In pratica mi accorsi che, salendo verso la cima dell’Alpe d’Huez, c’era questa bici poggiata su un muro. Dal muro spuntavano in maniera irregolare ciuffi di muschio verdastro e quella parete di cemento era intervallata ogni tanto da piccole cascate di acqua.
La bici stava lì in mezzo ad alcune auto parcheggiate e con il finestrino abbassato, una piccola cassa con un po’ di musica a fare compagnia e una bandiera a riparare dal sole chi, in quel momento, pancia piena e sangue riscaldato da birra e pastis, sonnecchiava dentro l’abitacolo, restando in attesa del passaggio del Tour de France. Era il 14 luglio del 2022.
Quella bici indossava fiera i colori sociali di una squadra di qualche anno fa: giallo fluo e blu. Mi avvicinai per fare una foto – mi piaceva, mi aveva catturato, anche perché a casa ne ho una della stessa marca.
« Wanty-Gobert» mi fece, incuriosito dal mio incalzare verso la bici, questo ragazzone tedesco, proprietario della stessa, pochi capelli in testa, un sorriso cordiale e un paio di occhialini da vista con delle lenti di una leggera tonalità di rosso. Pareva il personaggio di una gang di rapinatori in un film di Michael Mann. «L’ho presa un paio di anni fa nel negozio ufficiale della squadra… è di Danny van Poppel! – aggiunse, poi, indicando un adesivo con il numero 2 appicciato sul telaio – questa era la sua bici di scorta».
Risposi, ammiccando e affannato dalla salita e dal sole. «Ah! Bel corridore».
«Sono stato fortunato perché oltre a essere uno dei miei preferiti abbiamo le stesse misure, altrimenti l’avrei comprata inutilmente, e invece ci sono venuto sin qui pedalando» concluse.
Il tifoso si mostrò all’altezza della sua bici tanto quanto Danny van Poppel in un ruolo che la squadra – non più la Wanty-Gobert, ma la BORA-hansgrohe – gli ha cucito su misura. Dopo diverse stagioni passate a fare un po’ il pilota, un po’ l’aiutante tuttofare; un po’ la seconda punta o il classico uomo veloce, ma non velocissimo, piazzato perlopiù, a volte vincente magari nelle semiclassiche tra Belgio e Olanda.
Un ruolo, quello dell’ultimo uomo delle volate, che Danny van Poppel interpreta come un divo degli anni ’50 tutto gel e giubbotto di pelle. Il classe ’93 olandese al momento si consacra come migliore lead out, pesce pilota, ultimo uomo, usate il termine che preferite, al mondo, rubando quell’ideale primato a Michael Mørkøv, il corridore che più di tutti in questi anni ci ha affascinato nel vederlo guidare diversi velocisti: da Kristoff a Viviani passando per Gaviria, da Cavendish a Jakobsen. Punto di riferimento per gli sprinter, ma anche per noi che attendiamo con le palpitazioni di vedere i corridori lanciati verso il traguardo a quelle velocità.
Danny van Poppel, dunque, capace di pilotare nelle ultime tre volate disputate due corridori completamente differenti e riuscendo di volta in volta a interpretare al meglio le loro caratteristiche.
«Jakobsen – racconta van Poppel subito dopo la vittoria del suo connazionale all’Europeo di Monaco – predilige essere lasciato a ruota di quello che in corsa battezza come avversario più pericoloso». Detto fatto, van Poppel, con l’orrenda maglia bianca della nazionale olandese, lo tira fuori dalle beghe e lo lascia lì, poi Jakobsen porta a termine il suo incarico.
Sabato, invece, strade olandesi, zeppe di pubblico e arredo urbano e pericolosamente pronte alla prima volata della Vuelta 2022, van Poppel guida perfettamente Bennett che vince in una stagione ingarbugliata, lui che un paio di anni fa raggiunse la cima – o quasi – nel ruolo di uomo più veloce del mondo e che invece da un po’ di tempo sembrava non riuscire più a trovare una via di fuga al bordello psicofisico in cui era finito.
«Bennett – ha raccontato sempre van Poppel – a differenza di Jakobsen vuole essere lasciato davanti con strada libera». Due modi di interpretare le volate completamente differenti e che il corridore della BORA-hansgrohe al momento interpreta con enorme profitto, anzi di più, perfeziona quel tipo di ruolo portandolo a un livello superiore.
Domenica, ancora un altro mezzo capolavoro. A poche centinaia di metri dal traguardo, van Poppel esce di ruota da un suo avversario – e siamo intorno alla decima posizione – con lo striscione dell’arrivo che si fa sempre più vicino, le urla dei tifosi sempre più forte, i telefonini sempre più pericolosamente al di qua delle transenne. Van Poppel esce di ruota e prende aria lanciando perfettamente il suo capitano che vince ancora la volata. «Quello che ha fatto van Poppel è stato un colpo da maestro» dirà Bennett subito dopo il traguardo.
Da appassionato di van Poppel e due ruote ho invidiato il tifoso tedesco per essere salito fino su all’Alpe d’Huez con quella bicicletta, anche se, a causa delle mie misure – sono alto un metro e settanta scarso – non ne sarei stato mai all’altezza. Mi sarei sentito come il nano di una storia di fantasia alle prese con la bici di un gigante. Quella del migliore ultimo uomo al mondo.