Federica Venturelli ovvero acqua e sapone. Da qualche settimana, si è iscritta all’università, alla facoltà di Farmacia, dopo tre mesi di stacco totale dalla scuola, affrontato l’esame di Stato: pensava a Medicina, ma non sarebbe stato compatibile con la sua carriera, allora ecco un percorso simile. Proprio i suoi genitori sono farmacisti e le hanno spiegato quanto sia difficile, ma interessante: lei ha ben chiaro che le strade sono molte, una, quella che più le interessa, è la ricerca. Prima, però, ci sono le pagine dei libri e le ore seduta ad una scrivania; rispetto al liceo ci si può organizzare meglio, ma c’è anche più da fare. L’anno prossimo, poi, passerà tra le under 23 e le cose si complicheranno: «Prenderò bastonate, senza dubbio. Sarà difficile anche restare con il gruppo e non perdere contatto dopo cinque chilometri. Ma ho voglia di provare, di crescere, stranamente non ho paura. Anche se l’avessi, non si torna indietro, quindi un respiro e si va. Capirò se la mia testa è forte quanto le mie gambe, se saprò mettermi al servizio di atlete più esperte e fare fatica senza chiedere nulla per me, se non imparare. I risultati non verranno subito, allora mi riprenderò la mia quotidianità, quella di una ragazza di diciotto anni, perché questo sono». Acqua e sapone e piedi ben piantati a terra. Qualche volta pecca di umiltà, forse, ma è talmente merce rara che è un peccato piacevole, a cui si sorride, si empatizza. Per esempio, quando racconta l’emozione del momento del conferimento dell’onorificenza di Alfiere del Lavoro, venticinque ragazzi in tutta Italia. Oppure quando dice: «L’anno scorso non avrei vinto una volata nemmeno con l’aiuto di cento persone, altrochè». E quando aggiunge: «Ho ottenuto fin troppo, rispetto a quanto mi aspettavo».
Le piace la matematica e ogni ragionamento ha radici profonde, un teorema da dimostrare, in cui lei stessa, tra ipotesi e tesi, arriva alla dimostrazione, senza mai indulgere con la propria persona: «Sì, tendo a sottovalutarmi ed in parte è un meccanismo irrazionale, tuttavia ho capito che, un poco, è un qualcosa che metto in atto volontariamente, essendone perfettamente conscia. La definisco una sorta di protezione dalla delusione: so che posso puntare al podio, ma penso al decimo posto per non soffrire. Credo che il 2023 possa cambiare questo aspetto, possa lasciare andar via quel timore di non riuscirci, possa restituirmi la consapevolezza di quel che valgo».
La matematica che ha a che vedere con un giro di pista, con secondi persi o guadagnati, con i tempi, con i record, quelli del mondo, perché ha a che vedere con gli esseri umani, anche se sembra fredda, distante. Basta ascoltare Venturelli parlare del suo record del mondo nell’inseguimento individuale per capire quanto non sia vero, quanto la matematica sia così vicina a quel che sentono le persone, talvolta sia il motivo. Quel record era già vicino all’Europeo, soli due secondi in più.
Glielo dicono, le chiedono se voglia provare, resta senza parole: «Se devo provare, provo, ma non succederà, non può succedere». Il timore più grande è quello di sbagliare ritmo, di non riuscire a fare il record e di perdere la maglia di campionessa europea: «Tranquilla, Federica. Se succedesse, ne hai addosso una ancora più bella: quella del Mondiale dell’anno scorso». Il record non arriva, ma il tempo migliora: solo un secondo, un minuscolo secondo. Al Mondiale, sparirà anche quello: 2:15.678. In un giorno in cui non ci pensava più ed era partita forte solo perché le avversarie erano andate a tutta: «Ero sotto i tempi della tabella, quando ho visto Marco Villa incitami, dirmi di continuare così, ho capito che stava succedendo qualcosa: c’era uno tsunami dentro me. Non ho fatto altro che spingere, poi ho guardato il tabellone luminoso, ho visto il tempo e non sono riuscita a trattenere il pianto: piangevo di gusto». Marco Villa e Diego Bragato: le sue guide in nazionale, per tranquillizzarla, per darle l’energia necessaria. «Prima di una gara, Diego mi abbraccia: è come se mi dicesse di non pensarci che andrà tutto nel migliore dei modi». Per loro l’importante è il percorso, i risultati arriveranno.
