Stamani, Lorenzo Fortunato, Eolo-Kometa, è tranquillo, anzi «molto tranquillo», come dice lui. Ne è convinto. «L’importante è aver fatto tutto ciò che si poteva fare prima di presentarsi alla partenza. Se capita la giornata no, la accetto. Quello che non riuscirei mai ad accettare sarebbe la possibilità che le cose siano andate male per una mia manchevolezza». Fortunato, nato e cresciuto a San Lazzaro di Savena, dietro le colline bolognesi, ha un senso del dovere particolarmente spiccato. La campagna attorno alla casa dei suoi nonni, sin da ragazzino, gli ha fatto da maestra. «Ho sempre visto cosa significasse portare a casa la pagnotta per se stessi e per i propri familiari. La fatica che hanno fatto i nonni o mio padre, che ha iniziato a lavorare al termine delle scuole medie come meccanico, poi come falegname ed oggi è direttore di banca». Così al concetto di fatica Lorenzo è abituato, come a quello di dolore, almeno in sella. «Alla fatica del nostro mestiere ti puoi abituare, come alla sofferenza fisica. Il vero dolore, la vera fatica è quella insita nelle faccende della vita di tutti i giorni. Quello ti coglie alla sprovvista e devi essere bravo per non cedere».

Le strade del Campionato Italiano, in realtà, sono distanti da casa, ma Fortunato ricorda bene quando, da ragazzino, andava a Imola, con una tuta rossa, a vedere la Ferrari girare in autodromo. Tifava per Schumacher, se pensa a Imola, però, gli viene in mente Ayrton Senna. «Ho pochi ricordi, molto nitidi. L’incidente e Senna che viene trasportato d’urgenza a Bologna». Preferisce non ripensarci e torna a parlare della giornata che lo aspetta: «Sarà caldissimo, credo intorno ai quaranta gradi. Amo il freddo e la pioggia, ma le lamentele non fanno per me. Avrò la possibilità di correre per vincere, c’è altro da dire?». La determinazione è la chiave di lettura di questo ragazzo che mentre scalava lo Zoncolan, al Giro, non ha voluto pensare alla possibilità di vincere per timore di rilassarsi. «Il punto è restare concentrati su ciò che stai facendo in questo momento, isolando tutto ciò che seguirà. L’uomo, invece, vorrebbe gestire tutto assieme e i danni più grossi vengono proprio da lì. A questo Campionato Italiano ho iniziato a pensare solo al ritorno dall’Adriatica Ionica Race. Prima non avrebbe avuto senso, non sarebbe servito ad altro che a preoccuparmi».

Dalle vittorie Fortunato ha imparato ciò che può fare. «È necessario essere consapevole di ciò che sei e di ciò che sai fare, con sincerità, prima di tutto nei propri confronti, altrimenti continuerai a sbagliare, qualunque strada tu prenda». Sa bene che il rischio, quando si ottengono risultati importanti sin da giovane, è quello di montarsi la testa, lui, però, spiega di non correre questo pericolo. «Sono rimasto e rimarrò comunque il ragazzo di sempre. Nei primi anni, quando non ottenevo i risultati che avrei voluto, sapevo che tutto questo avrebbe potuto finire, che avrei dovuto cercarmi un lavoro diverso. Lo sapevo allora e lo so ora. Senza impegno quotidiano, svanisce tutto in poco tempo. Piedi per terra e lavorare sodo». Tanto più che la tranquillità serve soprattutto quando le cose non vanno bene. «I complimenti si fanno sempre a chi vince. Quando vinci, però, è tutto facile. Bisognerebbe immedesimarsi in chi non ce la fa, in chi si stacca, in chi non trova la giornata giusta da troppo tempo».

Oggi vuole far bene per se stesso e per tutte le persone che crede potrebbero esserne felici. Dice che è bello quando la tua felicità è, al contempo, la felicità di qualcun altro, però, avverte: «Credo sia giusto cercare di far felici le persone che ci stanno accanto, penso che far felici tutti sia impossibile ma anche sbagliato. Chi vuole rendere felici tutti, alla fine, non fa felice nessuno, a cominciare da se stesso». Certo, perché, col tempo, Fortunato ha capito che la propria serenità è la cosa più importante. «Mi spaventa l’idea che un domani possa deludere i miei genitori, per farti un esempio. E, se succedesse, ne sarei davvero dispiaciuto. Credo non accadrà, per diversi motivi. Soprattutto, però, penso che se le scelte che avrò fatto saranno state le migliori per me, saranno loro stessi a comprenderle ed accettarle. Pur magari non condividendole. Chi ti vuole bene, fa così. Non ti costringe a non scegliere e non ti addossa colpe, se la scelta che fai non gli piace».

Foto: Luigi Sestili