La parola atelier deriva dal francese antico “astelier” che, a sua volta, proviene da “astelle” ovvero piccola scheggia di legno di quelle che cadono a terra durante le ore di lavoro degli artigiani del legno nei loro laboratori, scarti di lavorazione che parlano di un mestiere antico. A Le Pont Suaz, Aosta, presso l’omonima frazione, al civico 51, nasce, nel 2008, proprio un atelier. Nel linguaggio comune la parola si riferisce in generale al lavoro artigianale, può essere adottata per le confezioni, la sartoria, la pittura oppure l’arte in generale, ma questa bottega riprende le origini del vocabolo, quasi fosse lo studio di un linguista, il lemma di un vocabolario.
Si chiama, infatti, Atelier Boldrini perché è un ricordo di quando si era bambini e si trascorrevano interi pomeriggi nella falegnameria di nonno: storia di Roberto che, cresciuto, era diventato istruttore di sci e non c’è nulla di strano, anzi, forse è proprio naturale perché fuori da quella falegnameria la neve cadeva densa e le cime delle montagne, tutte intorno, la custodivano fino a tarda primavera, cullata dal freddo. Roger e Mathieu, i suoi figli, intanto crescevano: avevano una bicicletta che usavano per andare a scuola e per recarsi agli allenamenti sulle piste da sci, magari per fare resistenza. Forse fu questa “l’America” di quei ragazzini che, qualche anno dopo, quando Roberto abbandonò il lavoro sulla neve ed iniziò a lavorare in un negozio di biciclette, avevano già familiarità con quel mezzo. La rivoluzione copernicana, però, l’ha attuata Roberto decidendo di mettersi in proprio ed ecco, come in un cerchio, siamo tornati all’inizio di questo racconto. Ad “astelle”, alle schegge di legno e ad un atelier della Val d’Aosta. Da quel momento, le estati di Mathieu erano fra quelle mura, anche se aveva solo poco più di sedici anni. L’anno della maturità è quello in cui inzia a tutti gli effetti a collaborare in negozio, dove, dal 2020, si unirà anche Roger: «Un fratello è quella persona con cui è tutto più facile: discutere, gridare, litigare, non parlarsi, ma anche chiarisi ed abbracciarsi. Roger conosce ogni aspetto della meccanica, a lui devo l’ordine e la precisione. Non è facile, certo, perché portare il lavoro in famiglia non lo è mai. Allo stesso tempo, però, qualunque cosa accada qui dentro ci riguarda tutti: il traguardo è comune. Le discussioni si oltrepassano così».
Era un piccolo negozio in una piccola città quanto è piccola Aosta: è cresciuto con il passare delle stagioni ed ora, cinquecento metri più in là, sono duemila metri quadrati di attività, su due piani, con un’officina di centocinquanta metri poco distante dal negozio: «L’ingresso dell’officina si affaccia sull’unica ciclabile che passa in Valle d’Aosta: qualunque pedalatore che abbia un problema può richiedere assistenza. I nostri meccanici possono usare i martelli e noi possiamo conversare con i clienti nel silenzio. Così è più bello». Atelier Boldrini crede nella possibilità di ascoltare le persone e cercare di farle tornare a casa soddisfatte per la qualità del lavoro svolto e la qualità coincide con il rispetto della parola data, in modo preciso, con la fiducia nel fatto che ciò che si dice diventerà un’azione, che le promesse, di Roger, Mathieu, di Roberto e del ragazzo dipendente, non sono vane. «Noi ascoltiamo con molta attenzione le richieste di ciascuno e agiamo su quella base, non cambiamo nulla, se non avvisando il cliente. Penso al nostro ruolo come ad una guida: ci sono le domande, ci sono le risposte e credo ci sia un’etica precisa. Personalmente consiglio sempre al cliente la bicicletta più adatta a lui, in base al suo livello di abilità e di esperienza in sella: non mi interessa vendere una bici che costa di più, anche se l’avventore può permetterselo, anche se il nostro guadagno sarebbe maggiore». La bellezza deve andare d’accordo, essere in perfetta sintonia, con la comodità perché se manca quest’ultima le persone smettono di pedalare, anche fosse per spostarsi in città e sbrigare le commissioni di giornata. Molti ciclisti arrivano in atelier con notizie acquisite da internet: in questo caso il dialogo è importante, ma non si forza più di tanto la mano, perché è sbagliato e perché il miglior modo di comprendere, anche quanto siano erronee certe convinzioni è di farlo da soli, da qui nasce la fiducia.
