Il finale di stagione di Alejandro Valverde non era quello che lui si immaginava, quello che i suoi tifosi sognavano, quello che i suoi colleghi pensavano – o temevano – vedendolo (in crescita di condizione) da vicino, alla Vuelta.

Poi una caduta, brutta, anzi, orrenda. In testa al gruppo a fare le linee giuste, ma di conserva, come gli sarà accaduto centinaia di migliaia di volte; la bici prende una buca, le mani perdono il controllo per un attimo, decisivo, del manubrio. Valverde va giù e, come ha raccontato pochi giorni fa sul sito ufficiale di Fizik: «La cosa che più mi ha colpito, dopo aver rivisto le immagini, è stato rendermi conto di quanto poco spazio fosse rimasto tra il punto in cui mi sono fermato e il burrone. L’incidente è stato molto peggio di quello che sembrava». Gli è andata male, sì, gli poteva persino andare peggio.

Il finale di stagione di Valverde era stato prestampato con caratteri diversi: senza quella caduta avrebbe continuato a tirare forte in Spagna, forse una vittoria (l’ultima l’ha conquistata al Delfinato e gli mancava da quasi due anni), l’avrebbe trovata; senza forse lo avremmo visto al via del mondiale nelle Fiandre, quelle Fiandre dove lui ha corso così poche volte che ci rimarrà un po’ di amaro in bocca. Il percorso gli piace, ha detto, ma diplomaticamente sostiene come i suoi compagni siano più adatti di lui. La realtà è che cadere a 25 o a 30 anni è un conto, quando ti succede a 41 recuperare diventa più difficile, anche se ti chiami Valverde.

E quel Mondiale, strano dirlo, non vedrà Valverde per la sesta volta in vent’anni di carriera. Quel Mondiale che lo ha visto vincere nel 2018 e altre sei volte sul podio. E a quel Mondiale non ci sarà nemmeno Rojas che in quella caduta alla Vuelta lo ha soccorso. «Ho visto la sua bici – racconta Rojas, amico e compagno di squadra da una vita, dal 2006, di Valverde – e poi ho visto Alejandro che cercava di risalire tenendosi la spalla. “Fa male, molto male” mi ripeteva. La prima sensazione che ho provato è stato dolore per lui: perché prima di essere un grande corridore, Alejandro è un grande amico».

E lui, proprio perché si chiama Valverde, nonostante la caduta e la frattura, pochi giorni dopo era già in sella e lo rivedremo a breve. Niente Mondiale, sarà sulle strade italiane con poco allenamento però con l’obiettivo, difficile, ma mai scommettere contro gente come Valverde, di provare a vincere quella corsa che ancora gli manca: il Giro di Lombardia, che lo ha visto tre volte secondo. A Bergamo chiuderà la sua stagione, ma non la sua infinita carriera.

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