Place to be: Ticino
Paesaggi alpini o clima meridionale: in Ticino una scelta non preclude l’altra, a favore di una stagione ciclistica da 365 giorni.
- 27 percorsi ufficiali per MTB
- 4 piste ciclabili su asfalto
- 815 chilometri di pista ciclabile per MTB
- 13 impianti di risalita con trasporto di biciclette
- oltre 30 Bike Hotel pronti a offrirvi ogni tipo si servizio
C'è un luogo davvero a pochi passi da noi, dove quasi non ci si rende conto di essere all'estero, se non per qualche minima differenza linguistica. Così vi capiterà di sentir parlare di medicamenti invece che di medicine e di bilzo balzo invece che di altalena. Le ciabatte vengono dette ziblette e il meteo assume forma femminile: la meteo. Il telefono è il natel, l’ascensore il lift, e se un ristorante cambia proprietà, si dice che cambia gerenza. A parte queste piccole, e decisamente innocue differenze, pedalare in Ticino sarà come sentirsi davvero a casa.
Per prima cosa c’è il treno che da Milano ci porta direttamente lì, nel cuore del cantone svizzero. Sì, una scelta che fa sicuramente bene all’ecologia, ma che ci da subito quell’emozione e quella sensazione di essere in viaggio, già partendo da casa.
Una volta arrivati a Bellinzona, si apre un mondo di opportunità. Si può iniziare subito a pedalare, dirigendosi verso Lugano o verso il Mendrisiotto, oppure verso Ascona e il Lago Maggiore. O ancora proseguendo verso le vicine valli di Bellinzona. E se il chilometraggio diventa troppo importante, si può utilizzare la fitta rete ferroviaria gratuita. Si chiama Ticino Ticket, ed è un semplice biglietto con cui viaggiare all’interno della regione durante il soggiorno, che si ottiene pernottando in uno degli oltre 500 alloggi partner, tra alberghi, ostelli della gioventù e campeggi del Canton Ticino. Attenzione però, le biciclette sono escluse dall’offerta Ticino Ticket; il che vuol dire che se vuoi portare la bici con te devi informarti in anticipo circa eventuali costi e limitazioni definiti dalle imprese di trasporto sulle quali desideri viaggiare.
Noi, per rendervi tutto più comodo, abbiamo pensato a tre itinerari da consigliarvi.
1. Il giro del Lago di Lugano
Una volta arrivati in treno a Capolago, si parte per un tour che tocca la regione di Lugano, il Mendrisiotto e, per una parte, anche l’Italia. Da percorrere in senso orario o antiorario, la scelta sta a voi.
Periodo consigliato: tutto l’anno.
77 km, 680 m d+
2. Blenio – Lucomagno
Raggiunto il paese di Biasca con il comodo servizio ferroviario, parte una lunga salita che lungo la Valle di Blenio arriva fino al Passo del Lucomagno, uno dei valichi più belli e panoramici di tutta la Svizzera.
Periodo consigliato: estate.
28 km, 660 m d+
3. Locarno – Palagnedra – Bordei
Il giro parte da Locarno, raggiungibile con il treno. La zona è più selvaggia e testimonia la povertà del passato, con una strada che sale moderatamente attraverso la valle fino al lago artificiale di Palagnedra. Dopo aver svoltato in direzione Palagnedra e Bordei, inizia la salita vera, con una serie di tornanti, seguiti da una discesa e da un'ulteriore salita fino a Bordei.
Periodo consigliato: primavera, estate e autunno.
50 km, 890 m d+
Le Alpi, i fiumi, i laghi, le curatissime vigne: che sia asfalto o gravel, qualunque itinerario sarà una piacevole scoperta. E, siamo sicuri, alla fine del vostro piccolo viaggio capirete perché tanti professionisti delle due ruote hanno scelto il Ticino come casa, anche per gli allenamenti quotidiani.
