Lasciatecele scrivere ancora due parole su Fabio Aru e abbiate pazienza se ogni tanto sconfiniamo nel passionale. Oggi era la sua ultima tappa di montagna in carriera, e fa già effetto così a pensarlo, anche se troppo spesso, a volte troppo in fretta, si è intonato il de profundis alla sua carriera.

Quello che ha spinto Aru in questi anni, ma anche in queste settimane e in questi giorni, è stato l’amore per la bicicletta e la fatica, a prescindere poi dai risultati che, quando non arrivavano, a un certo punto gli sono stati rinfacciati.

Oggi Aru ci ha provato, ancora una volta, seppure senza risultato. È stato uno degli ultimi a cedere al ritorno del gruppo, alle spalle di un irrefrenabile Michael Storer.

Ancora una volta e per l’ultima volta, Aru ha scalato le grandi salite di una grande corsa insieme al gruppo, andando in fuga, provando a mettere il muso davanti per sentire il vento in faccia, la fatica opprimente, il gusto di sentirsi nuovamente in fuga, il piacere e l’ebrezza di stare davanti.

Quando Fernanda Pivano tradusse “A Farewell to Arms” di Hemingway, scrisse come quel titolo potesse essere tradotto non solo come “Addio alle armi”, ma anche come “Addio alle braccia” intese come le braccia della propria amata. Similitudine ardita, è vero, ma oggi quello di Fabio Aru è stato l’addio alla montagna, almeno come corridore. Da lunedì per lui inizierà una nuova vita, ma oggi quella del corridore, che ancora gli appartiene per qualche giorno, se l’è goduta tutta, proprio come un abbraccio.