«Tornassi indietro, tornassi a quel 2010, e avessi la possibilità di parlare con il Gianluca Brambilla di allora, non gli direi molte cose. Gli raccomanderei di continuare a darci dentro, a spingere sui pedali, a far fatica e di avere cura dell’animo con cui si fa quella fatica. Lo dico perché l’entusiasmo è rimasto lo stesso ma tante cose sono cambiate. All’epoca non conoscevo quasi nulla di alimentazione e, forse, ero carente anche sulla conoscenza degli aspetti specifici dell’allenamento. Eppure andavo, eccome se andavo. Tutte queste nozioni mi hanno migliorato, ne sono certo, ma mi hanno reso anche meno ”leggero”. Ed essere ”leggeri” in ciò che si fa, di quella leggerezza che non toglie ma aggiunge, è importante». Gianluca Brambilla racconta così i suoi inizi e parla del suo carattere: «Qualcuno mi dice che, alle gare, sembro abbastanza chiuso, antipatico. A dire la verità non sono neanche timido, sono un estroverso però serve tempo e conoscenza per aprirsi, per raccontarsi, per svelarsi completamente per come si è. Te lo insegnano le circostanze della vita che non ci si può fidare di tutti, che la confidenza è cosa rara. Non credo sia un difetto questo. Il mio più grosso difetto è non saper aspettare: sono la classica persona che vuole tutto e subito. La mia compagna mi dice spesso che Asia, mia figlia, deve aver preso da me».

In fondo stimiamo sempre le qualità che non abbiamo e sarà per questo che Gianluca Brambilla, quando parla di Vincenzo Nibali, si sofferma proprio sulla calma del siciliano quale aspetto saliente: «Sembra assurdo ma è lui a tranquillizzare noi. Vincenzo è calmo in ogni situazione, lucido razionale. Quando so che mi attende una gara, io vorrei partire subito. Vorrei allenarmi oggi e correre domenica. Devo entrare subito nell’ingranaggio della gara, altrimenti non sono tranquillo. Non va bene. Quest’anno, a malincuore, ho dovuto abbandonare il Giro d’Italia prima della terza settimana, ho provato a stringere i denti ma non ci sono riuscito, così l’ho seguito da casa. L’ho stimato tanto e sono più che mai dalla sua parte. Voglio dirlo ancora una volta. Le critiche che ha subito sono ingiuste, profondamente ingiuste. Lui sa reagire bene. Sono sincero, io non credo di saperlo fare. Non ci sono storie, qui si vedono i campioni». C’è di più, c’è il piacere di essere dove si è e di fare ciò che si fa: «Credo che il ritiro al Teide quest’anno sia stato uno dei più bei ritiri della mia vita. Ero con Giulio Ciccone, Antonio e Vincenzo Nibali. Non ti so spiegare molto, ti so dire che sono stato bene e questo spiega già tutto. Ogni squadra, ogni realtà, gestisce i ritiri in maniera diversa. Sai, in primavera, quando è stato chiuso tutto, sapevo che a fine anno mi sarebbe scaduto il contratto. Volevo dimostrare il mio valore ma non potevo farlo. Eravamo chiusi in casa, con i rulli, senza un traguardo da immaginare, una corsa da inventare. Guarda che è difficile. Non sai più da che parte girarti. Ora le cose sono diverse ma quel periodo me lo ricordo bene e non me lo scorderò facilmente».

Non serve un’ulteriore domanda perché Gianluca riprende a parlare dopo un attimo di riflessione: «Sono felice. Ho rinnovato con la Trek Segafredo per altri due anni. E sai il bello? Forse, in questa stagione, non ho reso come avrei voluto ma la squadra ha capito, la squadra mi ha dato fiducia sapendo quanto valgo. Ricordandoselo. Questo non è un caso, questo viene da un metodo di lavoro: siamo sempre tutti in contatto, anche se non corriamo. Ci conosciamo. Questo ti invoglia ancora di più a dare tutto. Così quando non stai bene, quando non riesci a fare la gara che vorresti, ti affianchi ai più giovani, li consigli e speri che ti ascoltino». Gianluca Brambilla, da ragazzino, giocava a calcio e studiava alla ragioneria: «Se ci ripenso oggi credo non sarei mai riuscito a fare il ragioniere. No, decisamente no. Credo la mia sia stata la scelta giusta. Ricordi quando nel 2016 ho vestito la maglia rosa al Giro d’Italia? Ecco, quando sali sul podio, lungo quegli scalini, ti passa davanti tutto ciò che hai fatto per essere lì. Ripensi a quando vedevi il Giro in televisione e ti dici: ”Vai Gianluca, vai che fra tanti quella maglia la indosserai tu. L’avresti mai detto?”. Pensi a chi ti vuole bene e ti commuovi perché vedi che li hai resi orgogliosi ed è una sensazione che non si può spiegare ma tutti la proviamo in qualche circostanza della vita. Soprattutto pensi a tutti i sacrifici che hai fatto, a tutto ciò a cui hai rinunciato. Se hai la mia fortuna, non rimpiangi nulla. Proprio nulla».

Ogni mattina, ma anche mentre parla con noi, anche se è quasi il tramonto, Gianluca Brambilla si affaccia alla finestra di casa e guarda verso il Monte Grappa. Un’abitudine o forse qualcosa in più: «Al Monte Grappa vado spesso in bicicletta, per allenarmi. Potrei dire che è la mia salita. A parte questo, però, è una veduta che mi appaga. Sarà anche per quel vecchio detto: ”Se il Monte Grappa el ga el capeo o che fa bruto o che fa beo”. Si tratta di un modo di dire anche abbastanza sciocco ma quella nuvola sulla cima del Grappa la controllano tutti, qui a Marostica».

Foto: Claudio Bergamaschi