto.

Il tuo film preferito?
Me ne piacciono diversi ma uno che mi viene in mente è "Il diavolo veste Prada".

Il tuo musicista o gruppo preferito?
Ascolto un poco di tutto in realtà.

Il tuo corridore preferito?
Quando ero piccolina soprattutto mi piaceva tanto Nibali.

Un eroe nella tua vita reale?
Mio papà.

Una tua eroina nella vita reale?
Mia mamma.

Cosa detesti?
Le persone false.

L’impresa ciclistica che ricordi di più?
Vincenzo Nibali al Giro 2016 quando attacca in discesa dal Colle dell’Agnello.

Da quale corsa non vorresti mai ritirarti?
Difficile da dire, non è mai bello ritirarsi e i fattori possono essere diversi. Però, se ne devo dire una, dico L’Amstel.

Come ti senti attualmente?
Bene, sono stata Parigi a fare la recon del percorso delle Olimpiadi.

Lascia scritto il tuo motto della vita
Vivere senza rimpianti.


Ciclo Shop, Mezzolombardo

«Ma come si fa a lavorare così? Non sei capace. Non vedi che non sei capace? Non vali niente, diamine, niente». A Mezzolombardo, in Trentino, nella Piana Rotaliana, ai piedi delle balze rocciose e spigolose del Monte Fausior, stretti al corso del Fiume Noce, nonno Sergio gridava spesso così a ciascuno dei suoi sette nipoti, dietro la serranda di un locale in cui lavorava duro dal mattino alla sera: all'esterno l'insegna Ciclo Shop. Ogni tanto, qualcuno lo chiamava: «Sergio, la cena è a tavola». Lui rispondeva, sì, rispondeva, ma continuava a fare andare le sue dita, le sue mani, fino a quando la bicicletta, su cui era chino da qualche ora, era a posto, pronta per far scorrere le sue ruote su un'altra strada. Così, se la cena era a tavola alle diciannove, lui si sedeva sulla sua sedia alle ventuno, talvolta anche alle ventidue.

Quei ragazzi, i sette nipoti, sono tutti passati da quella serranda perché, in un modo o nell'altro, quell'uomo li aveva ispirati, attratti lì come accade con un magnete, una calamita: Sergio era elegante, signorile nel portamento, ma duro, a tratti burbero, poco capace, quasi per nulla, di giri di parole, schietto, sin troppo, fumantino, privo di pazienza quando si trattava del suo mestiere. Di fatto era un "tecnico" della bicicletta, quasi un matematico, schematico in ogni riflessione ed in ogni azione o pensiero di azione; un uomo di altri tempi che usava prevalentemente la bicicletta come mezzo di trasporto, anche per gli acquisti del negozio, a costo di ammalarsi per la pioggia ed il freddo d'inverno e per le volte in cui, anche fuori stagione, bisognava salire in montagna, col cuore a mille dentro il petto. Molti anni dopo, Christian Mongibello, uno dei nipoti, ricorda ancora con gusto il modo in cui nonno eseguiva la raggiatura: la decisione del gesto, la precisione ed allo stesso tempo le spiegazioni. Il punto è che, proprio per il carattere di nonno, alla fine, tutti quei ragazzi andavano altrove, si dedicavano ad altro, stanchi dei rimproveri e di quella sincerità pungente. Christian no, Christian restava al suo fianco. Anche negli ultimi anni, quando la vecchiaia e la debolezza facevano apparire tutto grande, gigantesco, per essere intrapreso: succede quando mancano le forze ed a Sergio le forze mancavano da tempo. Allora quando a Christian veniva qualche idea, quando metteva sul tavolo qualche proposta, lui ammoniva: «No, non si può fare. C'è la crisi, non vedi? Bisogna essere accorti, ponderati». Quel locale aveva ridotto le dimensioni, allo stesso modo in cui Sergio aveva ridotto le forze, quasi fossero legati da un comune destino, era diventata una piccola bottega. Fino agli ultimi giorni.

