Tour Down Under è i suoi “verdetti” (?). Il punto di domanda è enfatizzato ed enfatizzante, perché ciò che accade in Australia è sempre da prendere con le pinze: siamo a gennaio, ciclismo che spesso vuol dire poco in chiave cuore della stagione, ma per chi corre e magari vince o cerca le migliori sensazioni, resta una corsa attesa, importante, da verdetti, sì.

Ci sono state le volate di Welsford – con tanto di scorrettezze di un paio di compagni di squadra che, non per fare i moralisti, ma non ci sono per nulla piaciute. Welsford ne ha vinte tre su… tre fra quelle disputate. Una l’ha conquistata Coquard, quando non c’era Welsford a rompere le scatole. Coquard ha esultato nella quarta tappa, c’è stata più selezione, e la cosa non è che gli capiti molto spesso. A noi fa piacere vederlo così, a braccia alzate. C’è stata la vittoria ottenuta con forza, tigna, furbizia, tempismo, di Javier Romo, con quella faccia da Jacob Elordi, tutt’altro che banale, la vittoria, non la somiglianza. È stato, per una volta, più concreto che bello: è al primo successo in carriera e fa gioire la Movistar (Team), squadra che, come si dice in questi casi, soprattutto in casi di scarsa prolificità, non è proprio una vincitrice seriale.

C’è stato Jay Vine che ha il vizio tremendo di farci spaventare, di cadere e farsi male: ragazzo, fai qualcosa, perché così non va bene. Arriva lo stesso al traguardo, ma sembra più una citazione da La Mummia. Un suo compagno di squadra, Jonathan Narvaez, invece, cambia casacca (dal rossonero Ineos, al bianconero, o quello che, è UAE), ma non il sano vizio intrapreso nelle ultime stagioni. Sa come si vince, lo sa fare bene e in modo differente, poi, certo, se sono tappe in cui la strada tira all’insù, lui, nato e cresciuto in altura, ci va a nozze. Tappa vinta a Willunga Hill e classifica generale. È la terza corsa a tappe in carriera, la più importante, dopo Coppi e Bartali e Giro dell’Austria. Piccoli passi portano lontano. Oltre alle vittorie, degli altri, inizia a brillare la stella di Albert Withen Philipsen. Settembre 2006, vuol dire che non ha ancora 19 anni. Lo avevamo detto un paio di anni fa di avere sensazioni particolari su di lui, quelle sensazioni lui le sta già tramutando in realtà, quel polline magico delle fiabe sta già entrando in una dimensione più concreta. Sì, ci sbilanciamo: questo è uno di quelli che diventerà forte ma di quelli di categoria o dimensione superiore.

Gli italiani? Brava gente, parafrasando l’abusato modo di dire reso celebre da un film di Giuseppe De Santis. La campagna australiana è desolante in tutti i sensi: si è raccolto nulla pur avendo al via corridori di livello  (c’erano i Bettiol, Vendrame, Busatto, tanto per fare tre nomi), ma siamo solo all’inizio, magari non andrà peggio di così.