Modena è già avvolta nel primo buio, è fine dicembre, contiamo i pochi minuti che si iniziano ad aggiungere alle giornate. Stiamo pensando a una canzone, “Luci a San Siro” di Roberto Vecchioni: la musica parte, noi ascoltiamo tutto, ma cerchiamo quella frase che, poco prima, all’interno dei locali di Bensone, ci ha detto Ennio Sitta, proprietario di questo design shop, in via Levizzani 9. Sembra una poesia, sul finire della quarta strofa, eccola: «E se hai le mani sporche che importa, tienile chiuse e nessuno lo saprà». Era il primo pomeriggio e tutto era iniziato come sempre, in questo viaggio di strade, porte che si aprono, telefoni che squillano e parole: «Potrei dirti che la cosa che mi piace di più, quando sono qui, è disegnare, ma cosa sia un design shop non lo spiegherei nemmeno così. Però, certamente, la componente dell’arte in quello che facciamo è predominante ed io disegno da quando avevo circa tre anni e mezzo. Ai miei genitori avevo chiesto di iscrivermi all’Accademia di Belle Arti, solo una frase, lapidaria, in risposta: “No, non se ne parla nemmeno. Di arte non si vive, lo capirai presto”. La mia rivincita verso il mondo è iniziata quel giorno, perché volevo davvero fare l’Accademia». Il papà di Ennio è architetto e pittore: «Iscriviti all’Istituto per geometri, impara e, poi, vieni in studio da me. Ti prometto che avrai lo spazio per realizzare il tuo spirito». No, Ennio non è mai andato in quello studio, papà ci è rimasto male, lo sa, ma lui non poteva, aveva altro in mente, qualcosa di più simile all’arte, pura, intatta. Il signor Sitta, ora, ha novantasei anni, ma, nei pomeriggi che passa con il figlio, discute ancora di cosa sia l’arte e, tutt’oggi, non la pensano quasi mai allo stesso modo.

All’Accademia di Belle Arti, Ennio ha, in realtà, studiato, attraverso alcune borse di studio, mentre lavorava: «Ho cinquantanove anni, quando ero giovane c’era meno democrazia nelle famiglie. Alla fine, hanno accettato che quello fosse il mio destino, è come se mi avessero chiesto di dimostrare quanto ci tenevo ed io l’ho dimostrato. Li ringrazio». Non molto tempo fa, proprio il figlio di Sitta, diciannove anni, ha voluto iscriversi ad un corso biennale di fotografia: «Sarà il suo lavoro? Chissà, ma mi sono rivisto ragazzo ed ho sentito il dovere di agevolare il suo percorso. I miei genitori, all’epoca, non lo fecero, ma erano altri tempi». Già, ma, tornando indietro negli anni, dopo il ricordo di quella rivincita, c’è il ricordo del lavoro alla libreria d’arte Panini, dove la carriera artistica si trasformò in una carriera in negozio. L’eco di Vecchioni risuona qui. «Ora lo sporco non è più solo nelle mani, che potevo nascondere, ma su tutto il corpo: uno sporco che mi piace, di pittura, di disegni. In Bensone, resto in braghette corte a dipingere e non so da quanto tempo non compro un vestito nuovo, perché non mi serve. Quando Nicolas Sarkozy e Angela Merkel arrivarono a Modena, Massimo Bottura, dell’osteria della Francescana, mi chiamò per scrivere i nomi dei segnaposti, come sapevo fare. Mi presentai con questo sporco addosso e senza documenti. Scrissi così quei nomi, mentre gli addetti della segreteria mi passavano i cartoncini. All’inizio, però, quel cambiamento ne implicò molti altri». L’arte, continua Sitta, si mantiene nel tempo perché racchiude un messaggio di verità, anche intima, non per forza pubblica, ma pur sempre verità. L’arte non paga il compromesso al gallerista, al pubblico che vuole quella determinata cosa: qui c’è l’imperfezione nell’applicazione che ne fa Ennio: «Noi facciamo anche questo, la mia arte ha tolto tanta parte del dedicato a me, per diventare punto di ascolto, di conoscenze, qualcosa di diverso rispetto a ciò che si vede in giro». La storia parte da quella libreria d’arte Panini che presto aprì una cartoleria a Modena e acquistò un’azienda storica di produzione di biglietti da visita e carta intestata, di Firenze: Sitta venne trasferito nella cartoleria di Modena, non senza dubbi e perplessità, in un vero e proprio terremoto emotivo, perché avrebbe voluto restare in libreria. Mesi dopo, girava per la città con una macchina fotografica e fotografava spesso il Duomo.