Acqua e sapone, talento e quella madison mai provata assieme. Parliamo di quella con Vittoria Grassi, al Mondiale, dopo essere stata quarta per due anni di fila: nella camera di Venturelli, c’è una foto di loro due sul podio, che si guardano con ammirazione, memorizzando ogni dettaglio dei volti e della felicità. Si conoscevano, certo, si conoscevano bene, ma l’oro al primo test insieme, la maglia iridata in quel modo, proprio non era nelle idee. Acqua e sapone ed errori «da cui ho imparato, spero di avere imparato, almeno, d’altra parte servono a questo». Sì, l’omnium all’Europeo: prima della corsa a punti, Venturelli è seconda, davanti a lei c’è Cat Ferguson. Nell’ultima prova, le due atlete si marcano strette: gli scatti le ingannano, perdono entrambe. Un quarto posto ed il quarto posto brucia. «Con tutto il legno che ho raccolto quest’anno, posso fare il falegname»: lo scriverà dopo la prova in linea juniores, a Glasgow. In quel momento era rammaricata, oggi, appena glielo ricordiamo scoppia in una fragorosa risata. Si cresce, il tempo passa e cambia: prendete lo svolgimento della sua stagione su strada. Inizia in ritardo a causa di qualche problema fisico, partecipa a varie brevi corse a tappe, per volontà del CT Sangalli, vince, si piazza, fa bene insomma. «Dai, possiamo dire che queste prestazioni compensano quel legno al Mondiale. Almeno per me è così». Detto con convinzione, decisione, con la consapevolezza che vuole tenersi stretta, dopo quest’anno.
Il pensiero va allora all’Europeo: tre medaglie in tre gare, due ori e un argento. Federica Venturelli raffronta, bilancia: «Nella gestione dello sforzo non è cambiato molto rispetto allo scorso anno, sono certamente migliorata dal punto di vista fisico, di resa della prestazione». Nessun fatto passa inosservato, tutto è utile per riflettere e cambiare, l’analisi è dettagliata, come quando ci si allena, come quando si studia. Si sta parlando dell’oro a cronometro all’Europeo: «Quella medaglia viene dal Mondiale. In quel caso, ero partita a tutta, ad un ritmo insostenibile. All’Europeo sono riuscita a partire gestendomi. Prima due secondi di vantaggio, poi quattordici, alla fine ventitrè». Si potrebbe chiederle cosa abbia pensato in quei chilometri, mentre il vantaggio aumentava o calava, mentre l’acido lattico iniziava a pizzicare ed il respiro si faceva più pesante, affannato, si potrebbe chiederle cosa pensi in generale a cronometro, durante lo sforzo che più le piace perché sfida il limite. Così facciamo, lei tentenna qualche istante, poi prende la parola: «Sembrerà strano, assurdo, forse ridicolo, ma, credimi, non lo ricordo. Forse è un meccanismo naturale per eliminare la sofferenza, il dolore fisico, quasi una purificazione. Da questo punto di vista è un bene, il problema è che questa memoria mancante mi fa spesso dubitare di aver dato tutto. Non potendo ricordare i pensieri, mi assale il dubbio che avrei potuto dare di più. Chissà…no, dopo le gare sono sempre stanchissima, quindi eliminiamo pure questo dubbio».
Acqua e sapone e la bicicletta, che sia strada, pista o cross non cambia molto, tutto è collegato, i risultati sono connessi. Federica Venturelli scoprì la bicicletta grazie al fratello: «Oggi, dopo aver smesso, mio fratello è molto distante da questo mondo, non lo segue più come una volta. Mi dice “brava” per i risultati che ottengo, apprezza e riconosce l’impegno che ci metto, ma non è più la sua quotidianità. Però il legame con mio fratello è raro ed è umano. Si tratta di una condivisione profonda che mi rende fiera. Per una volta, lo sport c’entra poco». Acqua e sapone e Federica Venturelli: l’avevamo detto.
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