Quando Mathieu van der Poel è partito, a poco più di ventidue chilometri dalla conclusione di una gara che non dimenticheremo mai, in un attimo ha cancellato tutto quello che stava accadendo. C’è stato silenzio. Poi un lampo che fa a fette il cielo. Lo abbiamo guardato per qualche frazione di secondo, ammirandolo, come poco prima con quell’arcobaleno che spuntava sopra Glasgow, quando Alberto Bettiol si era messo in testa un’idea folle che ci ha fatto sognare a lungo.
Quando Mathieu van der Poel è scattato, avevamo già immaginato l’epilogo di una giornata lunga, troppo assurda per essere vera, di quella che ci riempie la bocca di aggettivi, di metafore, similitudini. Di quelle frasi che ci sembra di ripetere troppe volte riferite al ciclismo di questi ultimi tempi.
Quando Mathieu van der Poel è partito, sapevamo che per tutti gli altri era finita, e che per lui si sarebbe chiuso un cerchio: campione del mondo, lui, il corridore più forte del mondo nelle corse di un giorno, davanti ai corridori più forti del mondo nelle corse di un giorno e non solo, in una giornata così esaltante da riempire le pagine di epica e retorica.
Quando Mathieu van der Poel è caduto, abbiamo bestemmiato, ma lui ha continuato a darci dentro. Sanguinante, con il boa della scarpetta strappato via con lucidità, ha rimesso sulla giusta carreggiata i nostri sentimenti impazziti, le emozioni che da quasi sette ore continuavano a vibrare incontrollabili dietro una delle corse più difficile da comprendere a nostra memoria.
Su un circuito, criticato all’inverosimile, così labirintico da faticare a trovarne l’uscita, Italia e Danimarca, compatte, spettacolari, prendevano la corsa per la coda e la agitavano senza rispetto sul fuoco alimentato da curve, controcurve, strappi. Lui, l’olandese, sornione, con quella maglia bianca che si faceva sempre più del colore della sua pelle, rimontava posizioni e pedalava con un solo obiettivo in mente: una cartuccia da sparare, letale. Mancavano centinaia di chilometri quando la gara esplodeva e si selezionava come non abbiamo mai visto nemmeno sulle salite dei grandi giri.
Quando Matteo Trentin, sempre davanti, attento, con gambe e motivazioni a mille, cadeva, abbiamo imprecato contro le ingiustizie del destino; quando Bettiol partiva ci siamo emozionati; quando lo hanno ripreso non abbiamo avuto il tempo di capire cosa stesse succedendo. Mathieu van der Poel scattava, dietro lui arrancavano van Aert, secondo alla fine, Pogačar, terzo al traguardo, a completare un podio visto di rado dalla nostra generazione, e Pedersen, quarto, battuto dal terribile (ex) ragazzo sloveno, insomma, quando Mathieu van der Poel scattava, tre grandi corridori capivano come si sarebbe lottato solo per tentare di spegnere il fuoco delle proprie ambizioni iridate. La grandezza di un corridore la si misura anche dagli avversari.
Quando è partita la fucilata di Glasgow, Mathieu van der Poel ci ha fatto saltare in piedi, ed eravamo quasi al termine di una giornata di ciclismo di quelle che… da domani sarà difficile trovarne una simile. Ha vinto il più forte, che ora, per tredici mesi, vestirà la più bella maglia del mondo. La giusta fine di una giornata di ciclismo indimenticabile. E pazienza se lo abbiamo scritto altre volte, oggi, di questo sport, si è fatta la storia.
Foto: Sprint Cycling Agency