Cosa ha raccontato il Giro Donne?

Giro Donne, Tour de France, "La Vuelta", Campionato del Mondo di Wollongong, ancora "La Vuelta" e ancora Giro Donne: è l'incredibile percorso segnato da Annemiek van Vleuten dal luglio dell'anno scorso a domenica 9 luglio 2023 quando, per la quarta volta in carriera (2018, 2019, 2022, 2023) ha concluso il Giro d'Italia Femminile con l'ennesimo trionfo. In maglia rosa dalla prima (anzi dalla seconda, ma solo per l'annullamento della cronometro inaugurale) all'ultima tappa, tre vittorie di tappa, altrettante classifiche conquistate, oltre alla maglia rosa, anche la maglia ciclamino della classifica a punti e la maglia verde dei Gran Premi della Montagna, ed una netta superiorità sulle rivali che non sono mai riuscite a mettere veramente in discussione il suo dominio. Ve lo avevamo già preannunciato la scorsa settimana, nell'analisi di quello che era stato fino a quel momento, a due frazioni dalla fine, il Giro Donne (articolo a cui vi rimandiamo per alcune considerazioni che non riprenderemo qui) ma, come si dice sulle strade delle corse ciclistiche, "fino all'ultimo può veramente succedere di tutto", così solo oggi abbiamo davvero completo il quadro di quanto è accaduto: a Olbia, infatti, sul gradino più alto del podio è salita van Vleuten, sul secondo gradino Juliette Labous, a 3'56", terza Gaia Realini a 4'23".

TAPPE DI SARDEGNA: KATA BLANKA VAS E CHIARA CONSONNI

Kata Blanka Vas - Foto: Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2022

La prima considerazione è, in realtà, una domanda, prima di passare alle informazioni emerse dalla gara, sulla scelta di disputare le ultime due frazioni in Sardegna, visti i dubbi che, comunque, sono emersi. Il trasferimento è stato effettuato in un giorno di riposo, venerdì 7 luglio, ma, a fine gara, soprattutto alla luce dei percorsi delle ultime frazioni, mossi, non scontati, ma certamente non decisivi in ottica classifica generale e assolutamente rintracciabili con caratteristiche simili in altre zone più vicine alla rotta di corsa, è stata davvero una decisione azzeccata? Ci si rifletterà e ognuno farà le proprie valutazioni.

Gli spunti, tuttavia, non sono mancati nemmeno in queste ultime due tappe. Vero è che non potevano essere decisive in ottica classifica generale, ma altrettanto vero che abbiamo visto movimenti di donne di classifica. Attacchi che non sono stati finalizzati, probabilmente era quasi impossibile farlo, alla luce del percorso e di come si era messa la gara, ma ci sono stati. Fra le altre, citiamo i tentativi di fuga di Mavi Garcìa, di Niamh Fisher-Black e di Veronica Ewers: azioni che hanno costretto le squadre delle dirette rivali in classifica generale ad andare a chiudere, aggiungendo pepe alle ultime giornate di corsa. Citiamo come attacco d'orgoglio anche l'allungo di Marta Cavalli, proprio in Sardegna. Situazioni di corsa a cui crediamo non sia estranea la superiorità di van Vleuten: il fatto che nelle tappe a lei più congeniali si sia praticamente sicure di uscirne sconfitte, fa sì che si provi a inventarsi qualcosa anche in situazioni inaspettate.

Finali di gara per atlete veloci con interesse e contesa accresciuti dal fatto che Lorena Wiebes, apparsa la migliore in questi frangenti, aveva lasciato la corsa in vista del Tour de France. Insomma, una volta tanto, pareva che SD-Worx potesse cedere lo scettro delle volate a qualche rivale. Mera illusione. Già, perché in un organico come quello del team olandese, il talento è localizzato in ogni dove, senza limiti di età o di caratteristiche tecniche, così, a Sassari, in volata, dal cappello fuoriesce Kata Blanka Vas, prima ungherese vincitrice di tappa al Giro, anche lei in maglia SD-Worx. Una volata impeccabile, per la ventunenne di Budapest che inizialmente non ci crede, poi realizza ed il giorno dopo, verso Olbia, consapevole di ciò che è in grado di fare, prova a forzare il ritmo già lontano dal traguardo. La sua è un'altra storia in cui la multidisciplinarietà si è rivelata di importanza assoluta: strada, ciclocross e mountain bike. Due atlete di riferimento: Pauline Ferrand-Prévot e Marianne Vos, sempre per parlare di capacità di primeggiare nelle varie discipline. Chi la conosce bene, assicura che è uno di quei talenti in grado di segnare una generazione. Da quanto si vede, impossibile non credergli.

Chiara Consonni - Foto Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency©2023

A Olbia, arriva la seconda vittoria italiana di questo Giro Donne: dopo Elisa Longo Borghini a Borgo Val di Taro, è Chiara Consonni a timbrare il successo, in volata, nell'ultima tappa. Consonni deve avere un feeling speciale con l'ultima tappa: anche l'anno scorso la vinse, in quel di Padova. Non da poco, considerando le fatiche di un Giro, essere in grado di mostrare quella freschezza e quell'esplosività in volata. Al mattino, Marta Bastianelli, all'ultima gara in gruppo, aveva detto, in lacrime: "Ho dato tanto a questo sport, spero che le mie compagne possano fare lo stesso". Un bel modo per omaggiare il finale di carriera, con una vittoria del proprio team e della propria compagna di camera in questo Giro Donne.

E MARIANNE VOS?

Giro d'Italia Donne 2023 - 34th Edition - 5th stage Salassa - Ceres 105,6km - 04/07/2023 - Marianne Vos (NED - Team Jumbo - Visma) - photo Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency©2023

Fa strano nel commentare un Giro d'Italia non citare fra le vincitrici di tappa Marianne Vos, ma, nel 2023, proprio l'olandese è rimasta a secco. Vos, che ha vinto tre Giri d'Italia in carriera, negli ultimi anni aveva messo nel mirino le tappe e, fino al 2023, non aveva praticamente mai mancato il bersaglio. Quest'anno, due secondi posti e un quinto posto sono i suoi migliori risultati. In particolare, con uno zoom sulle ultime frazioni: a Sassari un problema meccanico ed una volata lanciata forse troppo lunga, alla fine, le hanno consegnato solo un decimo posto, a Olbia, non ha sbagliato nulla, solo ha trovato qualcuno più veloce di lei e lo sguardo con cui fissa Chiara Consonni, che esulta dopo il traguardo, racconta perfettamente questa realtà. Certamente, per la stranezza dell'evento, è venuto ai più naturale guardare la carta di identità dell'olandese e constatare i suoi 36 anni. Sono un dato di fatto, ci mancherebbe, e prima o poi anche i fenomeni devono fare i conti con l'età: noi restiamo convinti che ancora non sia questo il momento e che si tratti di un caso. Il Tour de France si avvicina: chissà che già lì Vos non ristabilisca le gerarchie.

L'AZIONE DI ALESSIA VIGILIA

Alessia Vigilia - Foto Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency©2023

Fra i tanti scatti dell'ultima tappa, quello che ha tenuto più a lungo impegnato il plotone, è stato senza dubbi quello firmato da Alessia Vigilia, che, come l'anno scorso, anche a Padova ci provò, ha tentato di mettere nel sacco il gruppo, con un'azione solitaria. Un vantaggio massimo di trenta secondi, eppure Vigilia continua a insistere, come fosse una lunga prova contro il tempo, di cui, tra l'altro, ben si intende. Un anno che, fino ad ora, è stato molto significativo per la ventitreenne di Bolzano con diverse top ten e azioni che denotano coraggio e intraprendenza. Anche in questo caso, l'età parla chiaro: basta continuare a lavorare in questo modo e risultati importanti arriveranno.

UN BEL PODIO: LABOUS E REALINI

Juliette Labous, Annemiek Van Vleuten, Gaia Realini (ITA - Trek - Segafredo) - Foto Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency©2023

Se di Annemiek van Vleuten abbiamo già parlato, è il momento di parlare delle due atlete che la affiancano su quel podio: Juliette Labous e Gaia Realini.
Partiamo proprio dalla francese, ventiquattrenne delle Team dsm-firmenich, già l'anno scorso nona al Giro, vincitrice della tappa del Maniva, e quarta al Tour de France. Il suo percorso parte da lontano: già nel 2019, infatti, a soli vent'anni, la ricordiamo undicesima nella classifica finale del Giro, vincitrice della classifica dedicata alle giovani, con ottime prestazioni in tappe difficili come quella di Malga di Montasio o nella prova contro il tempo da Chiuro a Teglio. Un percorso, appunto, segnato dalla continuità e da un miglioramento costante. Il quarto posto al Tour de France ha cambiato la sua immagine agli occhi dei francesi di cui è divenuta una sorta di idolo. Lei, però, non si è montata la testa, ha continuato a lavorare sodo, con lungimiranza. Alle corse a tappe, principale obiettivo, ha affiancato le corse di un giorno: per "mantenere la gamba" ma anche per mettersi alla prova ed abituarsi a gestire una leadership che spesso, per lei, era stata condivisa. Ha detto che al Tour vorrebbe il podio: le premesse ci sono tutte.
Due podi, invece, li ha già centrati Gaia Realini che, con la maglia bianca di miglior giovani, quella azzurra di miglior italiana e il terzo gradino del podio, concretizza al meglio tutti i segnali emersi in questo inizio di stagione e già culminati nel terzo posto a "La Vuelta", in Spagna. Non c'è un'asticella fissata, anche perché, per come l'abbiamo vista fino a qui, Realini potrebbe superare tranquillamente qualsiasi asticella si ponesse: ha talento e una rara capacità di imparare assimilando rapidamente quel che le atlete più esperte le indicano per il raggiungimento dei traguardi. C'è di che essere contenti.

