Abbiamo aspettato così tante volte Richie Porte che a volte pareva farsi quasi beffa del nostro desiderio: lo attendevi e lui, puntualmente, mancava. Abbiamo imparato ad apprezzarlo, anche se all’inizio facevi fatica, lo trovavi strano, mentre poi c’era un altra grossa fetta di pubblico che semplicemente se ne fregava della sua presenza. Poi arrivò il Tour de France del 2020 con tutto il contorno, su cui oggi, tempi bui, preferiamo glissare una volta di più.
Arrivò quel Tour e qualcosa cambiò nella percezione: Porte partecipò andando incontro a uno sforzo enorme difficile da non considerare e persino complicato da comprendere. «Mancare alla nascita di un figlio è il sacrificio più grande che possa immaginare, ma sono altrettanto sicuro di poterlo e volerlo fare: sarò pronto per il Tour de France» raccontò alla vigilia.
Molti si chiesero come fosse possibile, se potesse davvero valerne la pena. Lui rispose conquistando il podio dopo averlo inseguito per un decennio fatto, spesso, perlopiù di delusioni. Rispose presente sul podio finale all’ammonimento di sua moglie in dolce attesa: «Farai meglio a non farti vedere col broncio in fondo al gruppo». Quella foto con l’Arc de Triomphe sullo sfondo, lui lassù insieme agli sloveni, fu come una liberazione.
Lo abbiamo imparato a conoscere in quella fuga bidone al Giro 2010 quando si andava verso L’Aquila, giornata tremenda, vinse Petrov e Porte andò persino in Rosa chiudendo 7° nella classifica finale. Lo abbiamo conosciuto semplicemente come “il tasmaniano”; gli abbiamo visto buttare via corse per le cadute, ma anche gli orbi erano a conoscenza di un talento che, nelle brevi corse a tappe, si trasformava spesso in qualcosa di più concreto.
Il 2022 segnerà le ultime pedalate in sella per Richie Porte, il tasmaniano, almeno per come ce lo siamo immaginati sempre noi, almeno per come se lo è immaginato sempre lui. Un buon contratto, duri allenamenti, programmare le corse, puntare al Tour e vincere brevi corse a tappe in serie; potenziometri e dieta, un numero da attaccare alla maglia, quell’amore sempre corrisposto dalla salita di Willunga Hill, in Australia, banalmente il suo feudo, quella salitella vinta per sei volte di fila, prima di una settima volta arrivata lo scorso anno.
Questi ultimi mesi Richie Porte ha ripercorso Willunga Hill, non era il Tour Down Under, ma era il Santos Festival of Cycling, corsa nazionale australiana che sostituiva per il secondo anno di seguito l’evento che abitualmente apre il calendario World Tour. Almeno in un mondo conosciuto prima della pandemia.
Se l’è goduta alla grande, come mai probabilmente fino a ora. «È stato emozionante per me – raccontava sorridente ai microfoni a fine gara con la maglia della selezione australiana – sono felice di essere tornato in gara qui per l’ultima volta, in un posto che mi ha visto diventare grande e dove ho pedalato per la prima volta 14 anni fa».
Se l’è goduta alla grande quella pedalata in mezzo a quelli che oggi sono il futuro del ciclismo australiano, lui che a guardarsi indietro è stato il passato e il presente del ciclismo oceanico. «Finalmente mi sono potuto rilassare godendo del pubblico sulle strade e ho visto anche un sacco di ragazzi australiani che pedalano forte: tra di loro sono convinto ci possa essere il nuovo Cadel Evans». E perché no, il nuovo Richie Porte.
Il nuovo Richie Porte, che non è poi così diverso dal vecchio Richie Porte, solo con qualche ruga in più e qualche migliaia di chilometri nelle gambe che non ne appesantiscono i desideri. «Al Tour ho fatto quello che dovevo fare e ora andrò al Giro, dove si è aperto un cerchio e dove si chiuderà. Ma senza assilli di nessun genere: l’unica cosa che la squadra mi ha chiesto è godermi il mio ultimo anno in gruppo. Sono contento perché questo era esattamente il mio piano a inizio stagione».
L’altro ieri lo abbiamo visto pedalare in tutta la sua essenza da Richie Porte, ritornato a vestire la maglia INEOS dopo una parentesi, quasi magica, in maglia Trek-Segafredo. Eccolo davanti in salita, nell’azione buona per andare al traguardo aiutando qualche suo compagno di squadra; poi lo abbiamo visto, pienamente in stile Richie Porte, incartapecorito giù per Colla Micheri, discesa da far venire i brividi anche al più spavaldo dei trapezisti.
Per il futuro, Richie Porte pare abbia intenzione di portare la sua esperienza ai giovani australiani, ha già preso sotto la sua ala Plapp con cui si è allenato in Tasmania e pensa già a quello che sarà più avanti: «Fra dieci anni mentre guarderò il ciclismo in televisione potrò dire con orgoglio ai miei figli: guarda, quelli sono i ragazzi con cui ho corso in bicicletta». Ora basta, però, è tempo di godersela fino all’ultimo.