Keegan Swenson è certo che, in bicicletta, serva solo essere quel che si è, fino in fondo. Potremmo dire che Swenson creda alla verità di una bicicletta o, forse, che creda alla verità che ogni persona può raccontare: in sella oppure giù dalla sella. Lachlan Morton dice qualcosa di simile: quando racconta che l’idea di correre la prossima Cape Epic, dal 19 al 26 marzo, con Swenson, lo ha preoccupato, innervosito perché “Keegan è un fuoriclasse e io non sono sicuro di esserne all’altezza”. Di più: Lachlan Morton spiega di aver avuto timore e proprio il fatto che lo ammetta fa parte di quell’autenticità che Swenson cerca. Importante è soprattutto che, facendo leva su quel timore, su quella paura, considerando quello stato d’animo, dandogli valore, Lachlan Morton abbia accettato la proposta di Keegan e, in Sud Africa, correrà al suo fianco.
Quella di cui parla Morton è una sorta di proprietà della paura che, se riconosciuta e fronteggiata in un certo modo, può diventare un moltiplicatore di bellezza: “Ho detto sì proprio perché mi sembrava una prospettiva scoraggiante, perché ero nervoso e preoccupato”. Perché, aggiungiamo noi, dietro questi timori c’è la possibilità di provare ancora qualcosa di nuovo, addirittura di inesplorato: essere messo in difficoltà come via per andare più a fondo, per scoprire un’altra profondità in quello che si fa. Questo è il significato di quello spontaneo: “Non ero mai stato così nervoso prima di una gara, è bello”.
Gli ultimi mesi di duri allenamenti del duo Morton-Swenson si sono mossi in questa prospettiva, con sullo sfondo il Sud Africa: rocce, polvere, sabbia, terra, una vegetazione diversa da conoscere, con cui entrare in sintonia per riuscire a conviverci, per arrivare fino in fondo e fare bene. Il meglio possibile. Si parla di podio e, quando si parla di podio, neanche troppo velatamente si parla di vittoria, almeno di una o due frazioni. Sarà certamente una fra le coppie da attenzionare: pare che Lachlan apporterà le proprie conoscenze tattiche e Keegan la propria esperienza. Dal canto loro, quando potranno, rivolgeranno l’ attenzione alle altre coppie sul percorso, soprattutto a quelle meno note e, ancor di più, a coloro che saranno lì con il solo desiderio di completare la prova, di arrivare al traguardo. Anche questo ha a che vedere con la verità di una bicicletta, con la verità di chiunque pedali: può essere bella, talvolta ancor più interessante, pure la storia di chi non chiede altro che provare e serve molta autenticità per questo.
La stessa dell’essere sfatti dalla fatica, dalle energie che non si recuperano, dalle cadute e dagli errori che, comunque vada, alla Cape Epic faranno tutti. Vincere non sarà questione di mancanza di errori, sarà, semmai, questione della capacità di riparare agli sbagli, propri e del proprio compagno. Swenson e Morton ci faranno divertire.