Foto in evidenza: Sprint Cycling Agency


Considerazioni sul Giro Donne

Di questo Giro Donne si parla molto da settimane. A dire il vero, inizialmente per motivi che esulavano dalla gara stessa, per motivi che riguardavano soprattutto quel che ancora non si sapeva di questa corsa a pochi giorni dalla partenza e le cose che non si sapevano erano molte. Anzi, fino all'ultimo, a dire il vero, la realizzazione di questo Giro è stata incerta e questo richiederebbe una riflessione approfondita, da parte degli organi competenti, in particolare, ma in generale di chiunque segua questo sport. Una riflessione che dovrebbe partire da tutto ciò che è mancato, una riflessione che potrebbe partire dalle parole di Elisa Longo Borghini, dopo la vittoria al Campionato Italiano, a pochi giorni dal Giro d'Italia, con ancora molti punti di domanda: «Non sono contenta e non posso esserlo. Ci sono ancora troppe domande a cui non si è avuta risposta, anche sul Giro. Purtroppo temo si tratti di una realtà decisamente italiana, all'estero le cose sono diverse. Il nostro movimento continua a crescere, per questo posso restare ottimista. Contenta no, contenta è un'altra cosa». In queste poche parole c'è praticamente tutto, quel che manca e quel che servirebbe. Ma, sollecitando questa riflessione, proviamo a fare un passo avanti e guardare alla corsa.

Shirin Van Anrooij ed Elisa Longo Borghini (ITA - Trek - Segafredo) - Foto: Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency©2023

Dicevamo che di questo Giro Donne si parla da molto tempo. Per esempio del suo percorso: un tracciato senza grosse salite, senza le salite mitiche del ciclismo, per questo più aperto, si vociferava all'inizio. A far il paio con questa considerazione, c'era il fatto, che già abbiamo analizzato e su cui non vogliamo tornare se non come appunto, che la principale pretendente al successo, Annemiek van Vleuten, pur avendo già vinto una corsa come "La Vuelta", non aveva mai vinto tappe e "sembrava", le virgolette sono d'obbligo, in calo, dove "in calo" è riferito esclusivamente alle sue prestazioni degli anni scorsi, perché averne di atlete in calo come van Vleuten, sia chiaro. Beh, a tutte queste considerazioni, la risposta purtroppo è banale: la corsa la fanno i corridori e van Vleuten l'ha fatta sin dal primo giorno. Anzi, sin da quello che avrebbe dovuto essere il primo giorno: la cronometro di Chianciano Terme, poi annullata causa maltempo. Quel giorno, probabilmente, la maglia rosa sarebbe stata vestita da Letizia Paternoster, autrice di un'ottima prova, che sarebbe potuta servire a determinare un'inversione di rotta dopo anni complicati, in cui la vittoria non voleva saperne di arrivare. Sarebbe potuta servire e servirà. In questi giorni, abbiamo osservato Paternoster, si nota una ritrovata serenità: anche il giorno dopo la caduta in volata di Modena, scherzava sull'accaduto. Questa ironia dopo una caduta è da un'atleta che sta bene, le prove in crescendo lo testimoniano. La maglia rosa sarebbe stata vestita da Paternoster, ma van Vleuten aveva comunque totalizzato il miglior tempo, rispetto a molte rivali. Mancava ancora la partenza di Elisa Longo Borghini, certo, ma il dato era questo. Tappa annullata? Va bene, passiamo oltre.

Gaia Realini (ITA - Trek - Segafredo) - Foto: Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency©2023

Seconda tappa: attacca sul Passo della Colla, arriva da sola, tappa e maglia rosa. O meglio, tappa e tutte le maglie (a parte quella bianca, per ragioni di età e quella blu per ragioni di nazionalità). Quarta tappa, viene battuta allo sprint da Elisa Longo Borghini, l'unica a tenerle la ruota, ma ancora una volta attacca, chiude sulla fuga di Ewers e si lascia dietro tutte le altre. Quinta tappa: attacca sul Pian del Lupo, prima salita di giornata, questa volta a tenerle la ruota è Gaia Realini, un'azione clamorosa. Cade in discesa, per poco non raggiunge e supera Antonia Niedermaier, arriva seconda con rammarico. Sesta tappa: sull'ultima salita, a Canelli, fa il vuoto ed ipoteca il Giro Donne: con distacchi sulle dirette rivali che non paiono più colmabili. Infine, giovedì, settima tappa, tra Alassio ed Albenga: ai dieci chilometri, forza l’andatura e resta sola con Labous e Realini, ai 1600 metri, pur non avendo più nulla da chiedere a questo Giro, va via da sola e arriva in solitudine al Santuario della Madonna della Guardia. Ennesimo show.Altro da dire? No, niente.

C'è un bisogno che, sulle strade, si avverte tra i tifosi, forse per una delle prime volte in maniera così decisa: la necessità di una alternativa. Per questo l'entusiasmo quando Longo Borghini e Realini riescono a metterla in mezzo, per questo il senso di vuoto e quella frase, al ritiro di Longo Borghini, dopo la caduta nella tappa di Ceres: «Niente, quindi il Giro lo vince ancora van Vleuten». Sì, Longo Borghini è apparsa ancora una volta una delle poche atlete in grado di insidiare l'olandese e anche di batterla, a Borgo Val di Taro, ad esempio. Longo Borghini che esalta quando sfida van Vleuten e commuove quando arriva con Van Anrooij, dopo la caduta. Le mette una mano sulla spalla, sorride, con il segno della caduta sul volto, vorrebbe ringraziare, la compagna ed il pubblico, per come l'hanno attesa. In realtà, è il pubblico a ringraziare lei, a cercarla quando precauzionalmente, nonostante l'assenza di fratture, decide di ritirarsi, guardando al Tour de France. Il pallino passa quindi a Gaia Realini, che, sin dall'inizio, era la donna destinata a fare classifica, in quanto Longo Borghini puntava ad una tappa, che, però, ora dovrà gestire la situazione senza un appoggio prezioso quale quello dell'atleta di Ornavasso. Una menzione va anche fatta per la sintonia che si è creata fra le due, per la loro capacità di giocare di squadra ed esultare assieme per il successo dell'una o dell'altra. Gaia Realini, al momento, veste sia la maglia bianca di miglior giovane che la maglia azzurra di miglior italiana in classifica, grazie al grazie al terzo posto attuale in classifica generale. Proprio nella tappa di giovedì, il terzo posto di tappa, abbinato alla crisi di Veronica Ewers, fino a quel momento seconda, le ha consegnato il podio che, a questo punto, potrebbe essere suo a fine Giro. Risultato molto importante per l’abruzzese.

Antonia Niedermaier - Foto Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency©2023

Da sottolineare, in questo Giro, anche le prove di Veronica Ewers e Antonia Niedermaier. Storie diverse, ma simili, in cui il ciclismo arriva dopo il calcio (per Ewers) e dopo lo scialpinismo (per Niedermaier), in cui, allo stesso modo, emerge un talento notevole. L'azione di Ewers a Borgo Val di Taro è un elogio della resistenza e della tenacia, un gesto atletico raro. La vittoria di Niedermaier nella tappa di Ceres, allo stesso modo, è una di quelle vittorie che si ricordano. Abbiamo parlato della "ragazza che superò van Vleuten", questo potrebbe essere il ricordo, abbinato alla genuinità della tedesca, alla dedica alla nonna, al suo sentirsi «così giovane», assieme al suo entusiasmo alla partenza della tappa di Canelli e, purtroppo, anche assieme a quella brutta caduta che le è costata il ritiro. Nulla di grave, per fortuna. Di certo, qualcosa di difficile da accettare, come un forte dolore dopo una delle gioie più grandi in carriera, mentre a vent'anni ci si gioca il podio del Giro, dal secondo gradino. Il ciclismo è così. Il tempo, però, è dalla parte di Niedermaier.

Ci hanno entusiasmato le discese di Silvia Persico, il coraggio con cui si getta in ogni curva e rilancia l'andatura, quello che uno spettatore ha definito "da brividi". Sì, le sue discese sono da brividi. In salita le è mancato qualcosa per restare con le migliori, ma l'estro è sempre lo stesso. In ottica classifica generale, in UAE Team ADQ, meglio Erica Magnaldi, fino a qui autrice di un ottimo Giro Donne. Ci siamo riconosciuti nella sofferenza di Marta Cavalli in salita, in quelle smorfie, in quello sguardo a cercare un appiglio. Ci siamo riconosciuti in quella frase a Marie Le Net: "Grazie per avermi portata all'arrivo". Non è stato fino a qui il Giro che Cavalli avrebbe sperato. Un Giro, probabilmente, non adatto alle sue caratteristiche, arrivato in un momento in cui Cavalli sta cercando di recuperare vecchie sensazioni. Chissà che questa fatica non possa essere preziosa nella sua ricerca. Rispetto alle azzurre, è bene anche sottolineare la buona prova di Francesca Barale, vent'anni, sesta nella classifica giovani, seconda azzurra di questa classifica. Sempre fra le giovani, è di rilievo il Giro di Fem van Empel ed Anna Shackley, nelle prime quindici della generale, a venti e ventidue anni.

Annemiek Van Vleuten - Foto Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency©2023

Piuttosto scarno il capitolo volate, solo per il fatto che, fino a qui, le ruote veloci si sono contese unicamente la tappa di Modena. Le previsioni parlavano di Lorena Wiebes davanti a tutte e Wiebes non si è fatta attendere. Non ha solo vinto l'unica volata di questo Giro, l'ha letteralmente dominata, apparendo inscalfibile in ogni momento. A provare ad insidiarla Vos e Dygert, entrambe già protagoniste con ottimi tempi della cronometro iniziale poi annullata, Dygert nonostante una caduta. Marianne Vos è molto attesa in questi giorni: a Canelli diversi tifosi la incitavano, su un arrivo che le si addiceva. Parlavano di una sua "zampata" e la sua zampata la attendiamo tutti. Ora, dopo il ritiro di Wiebes, prima della tappa di Alassio, in vista del Tour de France, si candida come la favorita principale su arrivi in cui la velocità rivesta un ruolo fondamentale.

Oggi giorno di riposo e di trasferimento in Sardegna per le ultime due frazioni: Nuoro-Sassari e Sassari-Olbia, entrambe non banali. Prima che anche questo Giro vada in archivio.