Christian ha memorizzato la data del primo scontrino emesso da Ciclo Shop sotto la sua guida, quando nonno non c'era più: parliamo di marzo del 2017. Quasi novant'anni dopo l'inizio della sua storia, dal bisnonno al nonno, dal nonno alla madre, fino a lui: quei locali sono rimasti patrimonio di famiglia, mentre i vicoli della vecchia borgata di Mezzolombardo sono sempre più pittoreschi. Anche Christian ha sperimentato altri lavori, ma, alla fine, è tornato nella bottega dove trascorreva i sabati e le domeniche. Per certe cose il tempo pare non essere mai passato: c'è ancora qualcuno che, dalla cucina, grida «a tavola» e c'è ancora un uomo che resta in officina, magari fino all'una di notte, a completare un lavoro iniziato. Il senso del dovere è lo stesso di Sergio, come la fedeltà al lavoro. Le forze sono ritornate al loro massimo e con loro la volontà di sperimentare ed inventare: il negozio si è ingrandito, ne è nato un altro, in estate, addirittura, Ciclo Shop, ha tre sedi. La prima, quella di nonno Sergio, per intenderci, ha una grossa scala al centro, simile ad una "gabbia", che accompagna dritta all'officina, un bancone e quattro cavalletti, adatti al lavoro di due meccanici, le biciclette, invece, sono esposte su sei mensole a muro, ogni bici sembra quasi un quadro da osservare in ciascun dettaglio, sino al ripiano in legno dove sono tutte schierate in fila, rivolte verso la vetrina. «Il punto centrale è l'officina: ho immaginato meccanici in "guanti bianchi", completamente dediti al mezzo, con ogni cura e con ogni attenzione. Un trattamento identico per ogni bicicletta, dalla più economica a quella più ricercata, perché non può esserci differenza nel nostro approccio, nella nostra professionalità. Una bicicletta è una bicicletta». In realtà, oltre a questo cardine, a questo principio, ben poco era già fissato. Una cosa sì, quel buco al centro del locale, dove posizionare la scala, «attorno a quella scala tutto sarebbe cresciuto passo dopo passo, giorno dopo giorno, a sentimento». E, all'improvviso, poche parole, pronunciate nella mente, e rivolte a Sergio: «Hai visto? Questa volta sono stato bravo, questa volta puoi essere fiero di me». Quasi a cancellare i vecchi rimproveri.


Un piccolo divisorio, in officina, permette ai clienti di appoggiarsi lì, mentre le riparazioni vengono portate a termine. Le persone ammirano attente e restano sorprese anche dai gesti all'apparenza più banali: ad esempio, da quel setaccio passato sulle bici, a pulirle, prima di ripararle. I tempi sono cambiati, racconta Christian: «Una volta il rapporto con la clientela si costruiva a partire dal ciclismo, oggi accade esattamente l'opposto. Si inizia a conversare di tutt'altro e, ad un tratto, la persona torna in negozio e si sofferma sulle biciclette. Le Social Ride sono pensate proprio a questo scopo: pedalata dopo pedalata, il gruppo si allarga, perché la voce giunge ad amici, a conoscenti, fino a che sai cosa accade? Da quella porta, entrano due o tre persone assieme che si scambiano consigli, mentre passano in rassegna le biciclette e noi professionisti restiamo a guardare. Quanto è bello?». Il segreto consiste nel fatto che, in questi anni di evoluzione fenomenale del mercato della bici, la differenza la fa il servizio, l'unica via per provare a stare al passo della concorrenza via internet, realtà che difficilmente si può contrastare: «Le persone possono fare avvicinare altre persone, attraverso il rapporto umano. Potrei dirla così: il cliente dobbiamo andare a prendercelo. Il rapporto umano è la strada affinché questo avvicinamento sia naturale».

Rispetto al mezzo vero proprio, Mongibello mette subito in risalto come l'estetica delle nuova biciclette sia indubbiamente di pregio, anche se capita ancora di restare meravigliati, senza parole, da qualche vecchio modello, anche i materiali e lo studio su di essi è migliorato, tuttavia, almeno in parte, è vero quel che la gente dice: «Una volta le biciclette duravano di più». «Non a caso, io chiedo ai nostri meccanici di smontare e montare daccapo le biciclette nuove che arrivano in negozio. Talvolta manca la copertura, l'olio, il grasso. Credo sia parte del Made in Italy di una volta che, a mio giudizio, almeno in parte è andato perso negli anni».
Da un lato del locale, si notano chiaramente cinque biciclette, di diversa tipologia e misura, pronte ad essere utilizzate. Christian Mongibello le ha posizionate in quel modo e, prima di spiegarci il motivo, fa un'unica affermazione: «Nonostante le sue varie declinazioni, la bicicletta è una sola». Qualche attimo di riflessione sul principio appena enunciato e Mongibello definisce meglio i contorni del suo pensiero: «Chi si cimenta nel gravel, talvolta, non riconosce pari valore al ciclismo su strada, vale lo stesso viceversa, e questo discorso è replicabile anche per le altre discipline, per le biciclette elettriche, ad esempio. Bisognerebbe spiegare, raccontare che tutte le specialità contengono qualcosa che vale la pena di essere scoperto, vissuto. L'abbiamo fatto più volte, dedicando tempo ed entusiasmo, purtroppo, però, si arriva spesso allo scontro. Quelle biciclette servono per dire semplicemente: "Prova, proviamo insieme", mettendo da parte un sacco di altre parole. Provare è la chiave». Sì, anche per comprendere la differenza tra costo e valore: il costo è il lato economico, il valore è, invece, qualcosa di intrinseco. I due termini possono coincidere, ma non sempre accade. L'aumento dei costi correlato alle guerre ed ai rincari delle materie prime è un dato che tocca tutti, anche Ciclo Shop, anche le biciclette. Difficile, sempre più difficile, in un momento in cui, spesso, il risparmio, o il presunto risparmio, è messo al primo posto, anche se bisogna andare lontano, anche se il costo della benzina o i chilometri annullano il presunto vantaggio: c'è una convinzione di fondo che non si sradica, su cui però è necessario lavorare, provando a razionalizzare il proprio comportamento.

