La storia che vi raccontiamo oggi parte dalle vie del mercato di Torino, accanto all’Arsenale della Pace. Lì dove c’erano le armi, ora c’è un punto di ritrovo per madri sole, carcerati, stranieri, per tutti coloro che hanno bisogno di cura o di lavoro. In una piazzuola c’è un albero col tronco tinto dei colori del tramonto. Noi chiediamo il perché ad Aza, una ragazza eritrea che passa di lì. «Mia madre- ci spiega- mi raccontò che in un villaggio, da noi, si dipingevano le cose dei colori che le nutrivano, che le facevano star bene, e questo era un atto di cura. Non so, magari è successa la stessa cosa qui».
Qualche passo assieme, parlando, poi Aza fissa la bicicletta di un ciclista in ricognizione e noi le chiediamo se le piacciano le biciclette. Lei ci racconta della sua di quando era bambina: «Aveva un cesto davanti, anche qui si usa e le donne ci mettono la borsa. Il mio cestino era di vimini ed i vimini li avevo intrecciati io. Alcuni erano completamente sfilacciati e si lasciavano andare». Eppure spiega di non aver mai pensato di cambiarla e, se oggi non l’ha più, è solo perché gliel’hanno rubata.

La bicicletta di Aza non aveva nulla a che vedere con quella di Filippo Ganna, di questo siamo certi. Aza non conosce neppure Ganna e certamente neanche Ganna la conoscerà. Eppure, quando abbiamo sentito parlare la prima maglia rosa di questo Giro d’Italia, ci è tornata in mente proprio lei.
Ci è venuta in mente quando Ganna ha ricordato le polemiche dei giorni scorsi. «Ho sentito molte parole negli ultimi tempi. Ho preso tanti schiaffi negli ultimi tempi ed è giusto così. Qualche volta cedi, è normale. Sei un uomo e gli uomini si stancano, si fermano. Se non cedi mai, qualcosa non va». E poi ha aggiunto: «Certo che, quando leggi o senti certe cose, ci pensi e quando ci pensi ti blocchi, ti chiedi perché si dicano quelle cose».

Ci è venuta in mente quando Ganna ha raccontato della sua squadra di quest’anno e dell’anno scorso. «L’anno scorso ci siamo uniti quando è successo l’incidente a Geraint Thomas. Eravamo in ginocchio in quel momento e dovevamo trovare un modo per ripartire. Se non fosse accaduto, sarebbe stata la fine. Siamo stati bravi a capirlo, siamo stati coraggiosi a ricominciare». E, sorridendo: «Nei momenti difficili accadono cose bellissime. Ora sono contento di questa maglia, ma venti tappe sono tante e magari verrà il momento in cui i miei capitani faticheranno e dovremo supportarci ed anche sopportarci perché quando le cose vanno male si è tutti più nervosi. Bisogna accettarlo ed imparare a fare il proprio dovere divertendosi, anche quando è più difficile».

Ed in fondo è tanto difficile da mettere in pratica ma è così logico, così naturale. Come per la madre di Aza dipingere un albero per prendersene cura, come per Aza quel cestino di vimini sfondato. Siamo noi a complicare tutto, anche questo dice Ganna. Aza non lo dice, ma dal suo sguardo si intuisce. Per questo Aza e Filippo Ganna si somigliano. Perché sanno che molte cose sono semplici e vanno vissute così, in modo genuino, leggero. Per se stessi prima di tutto.

Foto: Luigi Sestili