Torino si leva avvolta da una crepuscolare afa mattutina. I corridori si svegliano, brillano e fibrillano come al loro primo giorno di scuola. Qualcuno al Giro fa il suo esordio, altri hanno la pelle segnata da cicatrici e il motore temprato da pedalate su pedalate che messe in fila li potrebbe forse condurre fino alla luna.
Il Giro non si sposta dalla sfida tra il nuovo e il vecchio tanto in voga di questi tempi. I più giovani scalpitano e se non sarà per oggi ben venga la prossima volta. I meno giovani gestiscono, ma hanno imparato a memoria le regole del gioco. Lo sport è esercizio crudele e prima o poi arriva il crepuscolo.
Scriveva Katherine Dunn: “uno sportivo passa una vita intera a sviluppare doti che si trasformano nella sua identità, ma quando arriva il tempo di smettere quella persona è ancora giovane, e deve diventare qualcun altro”. Non ditelo a chi vede il proprio tempo agonistico scivolare via e magari annaspa nelle zone d’ombra, poiché se è qui lo fa per lasciare il segno. Come Nibali che si difende bene oggi, o Pozzovivo, grande come un pollice, che a conti fatti segna uno dei migliori tempi tra chi vuole far classifica.
La crono è esercizio così crudele da poter strappare via il veleno da un cobra: conta andare più forte del tuo avversario contro cui però non combatti fianco a fianco, e ti devi affidare al tempo, alle lancette: lo chiamano il tic-tac. Ti fai guidare dalle sensazioni, e resisti alle urla dall’ammiraglia e se potessi ti gireresti per mandare tutti al diavolo.
La crono è esercizio speciale, è strumento per specialisti, come specialista è Cavagna. Arriva dall’Alvernia, Francia, Massiccio Centrale. Lui, massiccio, ma meno di tanti altri. Dice di amare la cucina e infatti lo trovi spesso col grembiule a cucinare torte e lasagne, dice di amare il formaggio così diffuso dalle sue parti, ma di doverne fare troppo spesso a meno.
Un velo di nuvole, come la mano affievolita di un gigante, copre il cielo, poi stringe il pugno e all’improvviso torna il sole, mentre si susseguono arrivi e partenze con cadenza musicale. La gente (tanta) in strada è mascherata dietro le transenne, ma non nasconde l’emozione nel veder passare cenobiti con casco e occhiali.
I body dei corridori fanno rabbia per quanto sono perfetti, come i loro quadricipiti scolpiti e le bici che sembrano arrivare da un mondo distopico. Dekker, giovane figlio d’arte, segna il miglior tempo, poi tocca ad altri: Campenaerts, Kluge, Castroviejo, Brändle, Foss, Affini, in una esorbitante litania di nomi e cognomi, di vecchi e giovani, di significati e assonanze.
Quando parte Cavagna, parte uno dei favoriti, ma negli ultimi metri barcolla come ubriaco e straziato dall’agonia: resta dietro Foss. Quando arriva Affini c’è da sgranare gli occhi: per carità, forte è forte, ma oggi lui e la sua Cervélo erano razzo e pilota.
Per Ganna si alza un urlo: in partenza, sul percorso, all’arrivo, quando fa segnare lui in maniera definitiva la migliore prestazione.
Spinge: pare un ossesso dopo ogni curva. Prende rischi che non prende nessun altro, pennella come in uno slalom gigante tra le porte della Gran Risa. Perfetto in quella posizione ineccepibile, dalla punta delle dita fino all’ultima delle pedalate. Cresce di colpi, meraviglioso specialista contro il tempo, quando conta. Come un fuoriclasse, in quella livrea iridata che oggi torna a far scintille dopo un periodo con le polveri un po’ spente.
E intanto, mentre l’ultimo arrivato taglia il traguardo, il sole cala, la prima nottola sbatte le ali e Filippo Ganna, oggi ancora più gigante di un gigantista, sale sul palco per festeggiare la sua maglia rosa. La luce assume timidamente i primi contorni del crepuscolo, tempo per parlare di classifica, vincitori e vinti ci sarà. La corsa si erge e poi cala, questa di oggi è solo l’alba, è solo l’inizio del Giro d’Italia.