«Quando gli ho telefonato, Elia era dispiaciuto, molto dispiaciuto. Mi ha detto che sarebbe stata un’occasione importante, che aveva già dato la sua disponibilità a Davide Cassani, che aspettava l’Europeo. Però Viviani, prima che un campione, è un uomo di una intelligenza sopraffina. Ha accettato la decisione voluta da Cofidis con forte senso di responsabilità». Roberto Damiani ci racconta così il momento della comunicazione a Elia Viviani della decisione adottata dai vertici Cofidis: niente campionato Europeo per salvaguardare la salute degli atleti e la possibilità di partecipare al Tour de France, alla luce della situazione sanitaria imposta dal Covid-19. Continua Damiani: «Ha voluto telefonare lui stesso a Davide Cassani per spiegargli la situazione. È un uomo che si assume ogni responsabilità».
«In queste situazioni spesso si ricorre a una logica che non mi piace: il cosiddetto “armiamoci e partite”. Da noi non funziona così: la decisione l’abbiamo presa assieme a Cedric Vasseur e assieme l’abbiamo comunicata a Viviani». Damiani, oltre a essere un attento conoscitore di uomini, è un appassionato di psicologia, nel tempo libero legge libri sull’argomento. Detesta lo scaricabarile quando si tratta di decisioni e non gradisce nemmeno i giri di parole: «Sono decisioni difficili da comunicare. Non sai mai come può reagire una persona, quali meccanismi psicologici possono innestarsi nelle mente. Un conto è quello che noi vogliamo dire, altro ciò che viene recepito. Nella mia posizione devo preoccuparmi anche del recepito. Personalmente con Viviani lavoro da pochi mesi e non è stato facile il momento della comunicazione. Ma onori ed oneri vanno di pari passo. Un direttore sportivo deve gestire anche questi momenti».
«Io lo ripeto sempre: il tatto ed una certa sensibilità sono indispensabili. Abbiamo a che fare con uomini non con supereroi e gli uomini hanno bisogno di tempo e comprensione per gestire le scelte. Questo però non significa non essere chiari o parlare a metà. Io non mi sono mai preparato alcun preambolo o alcun discorso quando ho chiacchierato con quelli che orgogliosamente chiamo i “miei ragazzi”. C’è da dire una cosa? La si dice per quella che è. Bisogna essere chiari, netti e schietti. Serve sempre il massimo rispetto ma senza chiarezza non si va da nessuna parte. Conoscere gli uomini è indispensabile per commettere meno errori possibili. Anche i direttori sportivi sbagliano. Se ti conosco, però, ho la possibilità di sbagliare meno. Credo molto nel faccia a faccia, negli approcci collettivi ed in quelli differenziati. Il nostro lavoro è anche questo e, per fortuna, negli ultimi anni lo si sta capendo sempre di più. Per il bene dei ragazzi ed anche del ciclismo».