«Oh, ma te ci hai mai corso in Cina?» chiede Mirco Maestri al suo idolo sulla dolce salita verso Civitanova Alta. Con un sorriso serafico, Julian Alaphilippe risponde: «Sì, molti anni fa. Ricordo qualcosa, che schifo di posti». Poi si rimettono a pedalare. Da pochi chilometri il percorso di gara ha abbandonato il lungomare e si sta addentrando nelle prime colline marchigiane. Si stanno ancora formando grupponi, gruppetti inseguono, gruppini si staccano: Alaphilippe non ne vuole sapere e allunga salendo verso Montelupone.

Maestri sa che mancano 126 chilometri all’arrivo, ma quello è il suo idolo. Gli ha appena fatto una domanda scema, sa che può fare meglio. Può addirittura impressionarlo, forse. «Cala un minimo che andiamo assieme», prega Maestri. Alaphilippe si gira, vede che non c’è nessun altro, e ci pensa su un attimo. «Va bene» gli dice poi, mica tanto convinto. I due proseguono e si parlano. «Beh sappi che io in Cina ci ho vinto una corsa, eh!» incalza Maestri. «Ah sì? Beh io mai». Risponde Alaphilippe. Non vuole mica fare il superiore, Mirco Maestri, detto Paperino, passato professionista solo a 24 anni: «Vabbè ma tu hai vinto tante altre corse, dai» lo consola senza che ce ne fosse il bisogno. E man mano che passano i chilometri, più si convincono: seguire la pista anarchica, per loro, è l’unica via per vincere.

«Porca boia! che gamba che hai oggi» loda Alaphilippe. Nota Maestri un po’ meno a suo agio sulle pendenze all’8% verso Recanati. Il francese pesa una dozzina di chili in meno, ma sa che le doti da passista di Maestri gli potrebbero tornare molto utili tra un muro e l’altro. «Facciamo così: io non ti stacco in salita, tu mi dai una mano in pianura e vediamo dove arriviamo». Maestri rafforza il rapporto in segno di approvazione: si va.

Campione e Paperino si erano già incontrati sulle strade di questo Giro d’Italia. Tappa con arrivo a Napoli. Maestri è in fuga fin quasi dalla partenza, Alaphilippe lo ha raggiunto verso Monte di Procida. Nonostante la differenza di status e freschezza, Maestri non ha mollato. Nello spiegare il perché, ha detto al podcast Gironimo (episodio sulla nona tappa, minutaggio 10:10): «È stato un onore cercare di ribattere Alaphilippe, che rimane un grande campione, un idolo insomma». Maestri è un anno più anziano di Alaphilippe: difficilmente tifava per lui da bambino, ma è un corridore che gli piace. Forse anche per questo dà cambi sinceri, senza risparmiarsi, tra Castelfidardo e Osimo.

Le salite si susseguono. «Hai un bel passo, sei forte a crono?» chiede Alaphilippe. «Abbastanza dai, quella vittoria là che ti dicevo, in Cina, fu proprio in una cronometro» risponde Maestri. E poi aggiunge, in segno di riverenza: «Ma lo so che tu le crono le hai vinte pure al Tour de France». Alaphilippe sorride e ricorda, che tempi quelli, quando vinse la Pau-Pau del Tour 2019 in maglia gialla, tra due ali festanti di folla. Era il ciclista più forte del mondo: lo pensa anche Mirco Maestri, e vorrebbe dirglielo, ma il ciclismo non è uno sport da smancerie.

Proseguono in fuga, i due, e nessuno sembra poterli riprendere. Vanno fortissimo, chiuderanno quasi ai 47 all’ora di media. Sull’ultimo strappo, Monte Giove, Alaphilippe se ne va. È un finale amaro, troppo breve, entrambi avrebbero voluto continuare la fuga fino a Livigno, e poi Roma, assieme. Ma la pedalata di Maestri si fa più dura ogni metro, non va avanti. Certo che poteva ringraziare, pensa per un secondo Paperino, guardando la scalata agile di Campione. Non può fare a meno, tuttavia, di ammettere: «Cazzo, però, che forte che è».