Di sicuro, il Trentino Alto Adige è terra di ciclismo. La terra natale di Francesco Moser e Gilberto Simoni, fra gli altri, due nomi che hanno avvicinato tanti giovani alle due ruote, rinfocolando la passione anche nei momenti più complessi, «simile a quel che Yannick Sinner sta facendo nel tennis». La cima della Paganella è vicina, le bellezze naturali non mancano, in un anello di cinquanta chilometri, comprendente il negozio, si passa dalle ciclabili all'asfalto, allo sterrato, dal lago alla montagna, magari fermandosi nelle cantine che offrono ospitalità per l'occasione: una varietà che stupisce.

Accanto a Christian, c'è il fratello Marco, che ha lasciato un lavoro ben retribuito, un contratto sicuro, ed umilmente ha iniziato ad imparare come si mettono le mani fra gli ingranaggi di una bicicletta. Christian gli ha spesso detto quel che dice anche a noi: «La parte più bella di questo lavoro è avere la possibilità di dare forma a qualcosa di nuovo, qualcosa che prima non c'era, figlio dell'impegno, del talento e della fantasia». Lui ci ha creduto, ci crede, come facciamo anche noi e non solo. Christian ha due figlie: lo aspettano quando esce per i suoi giri in bicicletta con i visitatori del negozio, lo cercano, durante la giornata, nella casa che è proprio sopra il negozio. La maggiore ha sei anni e, quando torna dall'asilo, chiede di scendere in officina a fare merenda insieme a papà. Altre volte è solo il desiderio di stare in compagnia a fare in modo che quelle due bambine corrano a rifugiarsi nel locale. Christian Mongibello sorride compiaciuto, si immedesima in quel che prova sua figlia: in fondo, somiglia molto a quel che sentiva lui, vicino a nonno Sergio ed alle tante biciclette di Ciclo Shop.


La carovana pare infinita

Maurice Garin era un "ramoneur", ovvero uno spazzacamino, colui che pulisce la canna dei camini dalla fuliggine, per questo doveva essere molto magro, per muoversi con abilità in quel varco stretto. In bicicletta aveva iniziato a correre, insieme ai fratelli, inseguendo una speranza, che potesse allontanarlo dalla miseria, dopo la perdita del padre. Più o meno in questi giorni del 1903, Garin era alla partenza del primo Tour de France, quello che vinse, in poco più di 94 ore, per percorrere sei tappe.

Da un villaggio della Valle d'Aosta, alla cittadinanza francese, a Parigi. In più di centoventi anni di cose ne sono cambiate: Garin non vestì la maglia gialla, quella arrivò nel 1919 ed il primo a vestirla fu Eugène Christophe, lui che, nei giorni del Tourmalet, riparò la forcella della sua bicicletta in una bottega, a Sainte-Marie-de-Campan: c'era un fabbro ad aiutarlo. Ai tempi di Garin, il simbolo era una fascia verde. Il giallo, forse, è una delle cose che da quel momento non sono più cambiate: la maglia, le spighe di grano ed i girasoli. Firenze, dov'è il viola il colore simbolo, assieme al giglio, sarà tinta di giallo per la prima partenza del Tour de France dall'Italia, come Rimini, Cesenatico, Bologna, Piacenza, Torino, Pinerolo.

