Erano i primi anni 2000, il periodo dei mondiali di ciclismo, l’inizio dell’autunno: Elisa Longo Borghini ricorda i cortili, le telecronache in televisione e un gruppo di amici che giocavano a fare i ciclisti professionisti, ispirandosi alla gara vera di cui arrivava la voce dal televisore. Ricorda tutti quegli “io sono Freire”, “io sono Valverde” che i bambini improvvisavano prima di dare il via alla contesa. Ricorda soprattutto il suo spaesamento perché il ciclismo femminile si vedeva poco in televisione, del ciclismo femminile si sapeva poco e lei, mentre tutti avevano un campione da interpretare, restava a chiedersi: «E io chi sono?». Si è domandata e continua a domandarsi quante ragazzine abbiano provato la stessa cosa. Un sospiro di sollievo lo ha tirato qualche tempo fa, quando Marta, sua nipote, di nove anni, le ha detto: «Da grande, voglio scattare come Katarzyna Niewiadoma». Ha pensato che lei avrà qualcuno in cui rispecchiarsi, che non resterà a farsi quella domanda. Parte proprio da qui il racconto di una nuova pagina di diario.
Ormai sono diverse le ore di allenamento che Longo Borghini ha messo nelle gambe sulle pendici del Teide e questo la porta sempre più vicina alla stagione che sta per iniziare. Nel mezzo di una pioggia fitta, per contrasto, è tornata con la mente a Cesena, al Giro dello scorso anno, ad una crisi dovuta al caldo, al troppo caldo, e, alla fine, si è detta che, per quanto sia stato difficile arrivare al traguardo in quelle condizioni, quello dell’anno scorso è stato un Giro importante. Capiamo presto che il concetto di bellezza del ciclismo per Longo Borghini non è strettamente legato a un risultato personale: dice che una delle tappe più belle della storia del Giro d’Italia femminile è stata in Liguria, nel 2016, «ho accumulato un sacco di minuti di ritardo, ma sentivo che davanti il gruppo era scatenato».
Quando non deve fare classifica, riesce a fare cose che vorrebbe fare sempre, come parlare a inizio gara con le più giovani del gruppo, le cicliste meno conosciute: «Alcune corrono in bici pur avendo un altro lavoro e vanno ad allenarsi a sera, concluso il turno. Hanno una voglia intatta e attaccano. Non interessa se poi vengono riprese, interessa il fatto che abbiano ancora il desiderio di provarci. Non è facile a certe condizioni. Mi chiedo: cosa potrebbero fare se avessero le possibilità ideali per essere cicliste? Credo dovremmo chiedercelo tutti».
Sono proprio le diverse condizioni di partenza a far pensare Elisa Longo Borghini, quando, ad esempio, parla di quelle realtà in cui alcune ragazze hanno solo una bicicletta e quella di scorta è condivisa, perché l’allenamento fa molto, ma, se non si parte dallo stesso punto, il confronto è falsato.
«Non mi vergogno a dirlo: da junior c’è stato un periodo in cui non andavo avanti. Ho provato a ritirarmi dopo trenta chilometri di una corsa perché non ne avevo più e, quando non riesci a finire le gare, è dura. Spero di essere un modello per loro, perché mi rivedo in loro. Non sono un fenomeno, non lo sono mai stata, non pensavo di arrivare dove sono arrivata, per nulla. Quel che sono oggi deriva solo dall’allenamento, fatto di tanta fatica e sacrifici. Vorrei che a queste ragazze fosse permesso di fare lo stesso perché possono farlo, ma per permetterglielo bisogna cambiare qualcosa». Così è un bene che ci siano più gare World Tour affiancate alle gare maschili, però bisogna salvaguardare le corse minori, incrementarle, se possibile, come è necessario tutelare le squadre più piccole, anche perché «senza il loro futuro, anche le squadre più grandi non ci sarebbero. Non bisogna scordarlo, quando si arriva».
Forse, proprio pensando al suo periodo più difficile, dice che, sin da ragazza, ha imparato che, quando si va a vedere una gara di ciclismo, è giusto aspettare fino al passaggio degli ultimi, non correre via dopo il transito della maglia rosa o della maglia gialla. Quel periodo è stato quello in cui si allenava con il fratello Paolo e una salita di nove chilometri, vicino a casa, sembrava non finire mai: «In quei giorni, le mie barrette erano le merende kinder, Paolo continuava a spingermi, a dirmi che mancava poco, sempre meno. Doveva aspettarmi perché, se fosse andato più veloce, mi sarei fermata. Mi aspettava come si sedeva accanto a me in quei sabato sera a casa, con me influenzata e i miei genitori lontano per lavoro. E non si può credere a quanta fatica faccia ancora oggi Elisa Longo Borghini, per questo la parola gregario è fra più belle che conosca e, se non fosse andata com’è andata, mi sarei messa a disposizione e essere un buon gregario non mi avrebbe reso meno orgogliosa di me. Anzi». Qui torna il concetto di lavoro e di quanto, visto che il ciclismo è uno sport di squadra, fare bene il proprio compito, qualunque esso sia, permetta di tornare in camera d’albergo la sera ed esserne fiere: «Il nome che resta è uno, ma nelle mie vittorie c’è chiunque abbia fatto qualcosa per me in quel giorno o nei giorni prima. Si dice che i compagni di squadra tengono coperto il capitano e questo “tener coperto” non è gratuito. Costa acqua, vento, ritmi elevati, acido lattico. Le mie compagne si prendono carico di tutto questo».
Elisa Borghini ritiene sia essenziale permettere la conoscenza di tali aspetti perché serviranno a tutte quelle ragazze che, magari senza che nessuno lo sappia, stanno sognando di essere cicliste. L’anno scorso, al Tour de France, ha acceso la televisione e su France2 ha visto una pubblicità del Tour femminile: «Come me, l’avranno vista in molte e avranno avuto la certezza che, oggi, non bisogna più aspettare una replica a tarda sera per vedere una corsa femminile». Il Tour, spiega Elisa, fa bene al movimento, perché è un’idea cresciuta nel tempo, perché l’organizzazione è andata a casa delle ragazze che si contendono la generale e le ha intervistate, poi, ha diffuso quei contributi in televisione, chiunque ha potuto conoscerle. «Certo non bisogna scordarsi delle corse più piccole che hanno sempre scommesso su di noi, ma questo innalzamento dell’attenzione porterà anche loro a continuare a crescere, a migliorarsi».
L’alba ha dei colori stupendi al Teide e vale anche la pena anticipare la sveglia per godersela. Accade pure alle cicliste che poi salgono in sella e scattano. Forse accadrà così pure a una bambina di oggi che un domani, ricordandosi uno di quegli scatti, potrà dire: «Mamma, voglio scattare come Elisa Longo Borghini».
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