Elizabeth Deignan è partita da sola quando mancavano ancora diciassette settori in pavè. E ci viene da dire che, forse, inizio più bello di questo non poteva esserci per la Parigi-Roubaix femminile, alla sua prima edizione oggi, dopo 125 anni da quel 1896 che vide la prima edizione della Roubaix maschile.
È partita da sola mentre la pioggia rendeva fango la terra incastrata fra il ciottolato irregolare e l’hanno rivista dopo il traguardo. Dietro il lavoro magistrale di Elisa Longo Borghini, che è caduta, ha sbattuto una spalla, ha sporcato la maglia tricolore di quel fango, poi è ripartita, all’inseguimento di Marianne Vos ed è entrata per terza in quel velodromo, schiacciato contro il cielo plumbeo, dietro alla compagna di squadra e all’olandese.

Lizzie Deignan che solo qualche settimana fa aveva risposto in maniera decisa a Patrick Lefevere che ironizzava sulla possibilità di investire nel ciclismo femminile. Per dire che il ciclismo femminile non ha bisogno di chi non crede alle sue possibilità, di chi lo tratta come una seconda scelta o di chi vuole elemosinargli qualcosa. Non ne hanno bisogno queste atlete che oggi all’ingresso a Roubaix erano stremate, sporche, infreddolite per tutta quell’acqua presa, ma, guardando il pubblico, si sentivano orgogliose. Quelle atlete che ieri sono passate dalle docce di Roubaix e che adesso ci torneranno, per sciacquare via la terra, per ripulire ogni lineamento dalla ghiaia e anche dal sangue che si dura a cadere fra quelle pietre. Quelle che hanno fatto vedere che la Roubaix non era una corsa troppo dura per una donna. Era dura, certo. Come lo è per gli uomini, come per qualunque essere umano. Lo sa Elisa Balsamo che è caduta eppure all’ingresso nel velodromo sorrideva e salutava: perché la maglia iridata l’ha portata lei in quel velodromo.

Elizabeth Deignan che è madre e da quando lo è diventata è più felice. Così felice da riuscire a rendere facili molte cose difficili. Certe cose, invece, non si possono semplificare e si affrontano come sono, da uomo, da donna, da bambino o da ragazzo. Si affrontano come capita nella vita e non c’è chi può riuscirci e chi no. Dice che per essere una madre migliore, forse, non dovrebbe più correre perché non bastano le ore di una giornata per essere una buona madre. Dice che da quando è diventata madre il ciclismo è contato sempre meno, eppure in giornate come queste la sua lezione è più che mai importante per il ciclismo.

Perché l’ingresso nel velodromo di Roubaix di Deignan, che ha vinto e tornerà a casa con quel trofeo di pietra che narra tutta la concretezza e la crudeltà di una gara così, è la migliore risposta a tante cose che si sentono e non solo nel ciclismo. Come l’ingresso di tutte le altre atlete che hanno fatto di tutto per arrivarci. A tutti coloro che dicono che il ciclismo femminile non è spettacolare basterebbe riguardare la sua azione. Alla continua tentazione di paragonarlo al maschile, come se per avere dignità dovesse assomigliargli, come se per meritarsi spazio e opportunità dovesse rincorrerlo. Come se non gli bastasse essere ciò che è.

E ancora per tutti coloro che chiedono alle donne di scegliere tra una carriera e una famiglia come se non potessero gestire entrambe le cose e farlo bene. Come se non potessero scegliere autonomamente se avere una famiglia, un figlio o un certo lavoro. Elizabeth Deignan lo ha raccontato anche per dare un segnale. Ma non solo perché questa giornata fa a pugni, come molte altre giornate di sport, con tutti quei pregiudizi, quegli assiomi senza alcun significato: la fatica come qualcosa riservato agli uomini, su tutti.
Basta guardare e poi tornare a riflettere. Quello di oggi è un passo importante, qualcosa di cui essere orgogliosi come è Roubaix. Ma alle donne non può bastare questo orgoglio, che è gran cosa ma deve essere solo l’inizio. Non può bastare se poi i premi di gara sono mostruosamente squilibrati, se gli stipendi non si equiparano, se molte ragazze che vorrebbero correre in bicicletta per lavoro non possono farlo pur avendo il talento, pur meritandoselo. Non può bastare l’orgoglio, serve la presa di coscienza, serve la volontà.
Giornate come queste, podi come questi, storie come queste possono essere la spinta giusta per essere così felici da rendere facili cose che fino ad oggi sembrano difficili. Oppure da affrontarle in tutta la loro difficoltà, perché così fanno gli esseri umani. Da rendere ovvie cose che dovrebbero esserlo da sempre. Da rendere più giusta la fatica e anche l’orgoglio.