Ci sono circa 600 chilometri tra Kandel, luogo natale di Pascal Ackermann, e Tortona, dove il velocista tedesco è tornato a vincere al Giro quattro anni dopo l’ultima volta. La Camaiore-Tortona di ieri era una tappa da oltre 215 chilometri, la più lunga del Giro: tre agevoli Gran Premi della Montagna, qualche acquazzone, tante curve e la categorizzazione “B” come difficoltà di tappa. Ciò significa, se ho letto bene il regolamento del Giro e se ho fatto bene i conti, che per non finire fuori tempo massimo l’ultimo arrivato avrebbe potuto prendere da Ackermann fino a circa 34 minuti.
L’ultimo arrivato, invece, è arrivato ben prima sul traguardo. Si è trattato di Alessandro Verre: il suo luogo natale, Marsicovetere, dista da Tortona oltre 900 chilometri. Il lucano ha fermato il cronometro a 18 minuti e 27 secondi di ritardo: perché Alessandro? Vedendoti all’arrivo, avrei giurato che il tuo ritardo fosse di almeno qualche giorno. La sua faccia era stravolta, nera nel vero senso della parola: stare in fondo al gruppo ha significato, probabilmente, beccarsi acqua, polvere e fanghiglia alzate dalle ruote davanti a sé.
Verre è arrivato solissimo, ultimissimo. Quasi tre minuti dopo la coppia di penultimo e terzultimo, Vanhoucke e Cherel. Nei pochi attimi in cui il mio sguardo e il suo si sono incrociati, mi è sembrato di vedere un corridore «scoppiato, distrutto, un rudere». Sono parole di Dino Buzzati, che nelle cronache del Giro del ‘49 ha descritto come nessun altro la deformazione del tempo che sembra suscitare l’arrivo sul traguardo dell’ultimissimo. Ci lasciamo con uno stralcio di Buzzati dal medesimo brano: mentre lo starete leggendo, probabilmente starò cercando Verre per chiedergli del suo arrivo.
«La luce del giorno svanisce, ecco si accendono i lampioni. “Dov’è lo stadio?” chiede. Gli fanno segno confusamente, quasi infastiditi. “Permesso, permesso” egli implora con voce fievole. Ma è già notte. Quante ore sono passate dall’arrivo dei primi? Quanti giorni? O mesi? Notte buia, coi lumi dei caffè riverberanti di là della folla. E sempre nuova ressa di popolo, una colata di lava nera a lui incontro, torbida, nemica. “Dov’è lo stadio?” domanda. “Quale stadio?” rispondono. “Quello del Giro d’Italia”. “Ah, il Giro d’Italia… bei tempi, quelli!” e scuotono il capo, commiserando. Non ore, non giorni e mesi: anni interi, dunque, sono passati dall’arrivo dei primi. E lui è solo. E fa freddo. E la fidanzata è a spasso con un altro; o si sarà già sposata. “Dov’è lo stadio?” supplica. “Stadio?” rispondono “Giro d’Italia? Che significa?”».