Chissà cos’hanno provato quei 127 corridori che, alle 02:53 del 13 maggio 1909, si trovarono alla partenza del primo Giro d’Italia. Chissà a che ora si sono svegliati, a che ora hanno realizzato che: “diamine! comincia il Giro d’Italia”. Forse non ne erano nemmeno consapevoli: la Corsa Rosa non aveva ancora acquisito il fascino degli anni.
Non sembravano granché preoccupati nemmeno Alberto Dainese e Domenico Pozzovivo, della partenza del 106° Giro d’Italia. Dainese è stato avvistato ieri, nel suo albergo di Montesilvano, solo, rilassato, seduto al bar. Guardava il telefono ma la mente, con tutta probabilità, era alla prima occasione per i velocisti. Pozzovivo a poche ore dall’inizio della tappa stava ancora uscendo dal medesimo albergo, a circa tre quarti d’ora d’auto dalla costa dei Trabocchi. Stava cercando di sollevare una valigia alta quasi quanto lui.
Del tutto inconsapevole e per nulla preoccupata è la coppia di fidanzatini che si sta guardando l’arrivo della corsa sulla salita verso Ortona. Sono capitati in un tratto ottimo per vedere la corsa: i ciclisti si vedono arrivare dal tornante sottostante e rimangono visibili per una dozzina di secondi. Che non siano molto esperti lo capisco quando lui si chiede “chissà chi è questo con la bici d’oro”, quando passa Primož Roglič . Il fatto che i corridori salgano uno a uno non entusiasma lei, che più della strada guarda l’Adriatico a metà tra l’impaziente e il malinconico.
È solo la prima di ventuno tappe e sono stati percorsi venti chilometri scarsi. Eppure Remco Evenepoel, che la prima tappa l’ha sbranata, sembra aver letto il copione in anticipo: in conferenza stampa parla già della tappa in cui potrebbe decidere di perdere la maglia. Certamente consapevole, in apparenza non preoccupato.