Foto in evidenza: Sprint Cycling Agency


Dai campionati nazionali al Giro Donne: appunti di gara

Nel ciclismo, ci sono settimane che potrebbero essere traghetti, da una costa all'altra, avendo ben presente quel che si è lasciato alle spalle, ma essendo altrettanto focalizzati su quel che sta per arrivare. La settimana che va dalla sera del 25 giugno alla mattina del 30 giugno è, per il ciclismo femminile, questo traghetto. Dai Campionati Nazionali al Giro Donne 2023 che, dopo molti dubbi, dopo molte discussioni, ha alzato il sipario e si farà: "questa corsa s'ha da fare". Sintetizziamo così, con un'eco manzoniana, mentre da Comano Terme, in Trentino Alto Adige, sede del Campionato Nazionale Italiano 2023, ci spostiamo a Chianciano Terme, in Toscana, sede della prima tappa, una cronometro di 4,4 chilometri, del Giro Donne. In questo pezzo ci muoveremo sempre così, con lo sguardo tra passato e futuro, da una costa all'altra di quell'immaginario traghetto: dai Campionati Nazionali al Giro Donne, provando a mettere insieme segnali ed indizi.

L'UNDICESIMA

Elisa Longo Borghini - Foto: Francesco Rachello / Tornanti.cc

Inutile girarci molto attorno, il primo nome di cui parlare è senza dubbio quello di Elisa Longo Borghini. Uno-due: venerdì titolo nazionale a cronometro, domenica titolo nazionale in linea. In totale undici Campionati Nazionali conquistati, tra strada e cronometro. A noi è restato lo squarcio nel silenzio dell'attesa nel momento in cui Longo Borghini taglia la linea del traguardo della prova contro il tempo ed il monitor, che solo qualche minuto prima aveva evidenziato la prima posizione provvisoria di Marta Cavalli, stravolge la classifica con un nuovo primo tempo: 37'44''. Ben 47'' su Cavalli, 1'10'' su Alessia Vigilia: una superiorità netta, ad oltre 40km/h di media. E ancora quel: "Ho vinto o no?", dopo il testa a testa con Silvia Persico, per poi risolvere il dubbio in un "sì" prolungato, tra la gioia e la grinta. Il dato sulla buona condizione è sin troppo evidente. Bene, invece, è sottolineare quel che c'è in più. La costruzione della volata, ad esempio, terreno in cui Longo Borghini ha sempre patito: volata anticipata, infinita, per sorprendere Silvia Persico che, in quel frangente, nella prova in linea era la favorita, senza ombra di dubbio. Vince di un filo, ma vince. In una volata classica, forse, Persico avrebbe prevalso, ma il ciclismo è questo. La freschezza con cui lancia un simile sprint, dopo 148 chilometri su un tracciato nervoso, come quello di Comano, è indicativa. L'esperienza con cui, assieme a Slongo, studia modi sempre nuovi per affrontare qualunque frangente di gara ne fa la campionessa che è. Uscita bene dal Tour de Suisse, un terzo posto incoraggiante al rientro in gara, le due maglie tricolori sono ciliegine sulla torta. Ha detto che al Giro Donne punterà a una tappa, poi, si sa, l'appetito vien mangiando.

QUEI PODI

La volata al Tricolore femminile Foto: Eloise Mavian / Tornanti.cc

Sì, parliamo dei podi delle due gare agli italiani, perché su quei gradini vanno fatte diverse considerazioni.

La prima è più generale: Marta Cavalli sembra davvero tornata a buoni livelli. Seconda nella cronometro e terza nella prova in linea. Alla partenza, domenica, aveva detto: "Io non attacco...", con un sorriso che faceva presagire scintille. In corsa ci sono state, per come ha risposto, per come è rientrata, per la personalità che ha messo in ogni azione. Brucia perché quella maglia le sarebbe servita molto: a livello morale soprattutto. Ma le prestazioni parlano per lei. Ci aveva detto che un buon Giro Donne, preparato e corso bene, sarebbe servito come slancio verso il Tour de France con cui, dall'anno scorso, ha un conto in sospeso. Ora è il momento di dimostrarlo, affiancata da Cecile Uttrup Ludwig che, sulle montagne, potrebbe essere la spalla ideale.

Silvia Persico, dopo la prova in linea, ha ripetuto più volte una frase significativa: "Devo essere felice". Quasi un'imposizione. Intendiamoci: Persico ha corso un Campionato Italiano di primo livello e sono molti gli occhi puntati su di lei in vista del Giro e più in generale della stagione. Ottime premesse per essere felice, anche raccordate ad una prima parte di stagione da protagonista delle classiche. Però seconda così, fa male davvero. Allora cosa si fa? Si prende il buono e a Chianciano Terme ci si presenta con tutti gli occhi delle rivali puntati addosso. Domenica è successo lo stesso e lei ha scherzato: "Beato chi pensa che sia la favorita". Sappiamo com'è finita.

Alessia Vigilia (Top Girls - Fassa Bortolo) - Foto: Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency@2023

Parlando di Alessia Vigilia, invece, il discorso si sposta alla prova a cronometro. Una prova che, se servisse, conferma quello che sempre abbiamo sostenuto. Il talento c'è tutto, basta trovare la strada giusta. Una strada che Vigilia ha trovato e smarrito negli anni, crescendo e diventando la ciclista che è oggi. Ricordate il mondiale di Bergen? Una medaglia d'argento, dietro Elena Pirrone, nella cronometro Juniores, dopo una stagione complessa. Poi gli anni che passano, un periodo difficile ai tempi della Cronos-Casa Dorada e quindi la volontà di tornare a costruirsi. In questo percorso, anzi, in questa pedalata, il Giro Donne sarà un tassello importante.

L'ULTIMO GIRO DONNE DI MARTA BASTIANELLI

Marta Bastianelli - Foto: Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency@2023

Sarà un lungo addio al ciclismo pedalato, certamente non al ciclismo vissuto. Ha detto Bastianelli che il Campionato Italiano 2023 sarà il suo ultimo Campionato Italiano, ma si è affrettata ad aggiungere che "in realtà, non sarà mai, davvero, un'ultima volta". Forse, lo stesso vale per il Giro. Anzi, certamente vale per il Giro Donne e con qualcosa in più. Perché questa volta non sarà una delle ultime volte, sarà proprio l'ultima volta e con una carriera alle spalle come quella di Bastianelli questo ha un peso importante. Sul palco dei Campionati Italiani, Elena Cecchini ha pianto mentre parlava di queste ultime volte. Anche Chiara Consonni ha pianto ed il buonumore di Consonni è proverbiale. Hanno detto: "Ha lasciato un segno che non toglieremo mai". Dal 30 giugno, la possibilità di aggiungere un ulteriore segno. Lei e Consonni si inventeranno qualcosa nelle tappe in pianura. Bertizzolo, Magnaldi e Persico faranno lo stesso in salita.

LE ALI APERTE DI GAIA REALINI

ELisa Longo Borghini e Gaia Realini - Foto: Francesco Rachello / Tornanti.cc

Le scalatrici devono essere leggere, si sa. In questo senso il loro è più che mai un volo, perché per volare serve leggerezza. Il fisico dell'abruzzese è da scalatrice pura e le sue ali sono aperte. A Comano Terme, una condotta di gara aggressiva, trenta chilometri di trenate, di attacchi, di voglia di vincere, di certezza nell'essere donna di squadra e per la squadra. Una crescita decisa, continua. Campionessa Italiana Under 23, importante, ma non ci si può fermare qui. Già l'anno scorso, Realini, al Giro aveva fatto bene: tredicesima nella classifica generale finale, settima nella tappa del Maniva, quinta a San Lorenzo Dorsino. A lottare con le big sulle salite. Quest'anno, con Trek, vivrà un Giro diverso, forse ancora più difficile, perché le aspettative del pubblico saranno maggiori. Lei, però, le aspettative le lascia da parte, si concentra sul piacere di fare quel che fa. Qualcosa ci dice che sia la scelta giusta.

IN ORDINE SPARSO

Barbara Malcotti (ITA - Human Powered Health) - Foto: Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency@2023

Sì, perché ci sono altre cose da dire sui Campionati Nazionali Italiani 2023, in vista del Giro d'Italia ed in generale della prosecuzione della stagione. Per esempio, è da notare la fuga di Elena Pirrone nella prova in linea, insieme a Cecchini e Masetti. Anche Elena Pirrone ha vissuto momenti diversi in questi anni di carriera: crediamo che azioni simili possano farle bene, restituirle fiducia e consegnarle anche il divertimento che, assieme alla fatica, si prova quando si inventa una fuga. Decima alla fine, dodicesima, invece, Masetti dopo la stessa fuga. Sempre dalla prova in linea, è obbligatorio menzionare Barbara Malcotti: è restata con Longo Borghini, Cavalli, Persico e Realini per lungo tempo, collaborando attivamente ed essendo della partita. Ha concluso quinta. Dall'ordine d'arrivo, rileviamo anche il settimo posto di Letizia Paternoster, che affronterà il suo primo Giro Donne con una squadra, la Jayco-AlUla, che, ci ha raccontato tempo fa, aver contribuito a restituirle serenità. Soraya Paladin, invece, anche lei in top ten, affronterà la corsa rosa con un team di "all rounders", come si dice in gergo, in Canyon Sram, team in cui non sarà, però, presente Kasia Niewiadoma. Della cronometro di venerdì 23 giugno, vogliamo invece evidenziare la prova di Letizia Borghesi, a lungo miglior tempo provvisorio, ed in ogni caso una prestazione che sottolinea un buon periodo di forma.

ALTRE MAGLIE

Demi Vollering - Foto: Davy Rietbergen/CV/SprintCyclingAgency@2023

Se questo fosse un tema, qualcuno potrebbe dire che stiamo "andando fuori tema", ovvero stiamo per uscire dal centro del focus che è, fino ad ora, stato legato alle indicazioni che i Campionati Italiani hanno fornito in vista del Giro Donne. Forse, in parte è vero, ma ci sembra giusto approfittare dell'occasione per un utile riepilogo delle varie maglie di campionessa nazionale.
Fra le atlete che non saranno presenti al Giro Donne, Demi Vollering e Riejanne Markus si sono spartite la maglia di campionessa olandese, la prima su strada, la seconda a cronometro, stessa cosa vale per Victoire Berteau e Cedrine Kerbaol in Francia e per Mireia Benito in Spagna. Christine Majerus è campionessa nazionale lussemburghese su strada, mentre Emma Norsgaard si conferma campionessa nazionale a cronometro in Danimarca. Lotte Kopecky ha fatto il bis in Belgio: titolo sia in linea che contro il tempo.

