“Che sport incredibile il ciclismo” è un messaggio che ricevo mentre i corridori stanno affrontando gli ultimi chilometri. E lunghi sono stati quegli ultimi chilometri, perché la relatività del tempo applicata al ciclismo trova oggi pieno significato.
È impressionante quanto il tempo sia soggettivo e risponda a leggi fatte di fatica e sensazioni, di impulsi e riscontri. Come si modifichi a seconda del soggetto che lo vive, del momento e delle emozioni.
Per Martin gli ultimi quattromila metri sono interminabili. Almeida forse avrebbe chiesto qualche centinaia di metri in più. Yates arrivava quasi sorridente al traguardo, mentre Bernal, dopo un’imbeccata di Martinez, arrancava, ondeggiava ma si salvava: oggi una giornataccia la sua, ma lo è stata per molti.
Il tempo. Quello di una corsa come oggi che parte in discesa, veloce, velocissima, bevi un caffè e loro sono già a Trento. Il tempo che si dilata salendo verso il Passo di San Valentino, duretto non c’è che dire, o verso Sega di Ala, salita dura, vera, bellissima come il disegno di una frazione fatto come si deve.
Il tempo relativo a guardarsi indietro: due settimane già volate via, tra noia e domìni, colpi di scena, fughe e sprint. Polemiche, lacrime, cadute, persino oggi e forse decisive per qualcuno. Ferite, rinascite, vittorie e sconfitte; pioggia, neve, sole e il caldo odierno, finalmente, che di sicuro esprime nuovi valori in campo. E poi vento, mare e montagna, colline e splendide vallate.
Il tempo che sfugge: fra pochi giorni saremo a Milano, e un altro Giro sarà finito. Tre settimane così maledettamente veloci e tutto questo sembra già mancarci.
Il tempo che si comprime: la tappa degli sterrati durata un attimo, quella di Verona non finiva più. Cronostasi sul Giau senza immagini che era come entrare nella Casa di Foglie di Danielewski. O come oggi: per noi è un flash ridotto a brandelli di minuti su quell’ultima salita dove succede di tutto un po’.
Il tempo che plasma, che esplode o che invecchia. Il tempo di Covi: giovane di quelli che però il tempo non lo vogliono perdere. Oggi ancora in fuga, mosso, racconta, da passioni immotivate – lo capiamo benissimo, perché è come quando ci chiedono: perché ti piace il ciclismo?
Il tempo come un inganno che vola veloce, come quello di Luis Leon Sanchez che in un attimo si è guardato indietro ed è il più anziano in fuga.
Il tempo nel ciclismo, come un gioco a cui giocare, anche se qualcuno avrà da ridire: definirlo così è roba da pazzi. Definirlo un gioco, oggi, un azzardo impensabile.
E col tempo Martin non ci gioca, esulta sul traguardo con faccia e stile da sgangherato Paul McCartney, «non ho bisogno di vincere per stare bene con me stesso – sosteneva tempo fa – Mi basta aver dato il 100%». Oggi quel tutto lo ha dato e in cambio ha ricevuto qualcosa.
Quel tempo oggi per lui è durato un attimo, oppure un’eternità. Sarà una foto che non dimenticherà mai e conserverà per sempre, magari in una di quelle giornate in cui un momento sembrerà non passare più.
Come quegli attimi finali, vividi, impressi a tratteggiare questo Giro. Che chissà, forse possono aver cambiato faccia alla corsa.
E se ci dovessero chiedere di nuovo: perché ti piace il ciclismo? Risponderemmo senza timore: perché in giornate come questa sa essere uno sport incredibile.
Foto: Luigi Sestili