«Vorrei incontrare il me stesso del passato per dargli un consiglio. Gli suggerirei di vivere con maggiore serenità. Di prendere la vita ed anche il ciclismo con leggerezza. Non è poi così importante essere il migliore del mondo, puoi anche vincere qualche corsa in meno. Puoi, nessuno te lo impedisce. Sei tu a impedirtelo. Cerca di essere la versione migliore di te stesso. Solo quello». Lo ha detto Mark Cavendish, solo qualche anno fa, quando tante cose erano già accadute ed il futuro non era più quel tempo a cui correre incontro ad ogni costo. Anzi, il futuro, quel futuro lì, faceva paura. Anche ieri Mark Cavendish ha avuto paura del futuro, quando, dopo una giornata all’attacco, giunto al traguardo della Gand-Wevelgem con oltre sei minuti di ritardo dal vincitore Mads Pedersen, ha dichiarato piangendo: «Potrei aver corso l’ultima gara della mia carriera». E chi avrebbe mai immaginato qualcosa di simile da Mark Cavendish? Mark Cavendish abbiamo imparato a conoscerlo in altro modo, con quel fare a tratti “arrogante”, ma chi vince può permetterselo perché Cav è stato davvero il migliore velocista al mondo per alcuni anni, con quella sicurezza inscalfibile che anche di fronte alle sconfitte gli consentiva di affermare di non aver sbagliato niente e che, in fondo, gli avversari erano stati fortunati, con quelle esultanze scenografiche condite da parole al vetriolo indirizzate a chiunque avesse dubitato del suo talento o delle sue capacità. Sì, Mark Cavendish è cambiato e non ne ha fatto mistero. Si è messo a disposizione degli altri, suscitando l’ilarità degli sciocchi o degli offesi: «Non mi interessa nulla di tutta quella merda che riversate sulle pagine dei vostri giornali o sui social. So bene cosa significhi fare il gregario, cosa credete? Quando Wiggins ha vinto il Tour, tiravo in salita. Ma di cosa parlate?».

Alcuni offesi, specie quelli che hanno un potere, un potere di penna in questo caso, sono come i virus, direbbe Cavendish che con l’Epstein-Barr ha combattuto e combatte, o come il futuro, diciamo noi. Non ti sfiorano nemmeno fino a quando sei all’apice ma appena crolli ti mordono con tutti i denti che hanno. Cavendish da uomo imbattibile, in un batter d’occhio, si è ritrovato uomo solo: «Nessuno mi credeva, nemmeno gli amici. Pensavano tutti fossi scomparso perché non volevo più correre, perché non volevo più combattere. La gente voleva il vecchio Cavendish, voleva che il ragazzo di oggi sfidasse il virus e lo controllasse per restituire il ragazzo di ieri. La realtà è che combattere con un virus è molto difficile. Non puoi prevederlo, ti può annientare. Se nemmeno chi hai accanto ti crede, come puoi pensare di farcela?». Cavendish è cambiato quando ha dovuto affrontare la sofferenza e l’incomprensione. Quando guardando avanti non ha più visto vittorie e successi ma ansietà e paure. Puoi evitare di guardare, ma sai che stai andando in quella direzione e negli occhi hai l’orrore: inizi a non riconoscerti più, inizi a sentirti debole, e non solo di volate si parla, inizi a riconoscere che hai bisogno di tutti. Che da solo proprio non vai: «Ammiro molto mia moglie. Se i nostri bambini sono cresciuti come stanno crescendo lo devo a lei, è una mamma eccezionale. Bada a loro, non facendogli mancare nulla e poi bada anche a me. Ho più di trent’anni, è vero, ma sono ancora un bambino».

Anche questo non lo avremmo mai detto perché Cavendish sembrava così distante da tutto quello a cui ora è così vicino. Ora ha imparato a ricredersi, per esempio, e ad ammetterlo: «Quando sono arrivato in Bahrain e ho incontrato Roger Hammond, il direttore sportivo, ho subito pensato che da lui non avrei avuto mai niente da imparare. Non riuscivo a capire cosa avrebbe potuto insegnarmi. Evidentemente non avevo capito nulla: da Roger Hammond ho imparato tanto come da Rod Ellingworth. Il loro “esserci” mi ha salvato molte volte». Mark Cavendish, in realtà, ha imparato anche tante altre cose che sicuramente lo hanno reso un uomo e un padre migliore. Un padre di cui i figli possano dirsi fieri. Un padre che sa che, talvolta, nella vita è necessario mollare la presa se non si vuole essere travolti. C’è ancora una gara a cui Cavendish risulta iscritto, la Scheldeprijs di mercoledì. Chissà se la correrà. In molti se lo augurano. Qualcuno, ieri sera, ci ha detto: «Se smette anche Cav, avranno smesso quasi tutti gli atleti di quando ero bambina. Fa tristezza». Sì, certe volte crescere e guardare avanti fa tristezza ma abbiamo il dovere di farlo, riscoprendo una semplice verità, sepolta in mezzo a qualche chiacchiera della società. Il futuro non è solo roba per sognatori, per poeti e navigatori. Il futuro non è solo lo scenario prediletto delle avventure dei bambini, non è qualcosa di minore da lasciare alle storie e alle favole. Loro lo hanno già capito, ora dovremmo capirlo anche noi. Il futuro è importante.

Foto: Marco Trovati/Pentaphoto