Si rischia di essere ripetitivi quando si parla di Annemiek van Vleuten, sarà perché anche lei è ripetitiva, nel suo continuare a sorprendere, nel suo sublimare uno stato di grazia che non conosce età. Per chi scrive è semplice scrivere di van Vleuten, perché improvvisa sulla parte, quella della campionessa. Incredibile nel suo aggiungere sempre qualcosa che neppure il miglior sceneggiatore potrebbe prevedere, ma che nessun regista può mettere in discussione perché spiazza e attrae.
Non era difficile prevedere un’olandese a braccia levate sul traguardo di Ninove. Non serviva chissà che immaginazione per pensare a van Vleuten. Ci raccontano di bar delle Fiandre con lavagne in ardesia e gesso per provare a prevedere chi vince sui muri e chissà quanti hanno scritto Annemiek van Vleuten. Nemmeno era difficile pensare che avrebbe vinto dominando, ma il suo dominio è una costante che non spegne la fantasia, è la declinazione di un verbo greco che fatica a restare in mente. Di quelle parole che in greco antico vogliono dire anima e farfalla, tutto e il contrario di tutto.
Quando van Vleuten parte, al Bosberg, ha tutta l’aria di chi si è stufata delle scaramucce delle colleghe e se ne va quasi con un “adesso vi faccio vedere io come si fa”. Solo Demi Vollering riesce a tenerle la ruota ed è talmente incollata a quella ruota che, se solo l’inquadratura si schiaccia, quasi scompare dietro la sagoma di van Vleuten.
Significa sfidare il tuo essere atleta stare dietro a van Vleuten, farsi bruciare dall’acido lattico. Anche perché van Vleuten non molla di un centimetro. Sono in due ma lei prosegue come fosse sola, tira, tira, tira. Qualunque materiale sottoposto a tanto sforzo esploderebbe, si lacererebbe, fosse un elastico o una fionda. Non i suoi muscoli.
Undici chilometri in testa per van Vleuten, undici chilometri a ruota per Demi Vollering. Non le chiede cambi sino all’ultimo, anche perché la faccia parla per lei, Vollering non ha la sua stessa brillantezza, non può dare cambi. Deve restare lì e tentare di superarla in volata perché è più veloce e perché, in teoria, dopo quello sforzo chiunque perderebbe. Chiunque tranne lei.
La declinazione diversa, la variante, l’anima e la farfalla assieme, sono in van Vleuten. Che all’ultimo chilometro ha la lucidità di far passare davanti Vollering, una lucidità spietata, una mente sopraffina nonostante la fatica. Si fa sfilare, sta a ruota, e poi parte. Nonostante l’ultima curva, una volata lunga, difficile, contro chi, a bocce ferme, è più veloce. Quattrocento metri per tornare a superare Vollering, per tornare davanti e vincere. Bello, senza dubbi. Crudele, senza dubbi.
Finisce così. Van Vleuten che gioisce da una parte, Vollering disperata dall’altra, a tratti accartocciata sul manubrio, consolata da chi passa. E tutti gli altri lì, a guardare, dopo troppo tempo. Il ciclismo non era mai andato via, ieri, però, è tornato. Sembra impossibile, una contraddizione, un controsenso. Non lo è. Si può dire anima e dire farfalla allo stesso tempo. Ricordatevelo.