Firenze dove Bettiol indosserà la maglia tricolore, vinta qualche giorno fa, vicino alla casa di Alfredo Martini, la stessa casa dove si recò a pochi giorni dalla maturità, ma gli esami non finiscono mai e il Tour, che parte dalla Toscana, con il tricolore attaccato alla pelle, sarà un esame, un'emozione. Ne parlerà lui. Non è cambiata l'afa di luglio, la "canicule", quella che "scioglie" le strade, l'asfalto e chi è stato in Francia, sulle vette, sa che non è un modo di dire. La dieta dei corridori non comprende più cioccolata calda, tè, champagne e budino di riso, la preferita di Henry Cornet, ma esiste ancora la figura del "Lavoisier" per segnare i distacchi su una lavagna, con un gessetto e, sicuramente, qualcuno, in città, vedendo un bambino sfrecciare sempre in bicicletta, lo chiamerà "Tour de France", come si narra che gli abitanti di Meensel-Kiezegem, la sua città natale, chiamassero Eddy Merckx, quando scoprì la bici e non la mollò più, lui che di Tour ne vinse cinque. In Francia si continua ad andare a vedere il Tour "à la bonne franquette", ovvero "alla buona", come capita, ma questo non vale solo per la Francia, ma per il ciclismo in generale.

La carovana pare infinita, più lunga delle sue strade, c'è l'acqua che viene spruzzata, ci sono matite, penne, strani salvadanai, cioccolatini e anche salamini: un ricordo del giorno in cui qualcuno ti porta a scoprire il Tour e la sua grandezza, la sua "grandeur". L'eco di "Cent'anni di solitudine" non è casuale perché il Tour è fatto anche di solitudini, in maglia a pois, in fuga, oppure vicino alla voiture balai in coda, come è fatto di rimandi alla letteratura e alla poesia, da Petrarca a Baudelaire e viceversa. Di tappe simboliche, la quinta per Vincenzo Nibali, di anni magici, il 1998 per Marco Pantani. Tadej Pogačar giocava a biliardo qualche giorno fa, Vingegaard e van Aert se la ridevano in allenamento con la nuova divisa. La "Chanson de geste" che ha nome Tour de France parte domani e parte dall'Italia.


Quando finisce il buio: intervista a Giada Borghesi

Anche il 2021 stava per finire e Giada Borghesi continuava ad avvertire quella stanchezza sempre più simile a un malessere. Solo diciannove anni eppure, ogni mattina, al risveglio i suoi muscoli erano indolenziti, le sue braccia erano stanche, svuotate. Un anno prima, di quei tempi, a dicembre, aveva contratto il Covid e tutti i medici con cui parlava, a cui chiedeva consulto, continuavano a dirle che erano sintomi normali, perfettamente assimilabili al Long Covid, il problema era il tempo: ormai erano troppi mesi e Giada non riusciva più a riconoscersi. «Da bambini vogliamo tutti sentirci speciali in qualcosa, sapere di avere un tratto unico, di poter essere qualcuno nel futuro ed io, nell'infanzia e nell'adolescenza, avevo capito che la mia "unicità" potesse trovarsi nello sport, in qualunque sport, perché riuscivo a fare cose difficili con facilità e sentivo un senso di pienezza in quegli istanti. Era stato tutto così fino all'anno prima, anche nei momenti più complessi, ora sembrava non esserci più nulla.

Quel fuoco che mi teneva in piedi era ridotto a fiammella, certe sere a pura speranza senza un fatto a cui aggrapparsi per crederci e, in alcuni momenti, ero io la prima a non crederci più. Ma può finire tutto così? Può sparire tutto?». Ancora oggi, se date un pallone da calcio a Giada Borghesi vi sorprenderà con una lunga serie di palleggi, se la cava bene su un campo da tennis, con pallina e racchetta e, in bicicletta, sono mesi in cui sta meglio e i risultati hanno iniziato a venire. Nel buio di quell'anno voleva i risultati, quelli cercava? Sì, ma, alla fine, c'era una posta più importante in gioco. «All'inizio soffrivo per il ciclismo: correvo le gare di ciclocross alla domenica e, per recuperare, mi serviva una settimana: gli allenamenti erano impossibili e appena recuperavo arrivava un'altra gara a sfinirmi. Ad un certo punto, però, non pensavo nemmeno alla bicicletta, pensavo alla mia salute, a quando sarebbe passata, se sarebbe passata. Volevo stare bene, uscire da quel tunnel, smettere di continuare a fare analisi chiedendo a tutti una risposta, non la soluzione al problema, ma, almeno, l'individuazione del problema».

