Nonostante la sua voce ci giunga da Bruxelles, Giancarlo Brocci inizia a parlarci raccontando di tutte le volte in cui si reca al bar, a Gaiole in Chianti o nei dintorni. Giancarlo entra e molti vorrebbero offrirgli un caffè: «Propongo di giocare a briscola, il caffè lo bevo volentieri, ma vorrei vincerlo. Attenzione, non è tanto per il caffè, sia chiaro, ma per la passione con cui si può giocare. Io gioco divertendomi, gioco sentendo il gioco e me lo gusto». Brocci parte da qui e da una constatazione amara: «Forse, negli ultimi anni, ci hanno tolto molti giocattoli, molte cose che ci portano altrove. La mente umana, però, è rimasta collegata al senso del “giocare” e lo ricerca ancora. Si tratta di una radice che non si toglie così facilmente». Sarà per questo che, l’altro giorno, in hotel, un ragazzo, vedendo una maglietta con la scritta “Eroica”, si è fermato a parlare, a dire che conosce Siena, la Toscana, che le pensa spesso.

Brocci è a Bruxelles perché, al Parlamento Europeo, nei giorni scorsi, si è tenuta una mostra dedicata proprio ad Eroica. «La radice comune di cui parlavo si vede dal fatto che ciascuno si è riconosciuto in questa mostra, che le varie differenze di idee si sono messe da parte. Sapete perché? Perché tutti hanno in mente la vecchia bicicletta del nonno, un’immagine in cui si vedono le strade sterrate, il piacere della natura, il legame con quello che è trascorso». Per questo motivo, fa sempre piacere vedere molti giovani che si fermano ad osservare biciclette del 1920, del 1932 o del 1957: biciclette che non hanno vissuto sulla propria pelle, ma che, comunque, suscitano una curiosità, talvolta anche felicità.

Giancarlo Brocci parla molto di felicità, di gioia: un tentativo di restituzione di queste emozioni che Eroica prova a mettere in atto, anche in periodi in cui pensare alla felicità è complicato: «Credo nelle persone e sono solo le persone a poter costruire la felicità. Si fa stando assieme e avendo una comune lettura della realtà. Su duecento chilometri percorsi da chi si riconosce nell’idea eroica di ciclismo, non troverai mezza carta gettata a terra, perché non potrebbero stare con noi. Non starebbero bene noi. Felicità significa stare assieme per tanto tempo, scambiarsi punti di vista, discutere di tutto e ritrovarsi». Come quando si va in biblioteca e tutti stanno in silenzio, aggiunge, oppure parlano a voce bassa: accade perché hanno un’ideale comune e sanno che, per godere di quel posto, bisogna fare così. Essere eroici significa riconoscere di essere immersi nel territorio e avere uno sguardo particolare su quel che ci circonda. Scherza Brocci: «Ti diranno che sono le favole queste. Io dico che è realtà, io dico che si può costruire questo modo di vivere la bicicletta».

Gli chiediamo come si senta, lui tentenna un attimo, poi dice: «Trionfante? Non so se rende l’idea, ma, in un certo senso, è proprio così». Questo ha a che vedere con la comprensione, con l’avere la sensazione che gli altri abbiano capito. Ha a che vedere, poi, soprattutto con una parola: recupero. Si è parlato anche di “recupero” al Parlamento Europeo ed anche questa parola è stata calata nella comprensione. Per esempio a proposito delle ciclabili: «Si può costruire una ciclabile nuova, oppure si possono recuperare le strade sterrate, i tratturi, quei pezzi di realtà dimenticati che possono fare del bene a tutti, oltre alla loro bellezza. Costerebbe anche meno, tra l’altro, oltre alla sicurezza del luogo in cui si pedala».

Tra l’altro, la parola recupero ha radici profonde, come il gioco, il giocare, almeno per Brocci. Il recupero significa conservare, ritrovare: «C’è una forma di bellezza anche in tutto quello che si ricicla, che si torna ad usare dopo che era già stato usato. Nei pantaloni condivisi da più fratelli o anche nelle biciclette passate di generazione in generazione». Non solo: riguarda tutti quei paesaggi che vengono salvaguardati e curati, magari paesaggi in cui fare un giro in bicicletta e recuperare quella che, per Brocci, è la “giusta nostalgia”.

«Un sorta di affetto, di amore per quel che è stato e per quello da cui vieni. Non è un caso se rivediamo le imprese di Marco Pantani, se studiamo Coppi e Bartali, se guardiamo in un certo modo a quel che è stato. Sì, perché da lì veniamo, siamo anche quella cosa lì». Allora il vero significato di quella mostra a Bruxelles, al Parlamento Europeo, è proprio nell’appassionarsi a questa idea di recupero di una strada per una nuova generazione, per una vecchia bicicletta, al recupero di una vecchia bicicletta per i ricordi e le radici che custodisce, al futuro che può venire anche dal passato, a un valore condiviso che permette a tutti di stare meglio e di dirsi: «Andiamo a fare un giro in bicicletta, sugli sterrati». Senza troppi pensieri, creando gioia anche in chi, per caso, transitando, li vede.

Foto: Paolo Penni Martelli