Diciamoci la verità: Domenico Pozzovivo avrebbe anche potuto essere stanco. Sarebbe stato anche umano, troppo umano per dirla con Nietzsche. Non sono, invece, così umane quelle undici viti e quella placca che i medici usarono per sistemargli la gamba dopo l’incidente allo Stelvio, nel 2014, quando un gatto gli attraversò la strada in allenamento. Non sono umani tutti gli incidenti che ne hanno martoriato il corpo, spesso prima dei grandi appuntamenti, talvolta all’interno degli stessi. E nonostante tutto Pozzovivo è finito per ben sei volte fra i primi dieci del Giro d’Italia, per due volte quinto. Ha vinto a Lago Laceno, quella montagna sfuggita al Pirata nel 1998.
Quando Qhubeka ha annunciato la chiusura, Domenico Pozzovivo, senza, avrebbe potuto essere stanco, a trentanove anni, di tutto ciò che era già successo. Dei momenti di paura che il ciclismo gli ha lasciato addosso: al Giro d’Italia 2015, con quel volto sbattuto a terra, quegli attimi di terrore. Solo tre anni fa quando sembrava che un’auto in allenamento avesse messo fine a tutto. Persino lo scorso anno, quando ad Ascoli, al Giro d’Italia, si è dovuto fermare perché quelle ossa, quei muscoli, ne avevano già viste troppe e una caduta lo aveva ancora messo in ginocchio.
Avrebbe potuto e invece ha continuato ad allenarsi come se la squadra l’avesse e non era sicuro di trovarla. Sapeva solo che un ciclista vuole essere libero di concludere la carriera quando decide lui, uno sberleffo dritto in faccia alla sfortuna. Tempo fa, un tifoso ci disse che amava Pozzovivo perché “non sembra un ciclista”. Abbiamo capito che parlava della sua semplicità, del suo essere sempre contento o del suo mostrarsi contento per poi risolvere da solo i problemi, anche quelli che sembrano troppo grossi. Come essere senza squadra a quasi quarant’anni.
Poi è arrivata l’Intermarché e Pozzovivo era pronto. A trentanove anni potrebbe ancora prendersi sulle spalle la squadra al Giro d’Italia. Non sono promesse vane, basta aver guardato la seconda tappa della Vuelta a Andalucia, quella vinta da Alessandro Covi davanti a Miguel Ángel López e Iván Ramiro Sosa, sul primo arrivo in salita. Domenico Pozzovivo “ha la gamba” come si dice in gergo. Ottavo, ottavo dopo l’inverno che ha trascorso, ottavo sul suo terreno. Aveva sempre detto di crederci, dopo quasi ogni incidente e anche dopo essere rimasto senza squadra. Ma dirlo è anche facile. Pozzovivo lo ha fatto e ieri è stato un antipasto, il cui significato si vede bene guardando indietro, per una volta. Quando Pozzovivo avrebbe potuto essere stanco, invece non lo era. Questo è il punto.