Se c’è una cosa che riesce bene a Richard Carapaz è cogliere l’attimo. Se lo abbiamo definito tempo fa “il migliore al mondo per scelte tattiche e tempismo” oggi abbondiamo di sale: migliore dell’Olimpo.
Se ci dovessimo immaginare il Carchi, da dove arriva, in questo momento, forse non ci arriveremmo nemmeno vicino. Se ci dovessimo immaginare quando Carapaz tornerà a casa, allora ci aspettiamo una serie tv, un libro, un concept album, interamente dedicato al suo trionfo oggi, e alla sua celebrazione. Alla sua storia, alle sue origini, a quei visi solcati, la pelle di bronzo della gente di laggiù, dell’Ecuador, gente semplice e sguardi realistici che si tramutano in espressioni di sogni realizzati. Impensabili anche solo nel cercarli.
È vero: se c’è una corsa in cui il cuore è vicino alla maglia azzurra, più di ogni altra, quella è la gara dei Giochi e quando Bettiol si è staccato in preda ai crampi (di nuovo, ahinoi) abbiamo patito.
Ma se pensiamo a tre medaglie così: oro a Carapaz, argento a van Aert, bronzo a Pogačar, tre stupende medaglie addosso a tre corridori così, l’amarezza svanisce in un attimo.
Un attimo che ha trasformato una giornata olimpica in un’altra memorabile giornata di ciclismo 2021. Indimenticabile: per la resistenza di Bettiol finché ha potuto, il sogno accarezzato da McNulty, il talento esuberante e oggi persino sofferente di Pogačar, la forza straripante di van Aert e poi la magia. Quella di Carapaz. E da oggi se cercate i cerchi olimpici, date uno sguardo laggiù, nel Carchi, in Ecuador. Non ne resterete delusi, anzi. Potreste essere colti in pieno da una deflagrazione.