Gabriel Garcia Màrquez lo aveva scritto: il colonello Aureliano Buendìa si sarebbe sempre ricordato di quel lontano giorno in cui il padre lo accompagnò a scoprire il ghiaccio. “Cent’anni di solitudine” inizia proprio così, con questo ricordo. Non è un romanzo, non c’è un paese di poco più di venti case di argilla e canna selvatica come Macondo, ormai tutte le cose hanno un nome e indicare con le dita è un privilegio dei bambini, ma il nostro reale conserva retaggi di qualcosa che Màrquez sapeva bene. Cose semplici e genuine, come fare il pane, andare in bicicletta, accarezzare le foglie per sentirne la consistenza, parlare con gli animali e percorrere un sentiero di montagna sulle spalle dei giganti, che altro non sono che gli adulti. «Il valore dei viaggi – racconta Cala Cimenti – me lo ha insegnato papà, da lui ho imparato la bellezza dell’esplorazione, il significato della scoperta». Cala è un alpinista e quel nome, che in realtà sta per Carlo Alberto, è un po’ un ossimoro: la montagna attira verso l’alto, qualcosa che “cala” è qualcosa che scende. «Nel tempo questa è diventata la mia vita. C’è qualcosa di vitale nella possibilità di scoprire e poi raccontare, qualcosa che ti risveglia. Come la coscienza dei limiti e la possibilità di oltrepassarli. La nostra vita si svolge per la maggior parte del tempo in luoghi protetti, al riparo dai rischi. L’alpinismo ti porta fuori da questa dimensione: lì devi essere tu ad avere cura di te stesso, devi essere tu a valutare le condizioni esterne e ad interagire con esse. Non puoi barare. Se solo pensi di barare, corri un rischio enorme: il rischio di non tornare più. L’alpinismo è un gioco, un gioco complesso».
Ora l’alpinismo è il suo lavoro, ma da ragazzino Cimenti aveva una forte passione per il ciclismo: «I miei pomeriggi li trascorrevo sempre in bicicletta, a girare per il paese. Sono passato attraverso la disciplina della mountain bike per arrivare alla strada. Ho smesso solo perché andando avanti e diventando juniores, il ciclismo avrebbe assorbito tutto il mio tempo e non avrei più potuto studiare; però il ciclismo non ha mai smesso di piacermi». Nella vita, però, ci sono ricordi che restano lì, depositati da qualche parte ai bordi dell’anima e non importa se per molto tempo non hai nemmeno una bicicletta da corsa in casa, non importa se le circostanze ti hanno portato altrove, qualcosa resta instillato e, chissà quando, tornerà fuori. Un giorno Cala Cimenti ha un infortunio, una lacerazione di sei centimetri del polpaccio. «Un brutto infortunio, seguito da uno stop e da un periodo di recupero di più di due mesi. Parte della riabilitazione consisteva proprio nell’andare in bicicletta» .
La bicicletta è tornata, non importa come ma è tornata, tutto nasce così. La pandemia farà il resto. «Molti dei progetti che avevo sono saltati proprio a causa della pandemia, io stesso ho avuto il Covid. A casa pensavo e ripensavo. Sentivo di voler fare qualcosa, dovevo solo capire cosa». La bicicletta diventa per Cala quello che, per lui, non era mai stata: «Per me è stata la prima vera esperienza di cicloturismo. Spesso sottovalutiamo la possibilità di viaggiare con altri mezzi, mezzi diversi da quelli abituali. Pedalare ti permette di attraversare fisicamente colori, odori, suoni, natura, paesi e strade. Cambia tutto: in quei momenti vivi il contesto, ti immergi nel contesto. Non solo. Se interpreti il viaggio come l’ho interpretato io, conosci persone, usanze e modi di vivere. Conosci il senso più vero dell’ospitalità quando vieni accolto in una casa per riscaldarti o riposarti».
Cala Cimenti parte da Cuneo intorno alla metà di ottobre, il progetto è quello di attraversare l’Italia in bicicletta, tutte le ventuno regioni, fermandosi in diversi paesi e approfittandone per una attività da svolgere all’aria aperta: arrampicata, parapendio o anche una semplice camminata in montagna. C’è un carrello di quaranta chili con lui, lì dentro si trova tutta l’attrezzattura necessaria. In realtà le problematiche legate al Covid-19 obbligheranno Cala a tornare a casa prima del tempo, dopo che dalla Liguria, era transitato per l’Emilia e la Toscana, proprio mentre stava per dirigersi nel Lazio. Sono trascorsi ventiquattro giorni dalla sua partenza. Nel tragitto percorso, però, c’è già tutto. «Sono sincero, mi immaginavo un viaggio diverso, forse più tranquillo. I primi giorni, percorrendo la via del Sale, sono stati davvero tosti. Dalla fatica ho davvero pensato di mollare tutto e tornare a casa».
Ma il Cala tiene duro, forse più grazie alla testa che ai muscoli indolenziti. I momenti difficili non sono finiti ma, adesso assumono, un’altra sfumatura: «Nei tre giorni in Liguria sono incappato in una bufera d’acqua e vento forte, che ha causato una frana sul percorso. Vorrei saper raccontare la goduria di quella doccia calda in un bed and breakfast di Spotorno: impagabile dopo giorni a dormire al freddo. Poi ho dovuto aspettare che arrivassero le condizioni climatiche ideali per lanciarmi col parapendio. In Emilia-Romagna ho trascorso tre giorni in un bed and breakfast connesso ad una fattoria dove si produce parmigiano. Ho dormito in alta montagna, con una tenda a bordo strada. Ho dovuto pensare a procurarmi il cibo. Arrivato a Pisa ho incontrato vecchi amici e ho ”volato” con loro. In meno di un mese ho cambiato tre volte le pastiglie dei freni della bici, ho dovuto far fronte all’usura del cambio, all’usura della bicicletta. Non è forse una scoperta anche questa?».
Non c’è viaggio che non racchiuda un significato, voluto o meno, palese o nascosto, raccontato o lasciato all’interpretazione di chi, in altre faccende affaccendato, sfiori qualche rotta percorsa dalle tue ruote. Ed il viaggio di Cala Cimenti è stata una celebrazione: «Volevo celebrare la libertà ritrovata. Il mio era un inno alla libertà, che è come l’aria, e come tutte le cose che scopriamo quando ci mancano. Per questo volevo spostarmi in tutte le regioni d’Italia, volevo portare in giro questa libertà e fermandomi mostrarla nelle sue vesti migliori, quelle delle attività che si fanno all’aria aperta. Purtroppo non mi è stato possibile finire questo viaggio, la libertà si è nascosta un’altra volta. Ma tornerà, sono certo che tornerà. Coltiviamo questa speranza. Proviamo a immaginarla, facciamo questo sforzo. Immaginiamo il giorno in cui farà ritorno. Non sentite che bello?».
Foto: Cala Cimenti