Tra coloro che, invece, prenderanno il via da Chianciano Terme, al Giro, poniamo l'accento sul doppio titolo conquistato da Chloè Dygert negli Stati Uniti e da Kata Blanka Vas, autrice di due prove notevoli, in Ungheria, ma altrettanto importante, in quest'ottica, è il titolo di Liane Lippert, in Germania, nella prova in linea e di Mavi Garcia in Spagna. In Slovenia, Urška Žigart si è riconfermata nella prova a cronometro. Un bell'insieme di colori, di maglie e bandiere che non mancano, da cercare e riconoscere in gruppo, con cui familiarizzare nella stagione e nei dieci giorni del Giro Donne.

UN POCO DI TUTTO

Non si tratta di Campionati Nazionali, è vero, ma, in questa sorta di lente di ingrandimento sulle cicliste prossimamente al Giro Donne, ci sono altre atlete che dobbiamo per forza di cosa portare all'attenzione nostra e dei nostri lettori. Come a completare un quadro che, in ogni caso, come in tutte le corse ciclistiche, avrà comunque un margine di imprevedibilità e di nomi che, magari non menzionati, sapranno sorprenderci: in questo caso, saremo i primi ad esserne felici. Le sorprese ci piacciono.
Annemiek van Vleuten (Movistar) è, senza ombra di dubbio, uno dei fari di questa corsa. Se dovesse riuscirle il colpaccio, potrebbe continuare un filotto di successi nelle grandi corse a tappe, che, iniziato con la vittoria al Giro dell'anno scorso, ha inanellato: Giro, Tour, Vuelta, ancora Vuelta e chissà se ancora Giro. Conta già tre successi nella Corsa Rosa, potrebbe gettare il poker. Abbiamo parlato più volte di quanto sia cambiata, o meglio, di quanto sia cambiato il suo modo di vincere. Discorsi su discorsi, intanto lei ha già detto di essere contenta delle sue gambe, in vista del Giro. Le sue avversarie non lo saranno altrettanto.

Le prestazioni di Mavi Garcìa (Liv Racing-TeqFind) al Giro Donne dello scorso anno le ricordiamo tutti: in salita aveva pane per i denti di tutte le scalatrici: il suo terzo posto sul podio finale e le cinque top ten su dieci tappe raccontano questa storia. Accanto a lei Katia Ragusa, da cui ci attendiamo qualche numero, e Rachele Barbieri che potrebbe giocare qualche scherzo alle ruote veloci. A proposito di volate, le ruote veloci non mancano, citiamo: Lorena Wiebes (SD-Worx) che potrà contare sul prezioso lavoro di Elena Cecchini, Marianne Vos (Jumbo Visma), abbiamo ancora negli occhi i suoi sprint a "La Vuelta" ed in ogni caso l'estro della campionessa olandese, anche Maria Giulia Confalonieri (Team UnoX) sarà certamente della partita. Non sarà invece presente Elisa Balsamo (Lidl Trek), in recupero dopo l'infortunio alla Ride London Classique. Trek che, comunque, si presenterà come uno squadrone: Longo Borghini, Realini, Deignan, Hanson, Klein, Van Anrooij e Backstedt a completare l'organico. Curiosità per la presenza di Fem Van Empel (Jumbo Visma), domatrice della stagione del fango. In casa Israel, invece, il nome di Anna Kiesenhofer continua a essere gettonato: per la storia di questa atleta, campionessa olimpica a Tokyo. Per la Dsm un ruolo importante lo avrà Juliette Labous: già settima in Spagna, a "La Vuelta" quest'anno, nona al Giro 2022. In squadra con lei due atlete interessanti: Francesca Barale e Eleonora Ciabocco. Tra fughe, salite, sprint, azioni a sorpresa, aspettiamo invece Matilde Vitillo, Valentina Basilico, Silvia Zanardi (BePink) e Sara Casasola (Born To Win G20 Ambedo).


La festa delle pietre

Avete mai avuto il timore di dimenticare una sensazione? Magari una bella sensazione che, in qualche circostanza, avete provato. Sono quelle le occasioni in cui può capitare di pensare: «Non vorrei mai dimenticarmi come mi sento ora». A Valeria Bidoggia è successo la prima volta in cui è stata nelle Fiandre, oppure, per la precisione, la prima volta in cui ha camminato (sì, è bastato camminare) su un tratto di pavè. Ci racconta di averlo accarezzato, di essersi seduta tra quelle pietre e di aver pensato alla storia: «Non c'è essere vivente che possa aver assistito a ciò a cui ha assistito un sasso, una roccia o qualunque altra creatura inanimata. Vero, lì non c'è la coscienza, ma penso che gli esseri umani, quando vi si accostano, possano sentire qualcosa di particolare. Sì, perché noi sappiamo cos'è accaduto lì. Quante biciclette, quanto dolore, quante voci, quanta speranza, è passata da lì. È difficile da raccontare come tutte le cose che percepiamo, ma io l'ho avvertita e ho chiesto a me stessa di non scordarla».

Però la paura di dimenticare c'è sempre e allora si cerca di tornare, di riprovare quel che già si è provato, nella speranza sia ancora la stessa cosa. Valeria ha fatto proprio così e, sulle pietre, è tornata in bicicletta, nella grande festa del sabato, in cui gli appassionati pedalano sul tragitto, come professionisti veri. A tutti gli effetti perché per le persone che sono a guardare non fa molta differenza chi stia passando in quel momento: si tratta, comunque, di qualcuno che sta andando in bicicletta e, solo per questo, bisogna gridare, fare rumore, incitare, forse anche ballare e cantare. «Sai, tutti vogliono riprovare le cose belle, le cose che li hanno resi felici, ma, come sempre, ci sono due volti: il desiderio e la paura. Volevo pedalare su quei tratti, ma avevo anche timore di non farcela, di non essere all'altezza. Forse, persino, di non provare più la sensazione di quella prima volta e di macchiarne il ricordo. In questi casi serve un obbligo: qualcuno che voglia che tu lo faccia. Il regalo di mio marito, per Natale, è stato proprio questo. Il Fiandre ed il coraggio».

Il menu: 75 chilometri di percorso, nove tratti in pavè ed anche la pioggia, perché sabato 1 aprile, in Belgio, il cielo è inclemente. A questo si aggiunge il fatto che questo tipo di tempo atmosferico non lascia tranquillo nessuno, in particolare Valeria: «Credo sia la prova che è tutto nella testa, perché in altre occasioni non sarei nemmeno uscita in bicicletta con la pioggia, figuriamoci su quei muri, con quelle difficoltà. Invece...». Invece è alla partenza ed in macchina ascolta musica che possa caricarla, ha un magone, gli occhi lucidi, canta a voce alta: «Il timore è sempre quello di non essere all'altezza. Nel mio caso è un fatto caratteriale, ma in queste prove pensi ancor di più. In altre occasioni è successo che qualcuno gridasse solo perché ero dalla parte sbagliata della strada, perché "lo intralciavo": ti senti sotto esame, anche se non lo sei. Ed è un peccato. Ecco, prima che partisse il mio Giro delle Fiandre, mi sentivo così, sotto esame». In Belgio, però, tutto questo non c'è, almeno non lì. Si vedono persone che ridono, spensierate e tutto questo si trasmette. «Forse hanno capito il vero senso di giornate del genere. Io guardavo e mi dicevo: "Quasi quasi rido anche io". Sorridevo e pensavo che mi sentivo nel mio posto nel mondo». In particolare, sul Paterberg, muro che Valeria percorre metà in bicicletta e metà a piedi: verso la cima, vede due ragazze che ridono, le guarda e ride: «Mi sono resa conto solo dopo, vedendo le fotografie, che ridevo ovunque. Anche se mi facevano male i polsi, le gambe, tutti i muscoli, persino i piedi». Quella fatica che, per quanto faccia male, si vuole vivere fino in fondo «perché ti fa capire quanto vali, quanto puoi fare da sola, senza dipendere da nessuno, con il supporto di tanti, forse, ma da sola. E sapere che sei in grado di cavartela da sola, cambia tutto, rasserena».

Per questo, sul Kwaremont, quando un gruppo di tifosi italiani capisce che anche Valeria è italiana, e chiama a raccolta tutti, al ritmo di: «Spingiamola, dai!». Lei, tira fuori la voce: «No, vi prego: voglio farcela da sola». Quei ragazzi continuano a incitare e la vedono che, spingendo sui pedali, arriva alla fine: esultano. Sarà uno dei tanti momenti di incontro con i tifosi: «Ad un certo punto ho visto un uomo che mi gridava: "Come on! Come on!". Mi sembrava proprio Andrè Greipel, l'ho guardato e gli ho detto: "Greipel?". Sì, era lui, ed è tornato ad incitarmi». C'è sorpresa perché fa sempre strano vedere qualcuno per cui si tifava che, adesso, fa il tifo per te, in realtà, la risposta di Valeria Bidoggia è naturale.
«Non conta chi hai davanti, conta il fatto che, se conosci la fatica, quando vedi qualcuno che ne sta facendo molta, non puoi che esserne partecipe. Accade qualcosa di simile con il dolore». Sì, tutto questo nel verde delle Fiandre, "indimenticabile", e con, nel naso, l'odore del fango, "piacevole e fastidioso allo stesso tempo". Tutto questo sulle pietre che sono spaventose ma anche rassicuranti, a tratti.
L'arrivo è là in fondo, da molti minuti ormai, ma non arriva mai, quasi fosse un'illusione o il tempo rallentato, fermato. Servono minuti e minuti per transitare sotto l'arrivo, lo stesso dei corridori, di Pogačar o di Kopecky: «Il giorno dopo, mi stupivo del poco tempo impiegato dai professionisti per percorrere il pavè. A me sembra di averci messo un'infinità, ma ce l'ho fatta, con solo 450 chilometri nelle gambe. È incredibile».
Ed in tutto questo, la cosa più importante: «Quella sensazione, quella di cui ti parlavo, che temevo di scordare o di sporcare, è stata la stessa. Identica. Forse davvero non la scorderò mai, non la perderò mai».


