«Napule è mille culure» cantava la voce di Pino Daniele e, ad un tratto, sospirava «Napule è mille paure». Le dita a pizzicare le corde di una chitarra dal suono perfetto, in cui, però, percepiva sempre la mancanza di un qualcosa. Napoli è un senso della poesia che scappa dalle parole, mentre una ragazza, sul lungomare, si chiede perché i cento chilometri del giro della costiera si compiano sempre in senso orario, e qualcuno le risponde: «Perché altrimenti vedi troppo il mare e, se vedi così le acque del mare, ti distrai». Quella ragazza è Alessia Vigilia, ciclista di mestiere: una voce parlata, non cantata, dall’altro capo del telefono, mentre la televisione trasmette le immagini della nona tappa del Giro d’Italia, da Avezzano a Napoli ed il mare, in quel senso, viene lasciato sulla sinistra, abbandonato in un cono di sguardo, in un pensiero. Napoli è una mancanza, anche per lei: una voce di padre, Ciro, il suo nome, che racconta Diego Armando Maradona e pare una storia della fantasia, invece è una storia del passato, realmente esistita, mentre i ragazzini giocavano a pallone per la strada. Napoli è andare via assieme, ovunque si vada: simile a Andrea Pietrobon e Mirco Maestri, in fuga, soli ma non soli, anche se non c’è nulla.

Sono quelle persone per strada, ovunque, anche lontano dal gruppo, anche lontano dal mare, su un cavalcavia, che attendono l’ultimo corridore, poi si voltano e vedono il gruppo andarsene, lasciare la loro compagnia, lo ritroveranno chissà dove, forse, sempre con il vestito della festa e i pantaloni poco sopra delle ginocchia sbucciate, giocando in un prato lì accanto. Lo ritroveranno come hanno ritrovato Napoli, quando l’hanno lasciata, sapendo che vi avrebbero fatto ritorno, perché certe volte bisogna andare via, anche se non si vuole. “Chi tene ‘a mamma è ricco e nun ‘o sape”: da queste parti non lo dicono solo oggi, è una certezza a cui aggrapparsi in un giorno difficile, uno di quei vecchi detti che facevano affidamento su ciò che bastava quando non c’era niente altro. È il profumo dei limoni che Alessia Vigilia non può descrivere e basta questo per aver voglia di immaginarlo, è quello dei canditi sulla pastiera portata a tavola dalla zia, è l’aroma della “pummarola”, il colore rosso dei pomodori nutriti dalla terra.

Julian Alaphilippe ed il suo scatto hanno qualcosa dell’anima di Napoli, di quei contrasti di cui ci racconta Vigilia. È la cultura di cui parla, ad ogni angolo della città, dove ci si stupisce e si resta a farsi domande. Di quel dare tutto pure se dopo ci si fa male. Alaphilippe è più vicino che mai a Napoli quando un ragazzo, non appena viene raggiunto e si arrende al gruppo, sfilando in coda, gli cammina accanto. Non ha corso con il gruppo, non con Narvaez che è appena scattato, ha corso con lui che anche oggi ha messo tutto e non è bastato. «Stanno gridando, esultando, incitando e lo fanno perché sono così, non importa chi tu sia, è il loro entusiasmo, il loro calore. Lo farebbero con chiunque». Il contrasto è tra i primi e gli ultimi, il contrasto è tra chi ce la fa al primo colpo e chi resta staccato e deve riprovare, tra i momenti felici e la malinconia: le lacrime di Clarke, lo scorso anno, l’abbraccio di De Marchi, la vittoria di De Gendt, in fuga, la beffa di Narvaez, in fuga anche lui, ma con un diverso destino. Napoli è anche quel che non è facile, la difficoltà, le ferite, perché nemmeno la meraviglia è cosa semplice, nemmeno la meraviglia è perfezione, la cura, come preoccupazione e attenzione. Le paure, sì, le stesse paure di Pino Daniele, la stessa voglia di aggiungere ancora qualcosa alle note di quella chitarra. I mille colori di Napoli non sono solo colori: non è solo il cielo blu ed il mare che lo imita, non è solo il Vesuvio maestoso là in fondo e Capri che si lascia intuire. I colori sono sensazioni: la gioia di Ciro che martedì vedrà il Giro partire da Pompei ed il sollievo di Alessia, una ciclista che sorride di gusto mentre dice che “ci sono sempre più persone che vanno in bicicletta e questo è bello, così bello da far bene”. Napoli è Tadej Pogačar che spiega che i suoi compagni fanno già tanto per lui e lui non è il miglior ultimo uomo, ma lo doveva a Molano: è fare il possibile.

I colori, quelli dei pastelli e delle tempere, sono quelli del gruppo, dei treni dei velocisti, puzzle variabili. Narvaez, venuto dal freddo, per poco non vinceva dove il caldo è clima e modo di essere, venuto dalla montagna per poco non vinceva al mare e, forse, avrebbe detto qualcosa del Vesuvio, si sarebbe fermato ad osservarlo qualche secondo in più. Lo ingabbia lo sforzo di Simone Consonni per riportare sotto Jonathan Milan, che parte forse presto e viene a sua volta beffato da Olav Kooij e dalla sua maglia gialla della Visma-Lease a Bike: pallido, nulla a che vedere con il sole che disegna la pelle a Napoli, pallido, simile al ghiaccio, dove pattinava. Napoli, adesso, è una festa: un guantino di un ciclista che fa la domenica quello che la domenica dovrebbe essere, che era per i nostri nonni probabilmente, un tramonto di maggio che fa pensare a quando si dovrà partire e alla sera in cui si potrà tornare. Napoli è la voce di Alessia Vigilia che, lontano, è contenta anche solo per averne potuto parlare. Punto e basta. Ma non basta, lo sappiamo.

Foto: SprintCyclingAgency