Noi siamo ancora lì: alla perfezione di un uomo e una bicicletta, lungo la ciclabile della Costa dei Trabocchi, poco più in là il mare. Quasi che la velocità che batte il tempo in bicicletta fermi quello di chiunque sia al di fuori di quella galassia, tra essere umano e ingranaggi. Di quell’intesa. Altrimenti saremmo altrove, insieme ai minuti che sono passati, alle ore che passeranno, in altre faccende indaffarati, invece rivediamo Remco Evenepoel che attraversa lo spazio ed il tempo come se non ne subisse le leggi: composto, potente, a galleggiare da un’altra parte, oltre la fatica di questi diciannove chilometri, la fatica che, di solito, sconvolge e scompiglia, oggi, invece, attraversa e lascia intatto, perfetto. Ricostruisce. Cinquantotto di media, in alcuni tratti, oltre i cinquantacinque al traguardo. Di quella galassia, uomo e bicicletta, Evenepoel e bicicletta, vorremmo studiare ogni dettaglio.

Da venerdì pensavamo ai minuti dalle 16.34 alle 16.37, in fondo solo tre minuti, ed in quante occasioni si pensa per più di un giorno a soli tre minuti? Evenepoel, Roglič, Kung e Ganna: uno dopo l’altro, stregoni del tempo, ognuno con un proprio modo di batterlo e lasciarlo fermo per tutti, intenti a pensare e a riguardare, tranne che per lui. Le leve di Ganna, la potenza di Kung, la volontà di Roglič, che non basta, che paga più di quanto si pensasse, e poco fa la perfezione di Evenepoel. Il tutto, in parte, su una ciclabile, che è il luogo del linguaggio delle biciclette, ma di un linguaggio diverso, perché i professionisti pedalano sulle strade, di solito. Interessante che, in questo sabato, quell’inversione del tempo, quella velocità perfetta, abbia trovato sfogo proprio lì: un uomo che sceglie di guidare una bicicletta sceglie un’altra posizione per spostarsi, un’altra velocità, si inventa altre possibilità, cambia forma alle cose. Una ciclabile e il Giro d’Italia rappresentano questo legame.

Occhi fissi per Evenepoel, dopo il traguardo, la sua è una felicità quieta, anche in maglia rosa, vissuta e protetta da dentro, simile a quella di Jay Vine che minuti prima era il leader provvisorio della generale, e, ancora piegato sulla bicicletta, stava in silenzio, respirava solo: dietro le transenne, una ragazza lo guardava e rideva, dal profondo. Un capovolgimento, solo apparente, perché è questione di manifestazione, ma dentro c’è la stessa cosa. Lo capiremo poco dopo, dalla delusione di Vine, quando il suo tempo viene battuto. Com’è profondo quel che si prova, da queste parti si potrebbe dire com’è profondo il mare, con le sue tonalità di azzurro, blu, forse verde acqua, com’è profondo, verso il cielo e non verso la terra, persino il verde della vegetazione.

Ganna, poco dopo l’arrivo, dirà: “Io arrivavo a sessanta all’ora, lui, magari, a sessantacinque”. Rende l’idea e allo stesso modo continua a bloccare il nostro tempo: “Cos’ha fatto Evenepoel?”. Chiediamocelo, chiedetevelo e di risposte ce ne sono molte, tutte ad affondare in quel che esce dalla normalità, dalla quotidianità. In fondo, c’è chi ha guardato la strada in cui passavano i ciclisti dai trabocchi, da una barca, da un prato, dall’alto o dal basso: anche questo esce dalla quotidianità, perché di solito, in quei luoghi, non si va per vedere passare delle biciclette. Per vedere Evenepoel o Ganna. Ma di solito non si contano nemmeno tre minuti di una giornata qualunque e non si resta lì col pensiero per ore. Stravolgere, rendere unico anche quello che ci si può aspettare, facendolo ancora meglio: questo è il senso di Remco e di quelli come lui.