Sempre diversa, sempre la stessa: intervista a Gaia Realini

Dopo qualche mese dall'ultima intervista, Gaia Realini, nella nostra chiacchierata, riparte, ridendo, dal sei maggio, quando, durante la sesta tappa de "La Vuelta Femenina", si trovò, a pochi chilometri dal traguardo, in testa alla corsa, assieme ad Annemiek van Vleuten. Siamo, però, noi a mettere sul tavolo una sorta di provocazione: «Dai, adesso puoi dirci la verità: sentivi di poterla vincere?». Non c'è quasi tempo fra la domanda e la risposta e la voce di Gaia riprende, allegra: «Ma nemmeno per sogno. Il mio pensiero era: "Perfetto, siamo in due, faccio seconda e porto a casa un'altra giornata positiva». Dall'ammiraglia, però, non la pensavano così. L'avrei scoperto a breve". Infatti, di lì a poco, sarebbe stata la voce di Paolo Slongo a dirle che quella volata avrebbe dovuto giocarsela. Il dialogo ve lo riportiamo: è più o meno così
«È l'occasione della vita, Gaia. Giocatela»
«Ma come faccio?»
«Stai tranquilla. Devi solo stare tranquilla e fare la tua volata»
«Sì, posso fare anche la mia volata, ma è impossibile. Vince lei, non ci sono dubbi»
«Tu inizia a fare la volata, poi vediamo».

Gaia Realini e Annemiek Van Vleuten - Foto: Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Gaia Realini non era convinta, eppure quella volata l'ha fatta e l'ha vinta: «Non ci credevo in quel momento e non ci credo ancora. Eppure ho rivisto più volte quel finale e la ciclista in maglia Trek-Segafredo sono proprio io. Prima o poi me ne convincerò». Bastano queste poche parole per capire che i successi di inizio stagione e un'indubbia crescita non hanno per nulla cambiato Realini che, per usare le sue parole, resta la ragazza di sempre. «Non sono cambiata e da questo punto di vista credo non cambierò mai. Ti dico di più: se dovessi cambiare, vorrei che qualcuno me lo facesse notare, perché starei sbagliando. Ho ben presente come sono arrivata qui, i sacrifici che ho fatto, so che siamo solo esseri umani, che possiamo saltare molto in alto ma anche cadere giù. Non avrebbe senso». Ci sono stati dei cambiamenti, questo sì, ma di altro genere.

«I risultati portano fiducia, capisci le tue reali potenzialità. In questo senso cambiano. Però i risultati vanno guardati con i piedi per terra, ma proprio con i piedi ben saldi a terra, altrimenti rischiano di portarti fuori strada». Ed in questa acquisizione di fiducia, ha fatto moltissimo una nuova presa di coscienza rispetto all'errore, soprattutto per una persona come Realini che si descrive come estremamente autocritica: «L'errore è parte del processo di crescita, occorre saperlo individuare ed analizzare con un approccio positivo. Ci sta solo indicando dove correggere per migliorare. Il fatto è che chi è molto autocritico, di solito, fatica ad avere questa visione e per gli errori si colpevolizza eccessivamente. In parte lo faccio ancora, ma meno». Ecco dove è cambiata Realini.

Gaia Realini - Foto: Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Un processo iniziato da tempo ed in continua evoluzione che, però, trova le sue radici nella prima gara di stagione con Trek-Segafredo, l'UAE Tour: in quei giorni, c'erano molti pensieri nella mente dell'abruzzese di Pescara, la maggior parte dei quali avevano a che fare con quello che tutti si sarebbero aspettati da lei, dopo il cambiamento di squadra: «La cosa incredibile è che, per lungo tempo ho vissuto divertendomi gli allenamenti e con una forte ansia le gare. In quei giorni ho capito che nessuno si aspettava qualcosa di particolare da me e nemmeno io avrei dovuto aspettarmi chissà cosa. Solo continuare a fare ciò che già facevo, pedalare al meglio delle mie possibilità. In fondo, perché dovrei essere in ansia per questo? So farlo, l'ho sempre fatto».

Gaia Realini guarda con attenzione ciò che fanno le compagne di squadra, ascolta ogni consiglio, diretto o indiretto, dice che per lei «è pane ogni suggerimento», così ogni gara la riporta a un passo avanti: l'azione con Longo Borghini all'UAE Tour, la vittoria a Montignoso con Spratt, in una corsa in cui non partivano favorite, sino a quel giorno a "La Vuelta", da cui è iniziato il racconto.

Ora il pensiero è al Campionato Italiano a Comano Terme che, il 25 giugno, assegnerà una nuova maglia tricolore: «È un traguardo a cui si lavora da inizio stagione, certamente molto importante. Vedremo come si metterà la corsa, ma io ed Elisa Longo Borghini faremo di tutto per mettere in difficoltà le avversarie. Nel circuito finale, quello da percorrere per quattro volte, c'è una salita di cinque chilometri. Secondo me, un buon punto, in cui chi avrà la gamba potrà dire la propria, sarà il secondo dei quattro giri: la corsa potrebbe esplodere lì».

La Vuelta Femenina 2003 - 1st Edition - 7th stage Pola de Siero - Lagos de Covadonga 93,7 km - 07/05/2023 - Gaia Realini (ITA - Trek - Segafredo) - photo Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Quando le chiediamo del significato di quella maglia, Realini inizia parlando di felicità: «Sarebbe un orgoglio, una grande gioia...ma c'è di più. Per me il ciclismo non è mai stato un sacrificio: tutte le volte in cui qualcuno mi chiedeva come facessi a fare la mia vita, rispondevo con la stessa domanda: "Tu come fai a fare la tua?. E, se non lo dicevo, pensavo: "Per fortuna che ho questa vita”. La mia maglia tricolore avrebbe anche questo significato». Forse per questo, quando Realini parla del Giro d'Italia, prossimo appuntamento in ordine temporale, accenna alla tappa di Canelli, a quelle in Sardegna, in cui segnala l'incognita vento, sottolinea l'importanza di vivere questo appuntamento al massimo e poi torna a parlare del lavoro: «Sono contenta quando devo fare la gara, ma per me c'è qualcosa di enorme anche nel lavorare per la squadra. Sai, quando tagli il traguardo e sai che hai fatto molto per le tue compagne, ti senti a posto con te stessa, serena. Una sensazione bellissima. Il giorno del Binda, ad esempio, l'ho provata». E, se sarà difficile, come è sempre difficile una gara a tappe, Gaia Realini saprà come farsi coraggio.

«Quando tutto va bene e vinci, arrivano molte persone che vogliono esserti amiche, che dicono di esserti amiche. Presto scopri che basta un periodo no perché tutti si allontanino. Avere tante persone a fianco può attirare. Io ho capito che me ne bastano poche, davvero poche. La mia famiglia, gli amici e lo staff della squadra. Loro mi fanno sentire coraggiosa».


Upcycle e Milano: una festa a raccontare la loro storia

Upcycle è un bike café di Milano da esattamente dieci anni. Così, in una sera d'estate, il 21 giugno, a partire dalle diciotto, quel bike café festeggerà, con tutti coloro che vorranno essere presenti, questo tempo e lo farà ancora nel segno delle due parole che meglio non potrebbero descrivere la propria essenza: bicicletta e caffè, per l'appunto. Una caffetteria, con tavoli lunghi, in cui i ragazzi di "Città studi" preparano i loro esami, assieme, in cui si pranza o si cena per motivi di lavoro, oppure, semplicemente, ci si incontra per caso e si chiacchiera: a questo servono quei tavoli, in cui condividono un caffè o un panino, l'uno accanto all'altro, anche persone che non si conoscono e che magari non si rivedranno più. In cui l'acqua è gratis. Una caffetteria in cui ci sono berretti, maglie da ciclista e biciclette, tante biciclette.

«All'interno del locale c'è un vero e proprio scambio. Pensate al gesto di prendere un caffè- ci spiega Marco Mazzei, che la prima volta passò in quel locale proprio agli inizi- si discute prima, nel mentre e dopo. Cosa significa? Che se all'interno succede qualcosa di interessante, molto probabilmente, questo qualcosa arriverà anche fuori. In questo una tazzina di caffè e la bicicletta si somigliano, sono capaci di aggregare, hanno profondamente a che fare con la socialità». Dieci anni fa, già, in un momento in cui a Milano ferveva qualcosa di nuovo rispetto alla bicicletta, qualcosa di bello, di futuro. Marco Mazzei conosceva già l'esperienza di locali simili, dall'estero, la ammirava ed era convinto che il percorso di Upcycle sarebbe stato come quello di qualsiasi bike café visto in viaggio, eppure Upcycle, crescendo, non è diventato esattamente come lo immaginava e questo, Mazzei lo dice, è stato anche un bene: «Sì, perché questi locali, altrove, erano molto legati al "professionismo": bici da professionista e marchi da professionista. Upcycle, invece, è sempre stato un variegato insieme di umanità, di grandi pedalatori, di biciclette in ogni forma e dimensione. Non me lo aspettavo, ma è qualcosa in più, che credo debba essere conservato e custodito. Upcycle guarda la città ma allo stesso tempo è di respiro internazionale».

Attorno a quei lunghi tavoli, le persone cambiano nel corso della giornata e, la sera, molte volte, si ritrovano ad ascoltare racconti, di viaggi, di andate e ritorni, di ruote, ingranaggi e catene, in ogni caso, di donne e uomini: «Penso che un tavolo come quello, sia un luogo in cui possono sciogliersi molte sfide che viviamo nella quotidianità. Prendiamo il tema dei rider, del lavoro e della bicicletta, è un tema che apre molti scenari, molte possibilità: lì se ne può parlare, si può capire e migliorare, cambiare. In ogni caso, capire è sempre meglio. Un locale così può aiutare a capire». E a diffondere, "a portare fuori", per le strade e le case, quel che si sente lì dentro, anche qualcosa che, senza quel luogo, non si sarebbe mai ascoltato: si ritorna al caffè e alla bicicletta, senza l'uno e senza l'altra, probabilmente, non conosceremmo molte cose che, invece, conosciamo. Per questo motivo, la festa, che prevederà un red carpet su cui potranno sfilare le biciclette, momenti di spensieratezza, leggerezza, e, soprattutto, l'idea che festeggiare adesso significhi pensare al futuro e pensare a cosa potrà essere Upcycle fra altri dieci anni, quale potrà essere il suo rapporto con la città, il tema della sicurezza, ad esempio.