«Alcune volte si discute, succede che qualcuno vada via, senza acquistare nulla, magari deluso. Altrettanto vero è che è già capitato che, poi, ritorni e si fidi, magari diventi un cliente fisso. Ecco: non esiste soddisfazione maggiore. Tenere la barra dritta, non rinunciare alle proprie idee e constatare che, alla fine, vengono comprese, fatte proprie. Questa è la nostra filosofia». Un tavolo, all’interno di Atelier Boldrini, è il luogo destinato alla lettura, magari a vedere la televisione, dove le gare vengono trasmesse a ciclo continuo. Ogni tanto succede una cosa speciale: alcune persone entrano in atelier e non lo fanno per riparare una bicicletta, per noleggiarla o per acquistarla, ma solo per parlare, per chiacchierare, per trascorrere qualche minuto di buon tempo. Anche perché nella zona di Aosta e dintorni, da novembre a marzo le biciclette vengono usate ben poco a causa delle temperature spesso rigide: «Purtroppo non siamo nel Nord Europa, dove si pedala anche con cinque gradi sotto lo zero e con la neve che cade. Da noi, talvolta, si preferisce avere la bicicletta bella e non usarla: una logica che non capirò mai. Nel nostro caso, parlo della Valle d’Aosta, siamo una piccola regione che necessiterebbe di una struttura comunicativa più vasta per i tanti turisti che transitano da queste strade. Magari un sistema di app più semplice per scaricare tracce nei dintorni che permettano di pedalare tutti i giorni, perché non è raro che si scelga l’automobile per percorrere un tragitto molto breve che in sella sarebbe percorribile anche più velocemente, sicuramente in maniera più salutare». Per chi pedala nella zona, il consiglio di Mathieu è quello di esplorare la zona della salita del Gran San Bernardo, dove fino a qualche anno fa si organizzava anche una gara: 36 chilometri di salita, percorsi a cronometro.
Ora quella gara non c’è più, ma resta un posto “magico”: «Inoltre siamo vicini alla telecabina che porta a Pila: chi noleggia qui le bici, può salire lassù e lassù c’è davvero tutto quel che si può sognare in bici, compresa una piccola mappa con il tracciato delle piste da downhill e di quelle per le famiglie. Vero che noleggiare è più facile in alta montagna, ma questo è indubbiamente un punto a nostro favore». Al piano superiore è presente un vero e proprio showroom, un open space con anche abbigliamento e scarpe.
In estate, in officina, lavorano tre ragazzi: quando un nuovo cliente arriva con una bicicletta, si compila una scheda, con tutti i dati necessari: la raccomandazione di Mathieu è quella di scrivere ogni dettaglio in fase di accettazione, dalla “a alla z”, in quanto la chiarezza permette di lavorare meglio. Vi sono tre postazioni: «Al termine di ogni operazione bisogna ripulire ed ordinare tutto: le biciclette, invece, vanno lavate e pulite prima di aggiustarle. Mi sembra il minimo e non solo perché in questo modo non si perde tempo a cercare attrezzi nel disordine: pensiamo ad un ristorante con una cucina sporca, chi ci andrebbe? Che impressione ne avrebbe? Ovviamente vi sono delle differenze, ma il ragionamento è lo stesso, l’idea che si trasmette la stessa. il cliente viene poi avvisato con un messaggio su whatsapp della conclusione del lavoro e con l’occasione può anche richiedere il conto o altre specifiche». Quando Mathieu ha iniziato a lavorare era giovane ed ha imparato tutto da suo padre, da un paio d’anni ha preso in mano le redini dell’atelier ed ha così affrontato la realtà di un mestiere tanto bello quanto complesso, per esempio nel far quadrare i conti e nel conciliare quella che era una passione con quello che è un lavoro con tutti gli obblighi ed i doveri che ne conseguono: c’è meno tempo per le pedalate, resta intatta la voglia di far bene quel che si fa, con il giusto equilibrio, senza dimenticare mai che, in fondo, la bicicletta è lo strumento che gli permette di mantenersi e questo fatto deve meritare tutta l’attenzione possibile, in dedizione e studio.
Mathieu non è mai stato un “fanatico” del ciclismo, però l’ha sempre praticato ed è particolarmente attento ai più giovani che salgono in sella. Il vento sta soffiando a favore, per usare una metafora, perché indubbiamente tutti i campioni dell’ultimo periodo sono fonte di ispirazione per i bambini ed i ragazzi: «Sono fiducia pura, stimoli che giungono che li invitano a provare questo sport. Da bambini colgono soprattutto il valore legato all’amicizia, più avanti, diciamo dai quindici anni in su inizia ad esserci qualcuno che vuole che il ciclismo diventi un lavoro o comunque anche solo la possibilità di competere, di fare a gara. Si tratta di qualcosa di speciale perché la bicicletta, da un lato, permette la fatica, la esalta, dall’altro è anche la possibilità di liberarsi dalla fatica stessa, magari attraverso una discesa, liberi al vento». Le tradizioni sono importanti in atelier, così importanti che si parla in dialetto valdostano e ci si sente a casa: anche l’altro ragazzo che Mathieu vorrebbe assumere dovrà abituarsi a questa consuetudine.Roberto ora ha sessantacinque anni, va ancora in atelier, anche se Mathieu e Roger continuano a dirgli che non potrà lavorare per sempre. Lo si guarda in volto mentre li osserva all’opera e si comprende, a vista d’occhio, quanto sia orgoglioso del fatto che i suoi figli lavorino assieme. Già, Mathieu e Roger che hanno compreso sino in fondo il suo insegnamento rispetto all’onestà, a costo di essere anche troppo buoni. Mathieu e Roger che lo vorrebbero vedere più spesso a pedalare e faranno di tutto perché sia così. Del resto, cosa c’è di più bello di vedere in bicicletta qualcuno a cui vogliamo bene.
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