L’idea di dedicare una penna al Duomo arriva proprio così, nel momento delle penne numerate, delle Montblanc: ne venderà novecento, spesso a personalità importanti, in giacca e cravatta, e tutto cambierà un’altra volta. Nel 2007 venderà quel negozio e nascerà Bensone, in una zona non centralissima della città: «Un luogo che coniuga la tradizione con quel che ci piace fare. Un luogo dove i clienti sono spesso persone a cui, al mattino presto, vado a comprare le arance ed il prosciutto al mercato. Qualche volta li tratto anche male, scherzando, ma sanno come sono fatto, il rispetto profondo che ho per chiunque arrivi qui: mi hanno sempre perdonato tante volte. La mia serietà deriva dalla leggerezza con cui prendo le cose del mondo». Nel 2018 Bensone fa casa dov’è tutt’oggi: si amplia, si aggiunge la caffetteria «che tanto voleva la Veronica», la moglie di Ennio e, poco tempo dopo, anche le biciclette. Come in un flashback, Ennio Sitta torna ragazzino, quattordicenne, in Liguria, in una casa delle vacanze, sul mare, con una finestra affacciata su una curva: stava lì ad ascoltare il rumore, il suono, delle bici da corsa quando giravano quella svolta. Il padre gli comprerà una bici da corsa al suo ritorno a casa: lui, intanto, continuava a giocare a pallone e quando usciva in bicicletta aveva una canottiera con scritto, in inglese, Top One: «Non sapevo l’inglese, così leggevo “topone” e mi chiedevo come mai quel nome per me, che non ero alto o grosso». Una risata convinta e il racconto torna a fluire: «Ho sempre trovato grande affinità con quello che rappresenta la bici: a mio avviso equivale alle ali della libertà. Parlo di un mezzo ideale per godere di quello che ci circonda, per sentirsi liberi di esprimersi». Ennio Sitta preferisce la salita alla discesa, ama stare da solo, il gravel e la dimensione del viaggio, in cui confluiscono tutti i suoi allenamenti: Veronica
ha una bicicletta a pedalata assistita con cui l’anno scorso ha fatto il primo viaggio, assieme a lui, quest’anno il progetto è una pedalata da Dobbiaco fino in Slovenia.

