Se fosse una canzone sarebbe, molto banalmente, Johnny B. Goode, singolo scritto e interpretato nel 1958 da Chuck Berry che fece la storia del rock and roll. Johnny B. Goode racconta un sogno, in quel caso il sogno americano, ma è forma universale, di talento e riscatto.
Se fosse un animale sarebbe una lucertola, anzi lo è, perché Jhonatan Manuel Narváez Prado, all’anagrafe, è soprannominato El Lagarto, la lucertola per l’appunto e tutto ciò è semplicemente perfetto. Viene da chiedersi, visto il suo modo di interpretare le corse, cos’è nato prima: il corridore o il soprannome? In realtà ci pensa lui a sgomberare il campo da ogni fraintendimento: «arriva da mio padre e poi da mio fratello – raccontava qualche tempo fa il corridore ecuadoriano – anche loro correvano in bici, li chiamavano così e il nomignolo si è tramandato». Studi scientifici ci raccontano di come la lucertola sia un animale lento (ok, non è proprio il caso di Narvaez, ma non facciamo i pignoli), ma particolarmente intelligente. Secondo due etologi della Duke University, infatti, la lucertola ha dimostrato di usare astutamente quello di cui madre natura l’ha graziata per raggiungere scopi ben definiti. Per la lucertola si tratta di trovare il cibo, la sopravvivenza, per El Lagarto Narvaez, cercare la vittoria o, come abbiamo visto finora in carriera, aiutare i suoi capitani a focalizzarsi e poi raggiungere l’obiettivo prefissato.
Narvaez, in gruppo, si muove bene, si vede poco, a volte scivola, ma in bici ci sa andare. Rappresenta quello che nel ciclismo chiamano tuttofare. Se non facesse il ciclista probabilmente sarebbe capace di risolvere enigmi e allo stesso tempo sistemarti ogni problema a casa. Se fosse il personaggio di un film, sarebbe il Mr Wolf di Pulp Fiction. Narvaez, quando vede un traguardo, si alza sui pedali e sa che può vincere. Ha raccolto, forse, persino meno di quello che poteva finora. Sostiene di essere il primo ecuadoriano a vincere in Europa, accadde quando era un ragazzino vincendo una tappa alla Vuelta al Besaya Juniors, in Spagna, davanti a Juanpe Lopez. Solo poche settimane fa faceva man bassa di traguardi nel velodromo di Aguascalientes ai campionati di categoria panamericani, su pista.
Ha sangue freddo e, come quasi tutti i corridori che arrivano da quelle latitudini, ama le basse temperature e non si infastidisce se fuori piove: il primo grande successo in carriera arrivò al Giro d’Italia del 2020, quello corso a ottobre. Fu una giornata terribile che portava il gruppo a Cesenatico. Sullo sfondo il mare grigio come solo il mare sa essere grigio in certi momenti del suo ciclo vitale; il contorno era, più che uggioso, stantio, di quella grigia fermezza di una giornata tipicamente invernale. Fredda, che intorpidisce. Attaccò e nessuno lo rivide più fino al traguardo. Vestiva, come ha vestito fino a pochi mesi fa, la maglia della INEOS.
Ora è passato in UAE Team Emirates, la squadra numero del mondo in cui corre il numero al mondo, Pogacar. Lo aiuterà al Nord e porbabilmente non slolo, facilmente, come fatto in passato con la squadra inglese, scalerà le gerarchie. Ha vinto al tour Down Under la sua prima classifica generale di una corsa World Tour e salirà, salirà, salirà, proprio come fanno le lucertole.