I consulti, alla fine, una risposta la danno: è celiachia. Un'infiammazione dei villi intestinali che li debilita e rende praticamente impossibile assorbire energie. Si tratta di cambiare completamente alimentazione e serviranno mesi perché qualcosa possa vedersi, nella vita di tutti i giorni e nel ciclismo. Non è facile per nessuno, per una ciclista ancora meno, perché la vita da ciclista porta spesso a cene fuori casa, magari all'estero, non sempre si viene capite, non sempre si trovano gli alimenti adatti, eppure il giorno della diagnosi è un giorno di sollievo per Giada Borghesi: sa da dove ripartire, sa cosa fare. Basta poco quando si sta male, pochissimo. Suo padre Giuseppe, anch'egli ciclista, smise dopo la categoria dilettanti per un problema di salute: «In tanti mi hanno capita, lui, forse, ancora di più. Ricordo che mi diceva che doveva esserci per forza qualcosa, che lo avremmo scoperto e, solo a pensare che esistesse una soluzione, stavo meglio, mi facevo coraggio». Sua sorella, Letizia, ha iniziato a pedalare proprio vedendo le foto di papà e lei, Giada, ha iniziato a farlo vedendo Letizia, la sorella maggiore «da cui imparavo solo guardando, lei ha tracciato una strada in questo mondo che piace ad entrambe e quando sai che qualcuno, prima di te, ha vissuto le stesse esperienze puoi chiedere e, se puoi chiedere, sei meno solo, tutto è più facile». Quel talento non è scomparso, il fuoco torna ad ardere, la fiammella è nuovamente viva: Giada Borghesi prende dei punti di riferimento in gruppo, se riesce ad arrivarci vicino o assieme si sente confortata. «Ricordo che vedevo la posizione in cui era arrivata Alessia Vigilia, quest'anno in FDJ, e, se non avevo perso molto, mi rassicuravo vedendo il suo percorso, era una sorta di ispirazione, pur se non gliel'ho mai detto». A volte vorrebbe solo staccare per un mese, non pensare a nulla, però non può: deve trovare una nuova squadra per correre. Sarà la BTC City Ljubljana Zhiraf Ambedo, squadra italo-slovena con sede in Italia.

Sì, pur non sentendosi soli, certi ragionamenti si fanno in solitudine, in silenzio, mentre nessuno ci guarda, ci sente: nel bene e nel male. Al Giro Mediterraneo Rosa, il 19 aprile, durante la prima frazione, da Frattamaggiore a Terzigno, coglierà il successo: le corse a tappe, tuttavia, non permettono molto di gustarsi quel che accade, da lì ci si sposta al Gran Premio Liberazione, a Roma, dove Borghesi concluderà quinta dietro, fra le altre, a Chiara Consonni e a Silvia Persico: «Lì ho capito quello che stavo facendo e che, dopo tanto brutto tempo, le cose andavano meglio. Soffrire non fa mai piacere, però, forse, se accade, può formarti, in qualche modo, farti capire ciò che vuoi, esserti utile». Soprattutto sono i giorni in cui Borghesi sente il suo corpo come lo vorrebbe, senza stanchezza, senza malessere, la cosa per lei più importante: «Il risultato non mi sarebbe bastato, sarebbe anche potuto arrivare, ma non sarebbe stato sufficiente, dovevo tornare a sentire di avere qualcosa di speciale, qualcosa che potesse farmi "arrivare"». Quel corpo, Borghesi lo conosce alla perfezione, sa ascoltarlo: lei che si allena, senza un preparatore, seguendo le sensazioni e per farlo mette ancora più voglia "perché non si ha una tabella, magari i passaggi dell'allenamento sono differenti, ma è necessario fare tutto, senza lasciare nulla al caso. Il corpo non sbaglia mai". Come al Tour Féminin International des Pyrénées, sul Col d'Aubisque, quando ha avuto la pazienza di rallentare, di prendere il proprio passo e salire con tranquillità: è arrivata sedicesima ed il giorno successivo era a giocarsi la tappa.
Si sente scalatrice, con ampi margini di miglioramento: viene dal ciclocross, ha imparato così a guidare la bicicletta, si cimenta nel gravel, perché la diverte e continuerà a fare cross in preparazione della stagione su strada. Insieme a Letizia, da bambine, a casa della nonna, sul computer si cimentavano in giochi geografici, oggi conosce quasi tutte le capitali degli Stati e, se gliene manca qualcuna, corre subito a cercarla, per poi sfidare gli amici. Ogni tanto sogna la Roubaix o il Fiandre, per le corse a tappe, invece, «serve un pizzico di tempo in più per capire quanto si sia adatte». E Giada Borghesi quel tempo se lo prenderà, ora che sta bene non ne ha più.