Non l’ho detto ieri, ma ho portato una bicicletta al Giro d’Italia. Anzi, non una: la mia bicicletta! È questo il miglioramento più significativo rispetto alla scorsa edizione della Corsa Rosa: più della presenza di Remco, più del ritorno dei buffet in sala stampa. Pedalo un po’ al mattino, prima che cominci il delirio. Dalle 9:30 circa alle 21 si lavora sostanzialmente senza sosta al Giro: riuscire a staccare la testa fa bene, ogni tanto.
Giusto una volta, per ora, sono riuscito ad alzarmi presto e inforcare la bici. Sabato, prima della cronometro, ho raggiunto Ortona da Montesilvano. Nel farlo ho percorso alcuni chilometri che i corridori hanno fatto ieri, nella Teramo-San Salvo: splendidi, soprattutto quelli vallonati verso Ortona, impreziositi dalla vista sul mare. Assetato com’ero e ignaro della dislocazione delle fontanelle sul territorio, ho trovato l’oasi nel deserto in un bar alquanto strano, in località Contrada Schiavi. L’insegna fuori, innanzitutto, non recava un nome e nemmeno sulle mappe è segnalato. C’era uno di quei cartelloni coi loghi di varie aziende telefoniche, ma scolorito e vecchio.
La prima cosa che noto, entrando, è una cesta di uova messe su uno sgabello: certo che sono in vendita, mi conferma l’anziana signora dietro al bancone. Vista la bici mia appoggiata fuori, si ferma un altro ciclista. Mentre riempio le borracce di acqua fresca (la bottiglia stava nel frigo del bar da prima del Giro di Hesjedal), l’altro avventore del bar e la signora chiacchierano in dialetto abruzzese dell’origine dei loro genitori: storia lancianesi e teatine. Poi la signora Martelli (il nome, però, non vuole dircelo) ha il fermo desiderio di portarci a vedere le galline, quelle delle uova. Sono più di 80, ma in diminuzione da quando nel vicinato sono comparsi alcuni cani di grossa taglia.
Mentre si aggira per l’orto ci racconta di un ciclista che si fermò lì, quattro anni prima. Si fermò al bar mentre la signora stava zappando l’orto, attratto – ricorda lei – dalle bellissime primule sul vialetto. Si trattava di uno psicologo di fama di Palermo, che aveva parenti in zona. Egli presto si affezionò alla signora e andava sempre a trovarla, nelle sue uscite in bici. Finché, nonostante la devozione di questo psicologo per Santa Rosalia, non ha trovato una prematura morte in circostanze sconosciute. La signora Martelli si commuove raccontando l’epilogo perché sia io che l’altro avventore del bar siamo dello stesso segno zodiacale della persona deceduta, l’ariete.
È una storia piccola, certo, del tutto laterale nell’economia del Giro. E non c’entra nulla con la tappa odierna: bravo questo Jonathan Milan, che certo non aveva bisogno di presentazioni e del quale sentiremo ancora parlare a lungo. Il bar, la storia e le uova della signora Martelli, invece, andavano scritte perché possano rimanere. Non ne ho scritto ieri perché iniziare queste cronache dal Giro con un racconto in prima persona sarebbe stato come affrontare la crono dei Trabocchi in triciclo, ma la storia della signora Martelli è più Giro d’Italia di tanti ordini d’arrivo e tante startlist. Domani torno ad inforcare la bici e magari ne verrà fuori un altro incontro come questo: o magari pedalerò e basta, e andrà benissimo comunque.