«Porto un esempio: tempo fa c'è stato un incontro a tema economia carceraria. I carcerati, guidati da un meccanico, hanno aggiustato delle biciclette che poi sono state utilizzate da molte persone. Mi piacerebbe parlare di tutti i significati che porta un giro in bici su una di quelle bici». Allora il futuro di Upcycle parte dal suo passato e dal suo presente, dall'impatto che ha avuto sulla città, su persone che, magari, sono capitate fra le sue mura una volta soltanto eppure fanno parte di questa storia, perché hanno sentito parlare di un qualche viaggio e, pur non avendolo mai fatto prima, sono partite, in bicicletta: «Upcycle fa parte di questa città, nel senso di appartenenza, delle sfaccettature, dei viaggi raccontati, del lavoro, del turismo urbano o dell'avventura. Di un certo modo di vedere la città stessa e la bicicletta. Dalla città arrivano le voci che si sentono quando passi qui accanto, il fatto che sai che qui troverai qualcuno».

In quella sera d'estate, quella del 21 giugno, a questa festa che riserverà molte sorprese troverete anche Alvento, la riproduzione e l'esposizione di dodici copertine dei numeri della nostra rivista, i nostri libri, qualcuno di noi. Per festeggiare e scambiare chiacchiere ed idee. Quelle che, poi, con un caffè e una bicicletta chissà davvero dove possono arrivare.


«Forse al Giro...»: intervista a Marta Cavalli

La mattina, quando le telefoniamo, Marta Cavalli, dopo alcuni giorni a casa, sta per ripartire per le gare, per quel Tour Féminin International des Pyrénées dove coglierà il successo, che vi abbiamo raccontato, ad Hautacam, e, come ogni volta, prima di partire, si prepara a passare a salutare i nonni. Un gesto apparentemente semplice che, però, in questa stagione strana, con molte difficoltà inaspettate, ha spesso avuto un gusto agrodolce: «Tutte le volte mi abbracciano e mi dicono: "Speriamo vada tutto bene, speriamo in un risultato". In questi mesi, ho sentito molte volte questa frase e tutte le volte ho detto "sì, speriamo", pur sapendo che quel risultato non sarebbe potuto arrivare. Ed ogni volta era più difficile, perché, dopo un'annata come il 2022, tutti si aspettano qualcosa da Marta Cavalli e, più passa il tempo, più se lo aspettano». Inizia così un'intervista che prova a riavvolgere il filo degli scorsi mesi ed allo stesso tempo cerca di guardare avanti, ai Campionati Italiani, al Giro d'Italia ed al Tour de France. In generale alle gare perché è lì che Cavalli si aspetta di ritrovare qualcosa a cui, l'anno scorso, si era abituata.

«Non te lo nascondo, sto pensando alla vittoria, del resto ci pensano tutte le atlete. Io, però, so che, in momenti come questi, è ancora più importante, ancora più bella. Importa nulla quale sia la gara, se più o meno prestigiosa, in ogni caso, se vincerò, avrò battuto le atlete presenti, ed io voglio vincere, voglio liberarmi. E, se non dovesse essere la vittoria, almeno un piazzamento, una prova così buona da restituirmi alla me stessa che conosco». Marta Cavalli ci confessa che, in ogni allenamento, ricerca il limite, il momento in cui in salita si è da soli, all'attacco, con tutti i tifosi che gridano, incitano, caricano. Un momento che vive attraverso i muscoli, che fanno male, e immagina, quasi sentisse quelle voci urlare il suo nome, tanto lo desidera: «Non è successo molto tempo fa, d'improvviso ti svegli la mattina e l'idea di fare sei ore di allenamento con 2500 metri di dislivello non ti spaventa più, non ti fa più porre domande, ma ti sprona. Hai voglia di provare quella sofferenza. Quando ho provato quella voglia, ho capito che, forse, il momento più difficile era passato, perché, quando stai male, la sofferenza non vuoi vederla, non la sopporti».

Ma il perché si sia innescato questo meccanismo, nemmeno Cavalli lo sa. Se lo è chiesto più volte e se lo chiede anche mentre parla con noi, mentre ci dice che, con l'arrivo del caldo, le sensazioni sono sempre migliori, che sta bene, che la Vuelta le è servita e, dopo un inizio di stagione a intervalli, questa seconda parte sembra essere migliore. «All'inizio non avevamo capito quanto fosse esteso il problema. Pensavamo a qualcosa di temporaneo, magari una trasferta da cui non avevo recuperato, un momento no, una settimana no, un carico eccessivo. In realtà, nel mio caso, c'era un fattore fisico ed anche un fattore di approccio mentale su cui lavorare. Quindi il fatto era ben più complesso». Non tutte le stagioni sono uguali, Marta Cavalli ce lo ripete spesso, ma, nel suo caso, il fatto che quest'anno venga dopo il 2022 è particolarmente significativo.

Giro d'Italia Donne 2022 - 33rd Edition - 4th stage Cesena - Cesena 120,9 km 04/07/2022 - Marta Cavalli (ITA - FDJ Nouvelle-Aquitaine Futuroscope) Annemiek Van Vleuten (NED - Movistar Team) - photo Massimo Fulgenzi/PMG Sport/SprintCyclingAgency©2022

L'anno scorso ogni gara era quasi certezza di risultato, quanto meno di prestazione di alto livello, e la condizione fisica era sempre buona, qualcosa che faceva presupporre il risultato, nel 2023, invece, le è capitato più volte di presentarsi alle gare pur non essendo al 100%, l'ultima volta a “La Vuelta Femenina” e questo è stato un banco di prova. «In un certo senso, è un altro passo avanti. Un'altra cosa che dovevo imparare ed ho imparato. Non sono partita senza dubbi o timori per "La Vuelta". Ho anche pensato di rimandare, di aspettare, è normale quando non ci si sente pronti. Poi ho deciso che sarei partita, avevo già aspettato troppo. Anche la famiglia mi ha aiutato in questo, parlandone a casa abbiamo trovato assieme il modo di affrontare questo periodo». A "La Vuelta", in FDJ-Suez, il ruolo di capitana era affidato a Evita Muzic, giovane, per le prime volte alle prese con questo compito, Cavalli si mette a disposizione, sceglie di aiutare, sulla strada e attraverso i consigli.

Il più importante? «Provarci sempre, perché nel ciclismo la fatica viene mascherata, nascosta. Guardi la tua avversaria e ti sembra stia benissimo, che sia incrollabile, invece spesso sta soffrendo, come e più di te. Se continui a provarci, prima o poi, diventa impossibile nascondere la fatica ed emergono i veri valori in campo». Ci viene spontaneo chiederle come faccia lei a mascherare la fatica, a fingere per ingannare le avversarie, lei sorride: «Bella domanda. Se ci fosse, lo direi, però non so fingere, questo è il problema. Se mi guardano in faccia, mentre sono in difficoltà, capiscono subito che quello può essere il momento giusto per attaccarmi. Per far fronte a questa situazione, ho imparato ad andare oltre il limite, a fare più fatica di quella che riuscirei a fare normalmente e a gestirla». Le è capitato ad inizio anno, in corsa, quando, scorgendo il suo stato di difficoltà, le avversarie hanno iniziato a cercare di metterla ulteriormente in crisi: «L'ho vissuta male, mi è sembrato un infierire, poi ho capito che dovevo accettare la situazione e la tranquillità di casa è stata un toccasana». Anche nella quotidianità, Cavalli si spinge sempre verso il meglio, racconta di non essere tranquilla se non mettendo il massimo in ogni situazione "però la vita di ogni giorno non pone le stesse situazioni del ciclismo, è diverso il confronto con i limiti. Credo sia anche una buona cosa, perché non penso sarebbe affrontabile una quotidianità simile a una gara di biciclette».

La Vuelta Femenina 2023 - 1st edition - Teams Presetation - 30/04/2023 - Marta Cavalli (ITA - FDJ - SUEZ) - photo Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2023

A "La Vuelta" Marta Cavalli partecipava ad una riunione dopo ogni tappa: un modo per analizzare ciò che aveva funzionato, quel che non era andato come avrebbe voluto e possibili soluzioni. A forza di farlo, ha trovato in quelle riunioni gli spunti per reagire, per cambiare ciò che si poteva cambiare. «Del Tour dell’anno scorso si è già parlato tanto, ma per me quella caduta è un segno profondo. Non era prevedibile, è stato un fatto che mi ha messo in ginocchio in un momento in cui ero nel pieno controllo della situazione. Ovvio che di quella circostanza siano restati dei residui, soprattutto a livello mentale».

A giugno, prima del Giro d'Italia, ci saranno i Campionati Italiani, in palio una maglia tricolore a cui Marta Cavalli tiene molto. Perché l'ha già indossata, nel 2018, e perché da quando corre in FDJ-Suez, una squadra francese, avverte ancor di più l'importanza dell'essere campionessa nazionale: «Soprattutto perché, adesso come adesso, varrebbe più di qualsiasi classica. Un valore che non riesco nemmeno a descrivere, se non con quello che provo pensandoci». E per quella vittoria, Cavalli non ha alcun dubbio: «Devo ricercare qualcosa dentro di me, così otterrò la vittoria». Intanto il Giro d'Italia si avvicina, un appuntamento che, se vissuto bene, potrebbe essere di slancio verso il Tour de France di qualche settimana dopo. L'atleta di Cremona ci tiene molto ed il suo pensiero va subito ai tifosi: «Mi aspettano da tanto, al Giro potranno venire a cercarmi, a salutarmi più spesso. Potrà esserci la mia famiglia ad ogni tappa, gli amici. Il Giro è una corsa che sento mia, la più lunga corsa a tappe. Farò il massimo, anche se dirlo sembra scontato. Io farò il massimo davvero». A sfidarla, le rivali di sempre, in particolare due atlete su cui si sofferma e di cui teme la poliedricità: Demi Vollering e Annemiek van Vleuten. Ma, quando parla delle due olandesi, Cavalli, in realtà, pensa ad altro.

Giro d'Italia Donne 2022 - 33rd Edition - 4th stage Cesena - Cesena 120,9 km 04/07/2022 - Annemiek Van Vleuten (NED - Movistar Team)Marta Cavalli (ITA - FDJ Nouvelle-Aquitaine Futuroscope) - photo Massimo Fulgenzi/PMG Sport/SprintCyclingAgency©2022

Un pensiero che le fa cambiare la voce e la velocità con cui racconta, un pensiero che le piace: «Le persone ci immaginano come rivali in ogni circostanza. Non è sempre così. Non molti lo sanno, ma quest'anno molte atlete del gruppo sono venute a chiedermi come stavo, a salutarmi al mio rientro in gara. In tanti si sono preoccupati per me, ma, quando lo fa chi condivide i tuoi stessi problemi e le tue stesse giornate, cambia tutto. Ha un significato diverso. Demi Vollering è venuta a cercarmi dopo una sua vittoria: "Oggi mi sei piaciuta, sono contenta di rivederti a questi livelli". Anche van Vleuten mi ha cercato: "Manca poco, Marta. Forse al Giro..."». Già, davvero un bel pensiero prima di chiudere la telefonata.


