La Milano-Sanremo è un salto nel buio. È indecifrabile, un omissis, un vorrei-ma-non-posso a turno per velocisti, scalatori, cacciatori di classiche, fuggitivi. «Io ci provo sempre, perché per la legge dei grandi numeri», ci racconta Mirco Maestri, «prima o poi quella fuga arriverà».
La Milano-Sanremo è una corsa lunga, snervante, è limare, stare coperti. Si assopisce per diverse ore e «diventa folle per i venti minuti finali». Parole di Matthew Goss, vincitore nel 2011.
La Milano-Sanremo è un film di Takashi Miike: ti inebria, ti terrorizza, ti confonde, ti annoia, poi ti inchioda lasciandoti con sudori freddi e la bocca asciutta.

È stata l’ultima corsa raccontata da Mario Fossati: “Claudio Chiappucci ha vinto e io sono contento di staccare, dopo quarantasei anni, dal ciclismo e dalla classicissima, la Sanremo appunto, portandomi appresso il suo nome lievemente clownesco”, scrisse nel 1991. L’edizione di quest’anno si sarebbe dovuta correre il 22 marzo e invece in quei giorni, quasi come un dovere o una colpa, ci lasciò Gianni Mura.
Annullata, slittata, in sospeso, messa in dubbio, poi ricreata da capo e senza capi, la Milano-Sanremo di oggi è inedita. Forse sarà più bella? Chissà. Di sicuro sarà ancora più difficile da comprendere. Doveva essere a marzo invece è ad agosto; doveva essere il Mondiale di Primavera e invece arriva in piena estate. Ha visto la neve, vedrà il caldo; è stata fedele alla costa, oggi si ubriacherà in mezzo alle colline piemontesi.

Sembra banale, come il Poggio inserito nel 1960, l’anno della morte di Fausto Coppi, ma non lo è. “È una corsa per velocisti”, lo trovi scritto ovunque, lo ripete persino un vecchio suiveur seduto ad aspettare il passaggio del gruppo a bordo strada. Eppure, chi ha fantasia scardina le difese – aggiunge. Per qualcuno è un inutile orpello, tuttavia c’è chi ne ha fatto un cruccio o si è costruito un palmarès solo vincendola.
Sarà banco di prova per Nibali, riscatto per Sagan o Alaphilippe; sarà un mezzo per raggiungere la leggenda per Gilbert, rivincita per van der Poel, spasmodica ricerca della conferma per la tenacia di van Aert. Per molti – tutti, noi compresi – sarà un pensiero da rivolgere a Fabio Jakobsen.

È goduria per chi la corre, dal primo all’ultimo, così lunga ed evocativa, o per chi aspetta solo di viverla all’attacco come fa Mirco Maestri, in fuga per quattro anni consecutivi tra il 2016 e il 2019 e oggi costretto a guardarla sul divano per un incidente in allenamento. «Correrla è sempre stato il mio obiettivo. Volevo partecipare una volta nella mia vita e invece mi sono ritrovato a farla quattro volte e per tutte le quattro volte sono stato in fuga». Quasi come una sorta di riverenza.

La Milano-Sanremo è un sogno che il corridore aveva sin da ragazzino. «E quando mi lancio in fuga è perché mi piacerebbe lasciare il segno, essere da esempio per tutti quelli che ci vedono, dare quella spinta e quel coraggio che a volte viene a mancare soprattutto nelle categorie giovanili: mollare mai». Saggio lo è, calmo proprio non sa stare.
La Milano-Sanremo di oggi per noi e per Maestri sarà la stessa sofferenza: divano e tv. Ma questo, meglio non ripeterglielo di nuovo. «Non voglio pensarci: sarà dura, soffrirò a guardare gli altri correrla» ci racconta quasi febbrile. Mollare mai e sempre al vento, però. Ce lo insegni tu, Mirco.

Foto: Bettini