All’interno di Bensone, oltre alle biciclette, tre brand, e alla caffetteria, oggettistica varia, «prodotti che troviamo o che ci trovano, in un modo o nell’altro. Nel nostro caso non è l’impronta commerciale a farceli scegliere, ma la bellezza della cosa, la qualità o l’idea che si annida dietro al prodotto. Per esempio, guarda quel gin fatto con il fieno della Val Casias. Sono chicche di eccellenza che, spesso, non sono ospitate nei negozi specializzati». La bicicletta resta uno degli strumenti più amati da Sitta: anche i suoi artisti preferiti pedalavano o, comunque, avevano un legame più o meno stretto con le due ruote. Della possibilità di un negozio simile, di un design shop, per l’appunto, ha saputo grazie a una pagina instagram, dedicata ad un locale di Parigi che ha avuto l’occasione di visitare, trovandosi in Francia per una fiera, ed inizialmente la bici era stata ideata con la formula del rent a bike dal centro storico, durante il periodo del Covid: «Non sapevo proprio nulla di questo mondo. Di tutti i piccoli riti dei ciclisti, di quanto la bici assuma una sorta di sacralità per gli appassionati, dei loro giri e della voglia di raccontare. Qualcuno arriva qui apposta per quello, per narrare un suo viaggio agli amici ed io, ultimamente, ho solo amici ciclisti. In questo modo ho imparato qualcosa in più della bicicletta, della sua capacità di restituire quello che si è disposti a darle». Come spiega Sitta, è difficile conoscere Bensone solo attraverso il racconto, bisogna viverlo per sperimentare l’andare e venire, i caffè, gli incontri, i dipinti, le riviste, le pedalate. Allo stesso modo, è possibile comprendere la responsabilità ed il coraggio di cui Ennio parla: due sentimenti vissuti quotidianamente, ma resi normali, d’abitudine, cosicchè se gli si chiede di individuare un momento di particolare coraggio negli ultimi anni, fatica ad individuarlo: «Forse il più importante è stato il momento in cui ho deciso di fare anche magliette speciali, dedicate a qualcuno o qualcosa. Ricordo che, la prima volta, ne acquistai diecimila, a prezzi esorbitanti. Beh, per diversi giorni mi sono chiesto se sarei, poi, riuscito a venderle, ma sono eventi particolari, per il resto un’attività del genere comporta un coraggio e una responsabilità giornalieri». Non tutti lo chiamano Ennio Sitta, qualcuno lo soprannomina Dottor Stamp, sarà per i dodicimila timbri, utilizzabili su qualsiasi struttura, che Sitta ha ideato e progettato, quando ancora l’uso del timbro non era così diffuso.

In serigrafia c’è un detto: «Chi si ribella si autoproduce». Sitta ha fatto così, con un pezzo di gomma e un tampone: «Di fatto, ho industrializzato un’idea. Resterà anche dopo di me, per i miei collaboratori e per chiunque vorrà utilizzarla». Attraverso quell’idea sono nate magliette che hanno catturato l’attenzione di tutti: su tutte quella dedicata alla collina di Puianello, vicino a Modena, particolarmente amata dai ciclisti, con la scritta “Puianello state of bikes”. Ma l’arte di Ennio Sitta è multiforme: recentemente ha dipinto, insieme alla moglie, il garage di Michil Costa, a Corvara, con pennarelli e pennelli. I percorsi in bici da queste parti, però, sono molti, con un occhio particolare al gravel, per la presenza degli argini dei fiumi Secchia, Panaro e Tiepido, verso Vignola, la terra delle ciliegie, verso Peschiera o verso i boschi. In città, invece, c’è ancora molto da lavorare per consegnare alle nuove generazioni una realtà davvero a misura di bicicletta, nonostante a Modena quasi tutti si spostino in sella: «In un mondo in cui si rincorre la velocità, gli automobilisti dovrebbero capire che più ciclisti ci sono, più veloci sono gli spostamenti. I ciclisti non fanno del bene solo alla propria persona, questo è un tema. Altro tema è la città del futuro, ci penso spesso: ognuno può influire sulla città che viviamo attraverso scelte, relazioni, decisioni, non è un fatto da poco. Forse si potrebbero stendere delle linee guida del cambiamento, con le idee di ciascuno, in modo da partecipare in maniera attiva al cambiamento». Dal 2024, Bensone, probabilmente, terrà meno prodotti, meno oggetti, ma vi dedicherà ancora più cura, più attenzione, più precisione, cercando di crescere, come fanno le persone, di anno in anno: «Penso che il negozio sia un bel negozio, ma sia rimasto ancora adolescente. L’adolescenza è una bellissima età, pur con tutte le sue difficoltà, ma resta un passaggio e diventare grandi è necessario. Essere adulti significa, anzitutto, acquisire consapevolezza e Bensone dovrà capire quel che ha fatto e quello che potrà ancora fare. Solo così riuscirà veramente a realizzarsi».
A Modena è ormai sera, “Luci a San Siro” è alle ultime note, ancora qualche istante ed inizieremo a scrivere tutto quello che abbiamo ascoltato.