Andare sul percorso del Giro d’Italia è un’esperienza unica. Si entra davvero in contatto coi corridori, ti passano lì a un metro. Si vive la corsa in modo diverso, ci si sente parte di un sistema più grande, si trascorre una giornata stupita e sognante. Tutto vero. Ma seguire il Giro è anche un grattacapo logistico non da poco: dove appostarsi? Quando partire? E le strade quando vengono chiuse? Si potrà comunque salire in bici?
Ci si organizza, quindi, in più persone. Si fanno macchinate, si caricano nel baule casse di birra, si parte. Non ho dovuto preoccuparmi di come raggiungere Prati di Tivo perché purtroppo al Giro ci lavoro e mi ha dato indicazioni un collega-passeggero; ma ecco, la tappa di ieri, se fossi stato un “tifoso semplice”, l’avrei vista come segue. È un piano forse pazzo e sconsiderato, simile al modo in cui Romain Bardet ha affrontato i primi chilometri della tappa di ieri, ma ci avrei perlomeno provato, a costo di dormire in un sacco a pelo alla fermata dell’autobus di Pietracamela. Ecco il piano, e se qualcuno per caso l’ha realmente messo in atto, per favore mi scriva, scriva ad alvento: vorrei abbracciarlo.
Raggiunto in qualche modo Campo Imperatore (chiusa la funivia di Fonte Cerreto, si potrebbe pensare di arrivare lassù in bici), una decina di chilometri separano l’arrivo della settima tappa del Giro 2024 a Prati di Tivo. La questione, evidentemente, è cosa si trova in questi dieci chilometri. Per chi ama la montagna, più o meno il paradiso. Le foto di questi luoghi d’estate – i rifugi Duca degli Abruzzi e Garibaldi, Picco Confalonieri, il profilo dei monti Aquila e Portella – sono incredibili per quanto brulle, remote e inaccessibili risultino le valli, solcate solo da un sottilissimo sentiero battuto a malapena. Certo, non si tratta dei dieci chilometri più agevoli e lineari del mondo. Perché dunque avventurarsi fin qua per una tappa del Giro d’Italia? Perché non sfruttare le comode navette messe a disposizione dall’organizzazione?
Tutte domande valide, obiezioni ce ne sarebbero mille. Ecco, avessi avuto la certezza di una traversata in totale sicurezza, sarei andato in questo modo al Giro perché è l’inutile sofferenza che avvicina ancora di più alla corsa. È fare dieci chilometri a piedi tra le sassaie abruzzesi che accomuna la nostra piccolezza alle fatiche dei corridori professionisti che, poche ore dopo, andremo ad incitare. Se avete mai seguito una corsa da una di quelle orrende aree hospitality, sapete di cosa sto parlando: che noia dev’essere guardare ciclisti fare sforzi sovrumani mentre si sorseggia un bicchiere di vino. Per carità, è una comodità che attira, forse irrinunciabile, ma seguire il Giro dal vivo non è quella roba lì.
E poi certo, si può anche guardarlo dalla tv. Il ciclismo visto dal divano è fantastico, il miglior ciclismo forse. Spesso però sentiamo il richiamo della strada, quella voglia un po’ masochista di gridare in faccia alle montagne il nostro amore per le biciclette che vi si arrampicano. Così, camminando per chissà quale sentiero sulle montagne abruzzesi, ci sentiremmo anche noi un po’ meno soli.