Dove eravamo rimasti

Tre settimane di Giro d'Italia, tre settimane di Alvento Daily dedicato alla Corsa Rosa, e ora, con il ritorno di Alvento Weekly, è il momento di riavvolgere il filo su tutto quel che abbiamo seguito, ma non vi abbiamo ancora raccontato. Questo pezzo, in particolare, si propone di riaprire il sipario sul mese di maggio del calendario femminile e, focalizzandosi sugli avvenimenti principali, sui loro risultati e sulle loro storie, prova ad essere un traghetto, un ponte, verso le prossime gare, in particolare verso il Giro d'Italia femminile, in programma dal 30 giugno al 9 luglio, da Chianciano Terme ad Olbia, e verso il Tour de France femminile, dal prossimo 23 luglio al 30 luglio, da Clermont-Ferrand a Pau. Manca ancora diverso tempo ma, certamente, le indicazioni fino ad ora giunte aiutano ad avere un quadro più completo della situazione, se non a livello di certezze almeno a livello di prospettive.

BENTORNATA ANNEMIEK VAN VLEUTEN

Foto: Aneemiek van Vleuten - Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2023

La realtà è che van Vleuten non se ne era mai andata e chi le pedala vicino in gruppo ci aveva avvertito già in tempi non sospetti, sul rischio, meglio sull'errore clamoroso di una sottovalutazione per la mancanza delle sue solite vittorie. Eravamo a fine aprile e il suo miglior risultato era un terzo posto in una tappa alla Volta a la Comunitat Valenciana, seguito da un quarto posto alla Strade Bianche. Non da lei, se pensiamo che lo scorso anno, nello stesso arco temporale, aveva ottenuto quattro vittorie, tra cui la Liegi Bastogne Liegi e la classifica finale della Volta a la Comunitat Valenciana, tre secondi posti, Strade Bianche, Giro delle Fiandre e Freccia Vallone, e la sensazione costante di poter decidere la corsa come e quando avesse voluto. Non era la stessa, a tratti in crisi in situazioni che dominava, ed è opportuno dirlo: probabilmente anche adesso, mentre scriviamo, non ci troviamo di fronte alla solita van Vleuten, anche se, nel frattempo, ha conquistato la classifica generale de "La Vuelta", la prima grande corsa a tappe della stagione, bissando il successo dello scorso anno. Lo ha fatto di misura su Demi Vollering, a 9", terza Gaia Realini a più di due minuti. Ma non sono tanto i distacchi a indurre a questa considerazione, quanto il modo di correre di van Vleuten, quel che non le riesce più facile come qualche tempo fa. Nel suo ruolino di marcia, continua a non esserci una vittoria di singola frazione, il miglior risultato alla Vuelta sono due secondi posti, le braccia le ha alzate sul podio, in maglia rossa, non ancora sulla fettuccia bianca del traguardo. Il punto è proprio questo: si possono individuare molte differenze fra van Vleuten dell'abitudine e van Vleuten del 2023, ma nessuna di queste differenze toglie il fatto principale: la prima grande corsa a tappe della stagione è ancora sua. Sappiamo che una capacità indubbia dei fuoriclasse è quella di reinventarsi di continuo. Quest'altra versione dell'olandese sarà diversa, però altrettanto pericolosa per le avversarie, soprattutto nelle corse a tappe in cui l'esperienza e la regolarità possono condizionare la classifica.

 

SD-WORX E IL TRIS D'ASSI: VOLLERING, WIEBES, REUSSER

Foto: Demi Vollering - Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Basterebbe l'inciso colloquiale che Silvia Persico ci ha affidato non molto tempo fa per completare il paragrafo: «Vincono sempre loro, anche se c'è la fuga, anche se sembra farcela, se arrivano loro, non c'è storia». Se non fosse abbastanza, potremmo proporvi un affresco dall'Itzulia Women, gara di tre frazioni, svoltasi dopo "La Vuelta": tre frazioni con tre vittorie di atlete Sd-Worx, doppietta di Vollering, che ha conquistato anche la classifica finale, e successo di Reusser. Di più: fra i primi tre posti dell'ordine d'arrivo almeno due atlete sono sempre della Sd-Worx. Potrebbe essere un caso? Ne dubitiamo, anche perché, spostandoci alla Vuelta a Burgos, le cose non cambiano. Cambia un'attrice, Lorena Wiebes, che fa doppietta in volata, le altre due vittorie sono di Vollering e le tappe sono solo quattro, per le altre atlete non restano che i piazzamenti. Demi Vollering, tra l'altro, era stata protagonista anche a "La Vuelta": vincendo due tappe, tra cui quella temutissima ai Laghi di Covadonga, vestendo la maglia rossa e dimostrandosi superiore alle rivali quando la strada sale, anche con pendenze proibitive. Non può essere confortante per le avversarie il fatto che Sd-Worx non finisce qui: c'è Lotte Kopecky, ad esempio, che abbiamo visto all'opera ad inizio stagione e che, pochi giorni fa, all'Internationale LOTTO Thüringen Ladies Tour è tornata a dettare la sua legge. C'è Blanka Vas, ci sono atlete che si mettono a disposizione, con la possibilità della zampata, come Elena Cecchini e Barbara Guarischi. Anche, però, fermandoci a Vollering, Wiebes, Reusser e Kopecky il dato è impressionante: possono incidere su qualunque terreno, corsa a tappe o classica, pianura o montagna, anche cronometro, con cicliste che sono nel pieno della maturità, tra i 24 e i 31 anni. Bisogna inventarsi qualcosa per batterle, soprattutto bisogna avere le gambe e che gambe.

 

MARIANNE VOS NON SI FERMA

Foto: Marianne Vos - Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Anche in questo caso, ciclicamente ci si può dimenticare del tempo che passa, perché volate come quelle che abbiamo visto da parte di Vos nella terza e nella quarta tappa de "La Vuelta" fanno davvero pensare che, in fondo, il tempo non sia mai passato. Due vittorie, entrambe in maglia di leader, ed entrambe in tappe non scontate, in tappe in cui il vento e le salite potevano fare, e, per certi versi, hanno fatto la differenza. Ha tenuto duro sulle salite e ha domato il vento: seguendo con lo sguardo, dall'alto, il modo in cui lancia la volata, si ha la netta sensazione che quel puntino rosso abbia assoluta padronanza del momento e di ogni spazio. Vince con gusto, con volate lunghe, con lo stesso ghigno sotto il casco e la potenza che, in fondo, è un suo sinonimo. Le mancava un successo di tappa a "La Vuelta", ora ne ha ben due.

RUOTE VELOCI: WIEBES, KOOL, BALSAMO E IL CORAGGIO DI CHIARA CONSONNI

Foto: Chiara Consonni (ITA - UAE Team ADQ) - Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Di Lorena Wiebes abbiamo già parlato a proposito di Sd-Worx, qui invece vogliamo focalizzarci su un altro nome che, sin dall'UAE Tour, abbiamo commentato nelle prime posizioni delle volate. Parliamo di Charlotte Kool, ventiquattro anni, team DSM, al suo sesto successo stagionale. Il mese di maggio ha consolidato la prospettiva di vederla a contendersi le volate, senza alcun timore reverenziale. Ha superato Marianne Vos e una ritrovata Chloé Dygert (ben nove volte fra le prime dieci in dodici giorni di gara da inizio stagione, con una vittoria alla Ride London) su tutte, e grazie a due successi su tre frazioni, ha conquistato la Ride London Classique. Nota di merito per Eleonora Gasparrini, miglior giovane a fine gara. Elisa Balsamo si è sfidata in velocità con Lorena Wiebes alla Vuelta a Burgos: ha battuto tutte, tranne l'olandese. Le sue volate sono sempre di pregevole fattura, purtroppo, però, una caduta nel corso della prima frazione della Ride London le ha causato la frattura del condilo e della sinfisi mandibolare, fratture per cui è stata operata negli scorsi giorni. La rivedremo presto all'opera. Capitolo particolare è quello che vogliamo riservare a Chiara Consonni che, il 7 maggio, al Trofeo Maarten Wynants, ha ottenuto il primo successo stagionale e, quindi, il primo successo con UAE Team ADQ. Risultato importante soprattutto in vista dei prossimi appuntamenti, festeggiato al modo solito di Consonni, con la felicità che assume tutti i contorni del viso. Qualcosa di ancora più importante, però, Chiara Consonni l'ha messo in mostra pochi giorni dopo, alla Vuelta a Burgos, quando, prima della partenza della seconda tappa, quella diretta a Lerma, è stata investita da un'ammiraglia, riportando un vistoso taglio al mento e la rottura di quattro denti. L'abbiamo vista in un abbraccio rassicurante con la dottoressa della squadra, ancora dolorante e, poi, decisa a partire lo stesso. Al traguardo, Consonni è arrivata, a più di dodici minuti dalla vincitrice, ma è arrivata. Quel ritardo misura la sua tenacia, la sua resistenza. Quello che l'ha fatta ripartire anche il giorno dopo. Quello che le ha fatto dire: «Non mi piace mostrarmi così, ma è stata una giornata difficile». Il coraggio di Chiara Consonni.