Per maggiori informazioni
ticino.ch/bike
Il sogno delle cinque gare più dure al mondo
Il giorno in cui suo padre, ciclista e appassionato di ciclismo, gli ha regalato la prima bicicletta da corsa, la reazione di Giorgio Emanuel è stata un misto di paura e di "odio" verso quel mezzo che aveva sempre vissuto in casa e a cui addossava diverse colpe, quella di non giocare a calcio come tutti i suoi amici, ad esempio. Dietro casa, c'era il campo in cui lavorava suo nonno e un trattore appena avviato, Giorgio corse da lui, con la bicicletta sotto mano: «Nonno, per favore, tagliala, distruggila, passaci sopra con il trattore, però portala via da me. Non la voglio e basta». Quell'uomo, ora malgaro, aveva avuto una vita piena e difficile: a causa dei bombardamenti, subiti in guerra, non sentiva bene e, a causa di una scarica elettrica che l'aveva colpito nei campi, poteva camminare solo molto piano, a piccoli passi, eppure, quando parlava delle sue montagne, tutto passava in secondo piano. Le montagne sapeva anche odiarle, per i loro inverni freddi, per la neve "cattiva", i ghiacci e gli animali, ma da lì non se ne sarebbe mai andato. Ogni tanto, si sedeva con Giorgio, nei campi dei pascoli, e con la mano iniziava ad indicare: «Vedi l'Argentera? Se osservi bene, noterai due punte, ecco, quello in mezzo è il Corno Stella». Sembra di sentirla ancora oggi la sua voce e quelle descrizioni, quei racconti. Per questo, quel giorno chiese a lui di distruggere quella bicicletta, perché si fidava ciecamente, ed il nonno disse solo «abbi pazienza, ancora un poco di pazienza» eppure, col suo tono, quasi lo convinceva, come già gli era successo, quando aveva iniziato a pensare che di tutte quelle montagne, segnate da quelle dita, avrebbe voluto esplorare la cima, poi tornare a raccontargliela.
La prima mountain bike, qualche anno dopo, forse era più simile al suo carattere, libera nei boschi, fra la terra e le pietre, "più feroce", ma, alla prima gara, cadde male e suo padre gliela levò di mano. Pareva finito tutto lì, mentre giocava a beach volley in spiaggia e la nazionale di tiro con l'arco lo convocava. Finito? Sì, almeno sino ai diciotto anni. «Lo sappiamo bene, è l'età della patente, delle serate in discoteca: dormivo due ore per notte e, al mattino, mi presentavo agli allenamenti con gli occhi gonfi e la testa frastornata. I miei genitori lavoravano e non riuscivano ad accompagnarmi ovunque per le gare: presi quella scusa e cercai di convincerli che era meglio rinunciare al tiro con l'arco. In realtà, non avevo la testa per una carriera professionistica e non avere la testa, a certi livelli, significa non avere la stoffa. Preferivo divertirmi in spiaggia e non pensare a nulla». A suo padre, però, di quelle sensazioni di ragazzino alle prese con la prima bicicletta, di quella sofferenza, non aveva detto nulla e non ha mai detto niente: «In fondo, lui mi sognava in quell'ambiente, già non ero riuscito a realizzare il suo sogno, mi sembrava profondamente ingiusto ferirlo, spiegando questo dolore. Alla fine, col senno di poi, sarebbe stata anche una ferita inutile, perché la bicicletta è ancora nella mia quotidianità».
La bicicletta l'aveva portata sulle vette, ma, in quel senso, era quasi diventata un limite, nonostante ci avesse percorso il Cammino di Santiago, perché su certe cime è necessario essere soli, altro non serve, è troppo. Era stato un breve ritorno, l'ennesimo. Le cime delle montagne le ha esplorate scalando, arrampicando, assieme a Maurizio, amico e maestro, e ora è sicuro che nonno non aveva inventato proprio nulla, era tutto vero, un misto di saggezza e di esperienza. Poi una proposta di lavoro da parte dell'azienda in cui era cresciuto, un lavoro lontano, in Cile, nelle centrali idroelettriche, il rifiuto, un nuovo lavoro e un posto di responsabilità. Giusto due settimane dopo, un dialogo con un amico.
«Sai, voglio fare l'Iron Bike. Mi aiuti?».
«Giorgio, ma sei tutto matto. Hai fatto una vita ad arrampicare, come pensi di fare? Dai, si tratta di una sciocchezza».
«No, non mi interessa. Voglio farlo, semmai cammino con la bici fra le mani. Mi aiuti? Sennò faccio da solo».
