«La realtà è che il momento giusto per partire, se si ponderano tutte le possibilità, non esiste. L’unica via, se davvero si vuole quella partenza, è creare quell’istante e andare, anche se, attorno a noi, non c’è nulla di perfetto». Parole di Andrea Incarbone, ventidue anni, che, domenica 21 aprile, è montato in sella alla sua bicicletta, uscendo dal garage della sua casa di Torino ed è partito, direzione Adelaide, direzione Australia. Sì, dall’altra parte del mondo e ci arriverà esattamente come ha messo piede fuori da casa, in bicicletta. Saranno circa 22000 chilometri, saranno circa undici mesi di viaggio, attraversando il pianeta. Due ombre: la sua e quella di Giacomo Perone, amico fin dai tempi degli Scout e di quel giro in bicicletta, diciotto giorni, fino a Palermo, dopo la fine della scuola, in estate. Andrea e Giacomo, entrambi facenti parte dell’associazione “Centoventuno”. Da qualche parte, nelle loro menti giovani, c’era già l’idea di un altro viaggio, ben più lungo, non di giorni, ma di mesi, forse anni, attraverso i continenti. Ma il mondo è enorme e le situazioni che lo pervadono non sono governabili da due ragazzi: così, sì, sono arrivati a Capo Nord, dopo un mese e mezzo di pedalate, nel gelo, nel freddo, ma quel sogno originario non l’hanno mai iniziato per davvero. Almeno fino al 21 aprile, nonostante ancora oggi le cose non siano facili, o, forse, siano più difficili di sempre. Per lunghi giorni, l’entusiasmo è stato spento da ciò che è accaduto ultimamente in Iran: bisognava tracciare nuovamente una parte del percorso, passando dalla Turchia, dall’India, poi volando verso la Cambogia, il Vietnam e recuperando in quelle terre circa seimila chilometri, quasi cancellati dalla storia piombata su di loro. Non era questo ciò che avrebbero voluto. Poi, d’improvviso, qualcosa è tornato ad accendersi, una nuova soluzione: l’Himalaya, la Turchia, la Georgia, il Kazakistan, Nuova Delhi, l’India e via su quel tragitto.

Torino-Adelaide, in poche parole. Solo due a dire il vero. Torino perché è la città di casa, Adelaide perché è il punto più distante raggiungibile, togliendo la Nuova Zelanda, passando da Darwin e dal deserto australiano. Inoltre anche Adelaide ha qualcosa di familiare, perché proprio lì abitano dei parenti di Giacomo e arrivare, fermare le ruote ed i pedali della bicicletta, sarà, in un certo senso, tornare a casa prima di tornarci davvero. Si parte in primavera, l’unico modo per evitare la stagione delle piogge, si parte con il necessario, ben consapevoli che percorrere più di ventimila chilometri significa cambiare set-up della bicicletta più volte: «Immaginiamo tre macro aree: le attrezzature invernali le avremo con noi per la parte più fredda d’Europa, per i deserti freddi e per l’Himalaya. La prima cesura sarà Nuova Delhi, quando spediremo a casa tutto il materiale invernale, sarà un passo fondamentale in vista del deserto australiano dove avere le borse vuote sarà fondamentale per caricare più provviste possibili. Per il resto, fornellini, vestiario, attrezzi per aggiustare la bicicletta, tende, powerbank, attrezzature per riprendere, videocamere. Sarà abbastanza». La voglia di arrivare all’Himalaya è tanta, e preme, brucia, come il desiderio di vedere con i propri occhi l’India, un paese che spesso ci si immagina, da lontano, oppure la curiosità per il deserto australiano, eppure Andrea, ormai, sa qualcosa in più dell’essenza reale del verbo viaggiare per fermarsi alla scelta di un luogo, quando gli si chiede quale sia il punto del percorso cui maggiormente anela il suo animo: «Quando hai davanti mille chilometri, diecimila, ventimila, c’è sempre la tentazione di dire: “Quando arriverò lì, sarò felice”. Come se quella fosse, per noi, la fine del mondo, il desiderio più bello da realizzare. Si potrebbe fare un elenco di luoghi che vogliamo raggiungere, ma non saranno mai quelli a fare davvero la differenza nel nostro viaggio. Mi spiego meglio: il senso del viaggio lo si incontra, per caso, in un qualunque posto, spesso in uno di quelli che nemmeno avevamo considerato, totalmente diversi ed inaspettati».
Questa visione è, senza dubbio, influenzata dall’aver conosciuto la bicicletta e dall’aver imparato, piano piano, tanti suoi segreti, a partire da quelli meccanici, soprattutto quanto spostarsi in bici possa cambiare la visione del mondo circostante: «Credo sia il mezzo che più si addice al viaggio degli esseri umani, uno strumento perfetto, sotto tutti gli aspetti. Ogni metro è una conquista perché si fa affidamento solo sulla propria persona, ci si suda, letteralmente, ogni traguardo. In più, si è messi a diretto contatto con l’esterno, con l’ambiente, non rinchiusi in un abitacolo, non protetti in una bolla di comodità. L’essere esposti alla scomodità è un pungolo che permette di imparare, di essere reattivi agli stimoli». Cosa sia esattamente viaggiare in bicicletta è difficile da dire, anche per Andrea, ma un qualcosa, proprio nei ricordi del viaggio in Sicilia, ci va vicino. Giacomo era già tornato a casa, Andrea era rimasto sull’isola un’altra settimana, a pedalare in solitaria e, in queste pedalate, aveva incontrato un ragazzo con cui si era fermato a chiacchierare per diverso tempo, condividendo riflessioni. Era stato lui a dirgli: «Andare in bicicletta è come pregare». «Di biciclette un poco me ne intendo, non posso dire lo stesso della fede, ma il ritmo che la bici imprime alle mie giornate, la sua ritualità, la capacità di ricollegarmi con me stesso, di farmi concentrare, mi fa pensare che quel ragazzo avesse ragione».

Viaggiare in compagnia è difficile, Andrea lo ammette ben presto: questione di abitudini da rendere omogenee, di attimi di stanchezza ed energia da “mettere d’accordo”, di condivisione totale di ogni momento. Da soli, si conoscono più persone, si è più aperti al circostante, agli incontri, ma, allo stesso tempo, ci si priva di una grande opportunità: «La felicità va condivisa, va diffusa, anche quella per gli attimi minuscoli che, talvolta, riempiono le nostre giornate. Anche quando siamo arrivati a Capo Nord: avrei voluto telefonare a casa, alla mia famiglia, ai miei amici, per descrivere quel che vivevo e vedevo. Giacomo era con me, non dovevo spiegare nulla, provavamo assieme le stesse cose, bastava questo per ripagare la fatica».
Allora il 21 aprile, la partenza è stata un modo per chiudere dei cerchi, come sarà tutto questo viaggio: l’idea di Andrea e Giacomo è di trovare un’associazione per la ricerca contro il tumore al seno, lo stesso che, purtroppo, ha portato via la madre di Incarbone in pochi mesi. Sarà questa la spinta per proseguire la pedalata anche nei momenti più difficili: un progetto più grande di loro, che li terrà assieme per undici mesi o forse di più. Da Torino ad Adelaide. Ma questo l’abbiamo già detto.