LE MONTAGNE DI REALINI, MAGNALDI, PERSICO E PALADIN

Foto: Annemiek Van Vleuten (NED - Movistar Team) Gaia Realini (ITA - Trek - Segafredo) - Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Per motivi diversi ed in tempi diversi, ma per le azzurre sembra essere questo, in base alle gare di maggio, il poker che meglio figura quando la strada sale. Gaia Realini è in ascesa da inizio stagione: la giovane età, ventuno anni, e il passaggio in una realtà come Trek Segafredo, esaltano quotidianamente le doti che Realini ha sempre posseduto. Non a caso, il suo primo podio in una corsa a tappe, terzo posto, avviene a "La Vuelta", dove sono le montagne a farla da protagoniste. Avvincente la sua corsa e più che mai avvincente la sua vittoria nella sesta tappa, in una volata sul filo dei millimetri con Annemiek van Vleuten e una giornata all'attacco. Lodevole la sua capacità di gestirsi e difendere, si fa per dire perché la sua condotta di gara è votata a lasciare il segno, con un notevole secondo posto ai laghi di Covadonga, dietro Vollering, davanti a van Vleuten, il terzo posto nella generale. Il duo Magnaldi-Persico, in casa UAE-ADQ, è garanzia di presenza in arrivi dalle pendenze verticali: è mancato il graffio su questi tipi di arrivi, ma nella top ten o lì vicino, loro ci sono sempre. Fa piacere per Magnaldi che negli ultimi mesi stiamo vedendo a buoni livelli, dopo l'intervento all'arteria iliaca dello scorso autunno. Segnali importanti da Silvia Persico che, dopo aver battuto Vollering, alla Freccia del Brabante, vorrebbe batterla anche in salita: la tattica pare essere quella di non assecondare gli scatti ma di rispondere del proprio passo e tornarle vicina; così ha conquistato il terzo posto nell'ultima tappa della Vuelta a Burgos. Soraya Paladin è ad un passo dalla vittoria, questo potrebbe essere il titolo di un racconto a lei dedicato. All'attacco, combattiva, da numero rosso e maglia delle scalatrici alla Vuelta a Burgos, su e giù dal podio per ritirare i premi, con il rammarico per quella vittoria che sfugge sempre di un niente, pensiamo al secondo posto dietro a Vollering nella seconda tappa dell'Itzulia Women e a molte altre prestazioni che avrebbero meritato un finale diverso. Ma Paladin insiste e a forza di insistere... completate voi la frase.

ALTRE NOTE

Itzulia Women 2023 - 3rd Stage - Donostia - Donostia 114 km - 14/05/2023 - Marta Cavalli (ITA - FDJ - SUEZ) - photo Rafa Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Marta Cavalli sta lavorando per tornare. Non per tornare in corsa, per tornare Cavalli 2022, che potrebbe essere un marchio per le emozioni che ci ha regalato, per l'orgoglio che ci ha consegnato. Una corsa a tappe di lunga durata, come "La Vuelta", può donare resistenza e continuità, questo cercava la cremonese e per questo la sua prestazione non va valutata con i numeri, ma con le buone sensazioni che, a tratti, dice di aver provato ancora. Il tempo, serve solo il tempo per lei. Intanto attendiamo anche il ritorno in corsa di Elisa Longo Borghini, in questi giorni in ritiro sulle Dolomiti. Di questo maggio resta anche Shirin van Anrooij, miglior giovane della Vuelta a Burgos, seconda in classifica generale, che nelle tappe più difficili si è sempre messa in mostra, le buone prestazioni di Riejanne Markus, di Évita Muzic, sesta in classifica generale a “La Vuelta”, a ventiquattro anni e ad uno dei primi banchi di prova come leader della squadra e di Loes Adegeest che, dopo la vittoria a sorpresa alla Cadel Evans Great Ocean Road Race, sta dimostrando di poter avere il colpo anche per tappe nei grandi giri, resistendo bene in classifica (quattordicesima a "La Vuelta"). Resta anche molto altro, vi abbiamo parlato di alcuni fra le storie principali, ma, non preoccupatevi, torneremo anche sul resto


Un altro ultimo giorno di scuola

La felicità alla fine. L'ultimo giorno del Giro d'Italia, l'ultima tappa del Giro d'Italia, l'ultima volta al Giro d'Italia, almeno da ciclista, per Mark Cavendish. Lo aspettavamo già qualche giorno fa, è arrivato oggi. Una volata lunga, eterna, verrebbe da dire, pensando alla Città Eterna: vince per distacco, in quel gesto che ha fatto chissà quante volte in carriera e chissà quante volte rifarà, per scherzo, per gioco quando, a fine anno, smetterà. Almeno questo è un piccolo augurio: di poter vivere la volata come un gioco, con i figli, magari perdendo o fingendo di perdere, come fanno molti adulti, come potrà fare Cavendish. Eterna la città, Roma, ed eterna la volata, perché la velocità di due ruote che scorrono ed il vento in faccia sono un linguaggio universale. Una forma di espressione, quando la voce si spezza, quando non si sa cosa dire perché si sta provando troppo e tutto assieme. È la situazione di Cavendish, ma è possibile parlare in molti modi ed è, forse, un bene che non ci siano solo le parole per esprimersi. Che ci sia una volata o uno scatto in salita. "I vecchi amici", di cui Cavendish parla, queste cose le sanno.

C'è quel che è eterno e quel passa. Spesso si parla di ultimo giorno di scuola a proposito dell'ultimo giorno del Giro d'Italia ed è vero. Lo sentiamo in questi giorni più che mai ed è raro, difficile. Perché tutti sappiamo come ci siamo sentiti in uno qualunque dei nostri ultimi giorni di scuola, come abbiamo percorso a piedi o in bicicletta l'ultimo tragitto verso casa, pensando che lunedì non ci sarebbero state verifiche, interrogazioni, pensando ci rivediamo a settembre. A fine Giro d'Italia ci sembra di avere questa sensazione davanti agli occhi, la vediamo in ogni ciclista, che pensa al ritorno a casa, che pensa al fatto che, comunque sia andata, oggi si può essere felici, al resto si penserà poi, che, comunque sia andata, si è arrivati alla fine. Ci pensavamo guardando quegli abbracci di Cavendish dopo la vittoria: quell'abbracciare e riabbracciare, quel godersi il finale, quel lasciare da parte tutto il resto. Ci pensavamo vedendo la felicità di Roglic, l'orgoglio e la dignità del secondo posto di Thomas, Ackermann, caduto sui sampietrini, al traguardo abbracciato dai compagni. Domani si potrà riposare. Per noi la scuola è finita da tempo e oggi quella sensazione ci manca. Vorremmo un altro ultimo giorno di scuola. Uno solo.

Vederlo nei ciclisti ci ricorda che il Giro d'Italia, che tre settimane fa era un appuntamento, è diventato un'abitudine. Non è cosa da poco: perché se l'appuntamento diventa abitudine vuol dire che si è stati bene, che ci si rivede, ci si conosce, si sa qualcosa di più di quel che si è incontrato. Il Giro è diventato una forma da dare alla giornata, ai pensieri, talvolta un modo di scacciarli, di incontrarsi. E domani? Domani torneranno tante cose che ci eravamo scordati, tante cose che avevamo rimandato. È una nostalgia particolare, una nostalgia di quel che si è vissuto e di quel che ancora si dovrà vivere. Perché maggio torna ogni anno e, con maggio, il Giro, eppure ogni anno è la stessa storia. Non ci si abitua mai. Allora viviamo questa nostalgia, viviamo quel che ci manca e di cui attendiamo il ritorno. Senza sfuggirle. E, chissà, forse, in qualche modo, tornerà anche per noi un altro ultimo giorno di scuola.


Nel giorno in cui tutto si decide

Forse, il giorno in cui si decide tutto è un giorno come oggi. Un giorno normale, in cui lassù, sul Lussari, si può guardare il paesaggio, sdraiarsi su un prato e, con un panino in mano, pensare che oggi c’è il Giro e domani è domenica. Un giorno ordinario in cui qualcuno si alza dal letto più leggero e qualcun altro, invece, sente un peso e non capisce da dove viene. Un giorno in cui ci si chiede se sia più difficile rischiare di ottenere quel che si è sognato a lungo, sempre vicino ma mai completamente vero, oppure rischiare di perderlo, dopo averne fatto realtà per tanti giorni. Perderlo proprio nel giorno in cui tutto si decide.

Da una parte Primož Roglič, dall’altra Geraint Thomas. Il giorno in cui tutto si decide nasce da una notte in cui ancora tutto è sospeso, in cui ancora tutto è possibile. Da una notte come le altre per i più. Ma le notti del giorno in cui tutto si decide sono solo nostre, come ogni notte e ancora di più. Nel giorno in cui tutto si decide si vede qualcuno che ride, che fa colazione, che sbriga un’attività come le altre, che parla con qualcuno accanto alle transenne, mentre aspetta. Tutto normale, come gli altri giorni al Giro d’Italia, ma se è il giorno in cui tutto si decide quei gesti sembrano diversi, avvolti in una strana ansia. Qualcosa che ricorda la più grande felicità e la più profonda delusione.

Nel giorno in cui tutto si decide la strada sale, ripida, aspra, pungente. Il sudore cade ritmato, la pelle brucia, il respiro palpita, i muscoli fremono. Le gambe lottano. Perché è il Lussari, perché è il concetto di verticale, di salita, di montagna, di cima, di vetta. Perché è tanto difficile per Thomas lasciare un sogno che ha vissuto e a cui creduto per molti giorni, quanto per Roglič rischiare di ottenere quel sogno. È avere a che fare con i sogni, grandi o piccoli che siano, che è difficile, questa è la realtà. La fregatura è che basta un sogno e un poco ci si crede. Non è vero che i sogni sono cose lontane, immateriali, nebulose, di un altro universo. Se lo sono, lo sono solo per qualche istante. Poi sono così vicini che basta intravederli per crederci. E i ciclisti questo lo sanno bene.

Per questo, nel giorno in cui tutto si decide, un addetto alla sicurezza, applaude Roglič e poi Thomas. Li fissa cercando di capire qualcosa in più di quel che passa quando passa la loro bicicletta. Perché, forse, lunedì sarà per quell’addetto il giorno in cui tutto si decide. Almeno uno, capita a tutti. Spesso più di uno. Il giorno in cui tutto si decide è un giorno in cui ci si crede e si smette di crederci decine di volte. Come quando cade la catena a Primož Roglič, dopo una buca, e il giorno in cui tutto si decide diventa una condanna, diventa il peggior incubo che hai avuto, diventa la tua paura di sempre. Come quando Roglič ha ancora vantaggio, sempre più e la realtà persa di Thomas è il suo sogno realizzato. La maglia rosa è sua.
Il giorno in cui tutto si decide è un giorno come oggi. In cui tutto sarebbe potuto restare uguale invece cambia. In cui Roglič è a pochi chilometri dalla conquista del Giro d’Italia. L’ultima tappa è quasi sempre una passerella, ma c’è. C’è un altro giorno, anche nel giorno in cui sembra si sia deciso tutto. Lo diciamo per Thomas. C’è un altro giorno, non per cambiare le cose, magari, ma per andare avanti. Anche dopo il giorno in cui tutto si è deciso.