Quell'amico, messo alle strette, l'ha aiutato, lungo nove mesi di preparazione e, alla fine, il giorno delll'Iron Bike è arrivato, proprio poche mattine dopo il giorno in cui Maurizio se n'era andato per sempre, durante una scalata all'Himalaya, e non sarebbe più tornato. Una mattina sin troppo triste, dopo tanta attesa: le montagne di casa, il ritmo della pedalata, il respiro affaticato, la fatica che morde, l'unico modo per non pensare e, all'arrivo, un'emozione difficile da raccontare che ricorda ancora oggi, mentre ripensa a tutte le volte in cui anche lui ha odiato le montagne, che pur ama, e la bicicletta, che pur era tornata: «La bicicletta insegna la pazienza, i tempi sono lunghi, per andare da una città all'altra o per scalare il Colle Fauniera. Anche a me è capitato di pensare di tornare indietro, per la stanchezza o la noia, non l'ho fatto come non lo fa quasi nessuno in bicicletta. Per me sono stati preziosi gli insegnamenti dei miei genitori, mi dicevano: "Non devi subire la vita. Le scelte sono materiale complesso, difficile, anche rischioso, se vogliamo, però gli esseri umani hanno il dovere di scegliere, non di essere perfetti: noi vogliamo che tu scelga e puoi scegliere quel che preferisci, senza giudizio alcuno, ma una cosa vorremmo la ricordassi. Devi essere responsabile delle tue decisioni e provare a portarle fino in fondo". Quando una salita è troppo tosta, ci ripenso». Gli capita al colle di San Bernardo del Vecchio, dove pedala almeno una sessantina di volte l'anno, nella chiesetta lassù, gli è successo sul Galibier, sulla Bonette, soprattutto nelle gare in condizioni maggiormente estreme. Sì, perché l'idea a cui ha dato vita in cui è sfociata questa storia è stata quella di competere nelle cinque gare più dure al mondo: ha gareggiato in Nepal, in Europa con l'Iron Bike e, se non ci fosse stata la pandemia, sarebbe partito per una corsa in Australia che, ora, non si svolge più. All'Atlas Mountain Race, in Marocco, forse, i momenti più difficili: «Alle due di notte, le mie gambe sprofondavano in mezzo metro di neve. Contavo di arrivare al "campo uno" in sei ore, ne ho impiegate dodici. Chi me lo fa fare? Non lo so, però so che farlo è l'ultimo passo. Penso che alle persone sia necessario raccontare l'emozione del percorso, della volontà, del progetto. Forse è quella che spinge a fare cose che razionalmente difficilmente si capiscono, come l'ultracycling che costringe a non dormire ed a pedalare nel buio della notte». Suo padre è sottilmente orgoglioso di questo figlio pedalatore, ma non è abituato a mostrarlo, anzi, a volte, gli dice che è un folle, come quando, su una fettuccia sospesa a tremila metri, in Valle Varaita, percorse, a piedi, lo spazio tra due montagne, però, racconta a tutti le sue avventure: «Al bar, con gli amici, divento una sorta di figlio-eroe e le mie avventure sono vere e proprie imprese. Mi ricompensa di quel dolore che, forse, gli ho dato anni fa ed è bellissimo così»,
Pauliena Rooijakkers raccontata dalla sua compagna di camera
Appena rientrata al bus della squadra, una ciclista, con ancora il casco in testa, il numero attaccato alla maglia e gli scarpini addosso, ben prima di entrare in doccia, afferra prontamente lo spazzolino, vi mette il dentifricio e si lava subito i denti. Il rito si ripete ogni giorno, dopo una gara. Qualcuno le chiede il motivo di questa abitudine, inusuale, bizzarra, lei, con naturalezza, risponde: «Sono infastidita dal sapore dei gel che utilizziamo in corsa, non voglio che mi resti in bocca, così cerco di eliminarlo subito, lavandomi i denti, prima di ogni altra cosa». Noi non lo sapevamo, ce lo ha raccontato Greta Marturano che, al Giro d'Italia, era compagna di camera, oltre a essere compagna di squadra, di questa atleta: parliamo di Pauliena Rooijakkers. Nata il 12 maggio 1993, a Venray, nei Paesi Bassi, Rooijakkers è professionista dal 2012, ai tempi della Boels Dolmans. Diversi team nel corso degli anni, dalla Parkhotel Valkenburg, alla CCC Liv, alla Liv Racing, fino alla Canyon-SRAM Racing, due anni fa, nel 2022. Proprio in quell'occasione ebbe modo di soffermarsi sulla bellezza del capitare, dopo varie esperienze, in una squadra in cui le componenti non fossero tutte olandesi, ma provenienti da varie nazioni, con abitudini diverse e differenti modi di guardare al mondo. Sì, perché, spiegò, quando accade ed è possibile restare quel che si è, non ci si sente strani e si comprende che, alla fine, si è, se si vuole, solo particolari ed è un piacere saperlo. A inizio anno, in ritiro a Benicasim, in Spagna, Rooijakkers e Marturano lavoravano in due gruppi differenti, in considerazione della data in cui avrebbero iniziato la stagione, ma un giorno, in una pedalata, Pauliena confidò tre cose che amava particolarmente: «Mi disse: "l'Italia, Livigno e la bresaola, in quest'ordine». Poco per dire di conoscerla, ma un inizio". Niente da dire, tutto coerente.
L'abbiamo già detto, anzi scritto, non è un nome nuovo quello dell'olandese, almeno per chi segue con attenzione il ciclismo, ma, se negli ultimi periodi se ne parla con più frequenza è per il podio conquistato al Tour de France Femmes, terza dietro a Kasia Niewiadoma e Demi Vollering. Protagonista nella giornata più dura, dolce e drammatica allo stesso tempo, tra Glandon e Alpe d'Huez, il giorno in cui avrebbe anche potuto vincerlo quel Tour, precedendo Vollering. A quel punto, da sole all'attacco di Niewiadoma, per qualche minuto anche Rooijakkers ha pensato alla maglia gialla: era la prima volta. Di sicuro non ci pensava a inizio settimana, quando Marturano le scriveva il suo in bocca al lupo: «Non sarà lo stesso senza la mia compagna di camera preferita». Rispondeva così. Simili Marturano e Rooijakkers, almeno nel modo di tenere la camera e per condividere uno spazio comune per giorni e giorni è necessario, altrimenti si accumula altro stress fuori corsa ed è altro spreco di energie: «Siamo entrambe precise, ordinate: se aprivi la porta della nostra camera, sentivi profumo di pulito. Io sono molto, ma davvero molto, più timida di lei, Pauliena è spigliata, ma ha anche qualcosa della mia timidezza: la capacità di selezionare, di non darsi, di non raccontarsi a tutti indiscriminatamente. Sceglie le persone con cui parlare e può non dirti proprio nulla, se non vuole, se non si fida. In camera non abbiamo mai parlato una volta della tappa del giorno stesso o di quella del giorno successivo. Non abbiamo mai riguardato una corsa. Ci isolavamo così, recuperavamo così».
Al Giro d'Italia Women, Rooijakkers ha terminato appena giù dal podio, quarta, ma c'è un altro quarto posto particolarmente significativo, quello raggiunto al Blockhaus, nella sesta tappa, la frazione regina. Si sente a proprio agio su salite lunghe e anche questa non è una sorpresa, forse lo è maggiormente sapere che, un paio di anni fa, per preparare il suo fisico a quella fatica pedalava in spiaggia, di più, ha vinto un campionato europeo di MTB Beach Race. In entrambi i casi, analizzava Rooijakkers, è necessario sviluppare molti watt e soffrire: su una rampa verticale o nella spiaggia e nel vento che arriva dal mare. Rooijakkers e Marturano hanno il medesimo preparatore ed i lavori che si trovano a compiere sono simili, essendo anche entrambe scalatrici,così capita che si confrontino sulla propria condizione: «Anche in ritiro è accaduto. Magari continuavamo a sorpassarci a vicenda in salita e a me scappava da ridere, non era competitività, era un gioco. Non ho mai sentito una volta Pauliena sbuffare o lamentarsi per qualcosa che non funzionava: è una vera e propria leader, riesce a prendere la realtà con leggerezza e divertimento, e chi è più giovane ha tutto da imparare. A me piace ascoltarla perché rappresenta il modo in cui deve essere una capitana, a mio avviso». Al Giro, il ruolo di capitano era condiviso da entrambe, al Tour, invece, «nonostante in giro si dicesse altro», era proprio Rooijakkers la capitana.
«Quando caddi, al Giro, fu Pauliena la prima a preoccuparsi per me. Mi chiedeva un sacco di volte al giorno come stessi. Tra l'altro, per me, a causa del Covid, non è stato un bel Giro. La sera del mio ritiro mi ha scritto un messaggio: "Non pensare a come stai ora, a quel che è successo, a queste sensazioni. Tornerai presto. A testa alta". Tutte le volte in cui ci siamo confrontate sui numeri, devo essere sincera, lei credeva nei miei più di quanto ci credessi io, ma sapevamo entrambe di avere dati buoni e, con quei dati, la squadra aveva ben chiaro dove potesse arrivare Pauliena». La stessa squadra che conosceva alla perfezione la tappa dell'Alpe d'Huez al Tour, quella che Rooijakkers ha subito ringraziato a fine corsa, per il ritiro in quota insieme, per i piccoli lavori quotidiani, che nessuno vede ma ci sono, per il cibo e tante altre cose. In Fenix-Deceuninck, ha precisato, non esiste separazione tra squadra maschile e femminile ed è questo scambio reciproco che porta alla crescita. Per il resto, su tutto quel che c'è da migliorare si può lavorare.
Greta Marturano torna con il racconto al ritiro che ha preceduto il Giro d'Italia: «Erano i giorni del mio compleanno ed io ero abbastanza giù di morale, lontana da casa, senza la possibilità di festeggiare. Pauliena Rooijakkers l'ha saputo, ha preso la propria macchina, è andata al supermercato, ha comprato i miei biscotti preferiti e ha organizzato lei una festa, così, quando sono scesa a pranzo, c'era una grande scritta di auguri e un banchetto. Mi piace raccontarlo perché parla della persona prima che dell'atleta». Alla conclusione del Tour, al messaggio di Marturano, Rooijakkers ha risposto con poche parole: «Grazie per il sostegno. Avanti così, verso i prossimi traguardi». Niente da aggiungere, ha detto tutto Pauliena.
Foto: Sprint Cycling Agency